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Ero lì che ascoltavo e intanto speravo, aspettavo, che so, un treno, un bacio, una cattiveria. Attendevo che qualcuno mi venisse a prendere. Ma non accadeva mai nulla. Era tutto grigio e monotono sopra la mia vita. Mi alzai dalla poltroncina in similpelle marrone e chiusi la porta della stanza. Volevo stordirmi di parole e musica. Seduto sull’immaginaria riva di un fiume, osservavo quelle piccole onde che il vento formava sul pelo dell’acqua. Erano incessanti come le passioni. Il disco continuava a suonare e l’armonica di Racing in The Street lacerava le mie barriere. Allora non avevo fantasmi intorno a me. C’erano invece promesse, fiori colti in un giardinetto e ideali. Vero, avevano tutti l’aria un po’ triste, ma mi tenevano in piedi. Oh Thunder road, Oh Thunder road….
Mia madre mi sta chiamando per la cena. Aspetto che il solo di chitarra finisca e apro la porta. Solo tre passi e sono in cucina, che è piccola, anzi piccolissima. C’è puzza di aglio soffritto. Ma ci sto bene li. Lei porta una vestaglietta blu smanicata a stampe di fiori provenzali. Sta ascoltando alla radio Barry White. Mi guarda e mi sorride,con quell’istinto tutto femminile di rincuorare. La persiana è aperta, il trambusto nel cortile è incessante. Una sera, questa, di molto tempo fa. Il buio ha invaso tutto. Mi affaccio alla finestra. L’edera si è arrampicata sul colatoio ormai arrugginito. L’odore del gelsomino è inebriante. Un bambino piange. Qualcuno urla di salire. E’ il mio passato che smonta dai ricordi e se ne va via tutto solo. Il cortile adesso è vuoto. E anche la cuccia del cane. Ascolto, aspetto, spero… Gli uomini sono rientrati, le famiglie si sono reincollate. Mangiamo alla buona e parliamo di tutto. Non so perché, ma nel quartiere c’è aria di libertà. Sarò il tuo specchio rifletterò quello che sei nel caso non lo sapessi sarò il vento la pioggia e il tramonto la luce alla tua porta per mostrarti che sei a casa. (I’ll be your mirror)
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Il loro primo album, The Velvet Underground & Nico, è un disco epocale che possiede un alchimia sonora unica e mai eguagliata. In queste canzoni non c’è posto per il sole, ma solo per la notte delle strade di New York. Luogo dove si consumano storie di alienazione e solitudine, di assassini e prostitute. Di gente senza fortuna che non ha nulla a cui aggrapparsi se non la propria disperazione. Severin, Severin, parla sottovoce Severin, inginocchiati, assaggia la frusta, in amore non si risparmia, assaggia la frusta, ora sanguina per me. (Venus in Furs) Lou Reed e soci si fanno emissari di chi vive con l’inferno sotto le maniche della camicia. Spiriti lividi con ventisei dollari in mano, che aspettano il loro uomo all’altezza di Lexington. Che corrono, corrono, corrono, sul bordo del mondo anche se di fiato non ne hanno più. E su quei viali intossicati, estirpate dalle loro tombe s’incrociano anche femmine fatali e Veneri in pelliccia, adornate con coroncine di perle a buon mercato e stivaletti coi bottoni. Sunday Morning apre il disco ed è una ballata dolce e malinconica. Da struggimento totale.
Lungo una deserta strada con l’autoradio accesa: Well, it was nearly all summer we sat on your roof Yeah, we smoked cigarettes and we stared at the moon. And I'd show you stars you never could see. Baby, it couldn't have been that easy to forget about me.(Even the Losers –Tom Petty) Le campane della chiesa si misero a suonare nella piazzetta dove eravamo soliti stare. Gli operai che avevano finito la giornata si stavano rilassando giocando a “padruni e sutta” e la birra scorreva a fiumi. Ero immerso in una nuvola di fumo e qualcuno mi aveva passato il cannocchiale. Facevamo sempre quel gioco da ragazzi. Con il binocolo scrutavamo le ragazze, magari mentre scendevano dalla macchina. Se avevamo un po’ di fortuna e portavano la gonna, lo spettacolo era assicurato. In quel pomeriggio caldo e appiccicoso come una zanzara, me ne stavo concentrato sul sedere di Teresa che passeggiava con le sue amiche. Immerso nei miei sogni erotici, non mi accorsi che era sopraggiunto Tanino “Cacasorba”, suo fratello più grande, che geloso come uno scimpanzé e accortosi di quello che stavo scrutando, mi afferrò dalla cintura dei pantaloni per prendermi a legnate. Riuscii, non so come, a divincolarmi dalla sua presa e a scappare. Alle mie spalle, mentre me la filavo, udii quei figli di buona donna di Carmelo, Rosario, e Peppino che si pisciavano per le risate. Il sole per un momento aveva trafitto quel buco nero, squarciando la notte e ferendomi a tradimento. Chissà cosa mi era successo. Le situazioni si erano fatte troppo grandi o ero io che ero diventato troppo piccolo per affrontarle? Non riuscivo a spiegarmelo. Con molta probabilità non avevo più voglia di farmi domande.
Spensi la radio che adesso gracchiava qualcosa e cercai le sigarette nel taschino. Non c’erano. Infilai la mano sotto il sedile e guardando sempre la strada afferrai il pacchetto. La macchina proseguiva tranquilla. Mi dava sempre problemi, quel macinino. L’ultima volta si erano rotti i giunti del motore e mi era toccato spingerla per dei chilometri. Nessun automobilista si era fermato per chiedermi se avessi bisogno d’aiuto. Se ne andavano via tranquilli, incuranti di tutto. Quando poi, sfinito, non c’è la feci più, l’abbandonai sul ciglio della carreggiata come se fosse un ferro vecchio qualsiasi. E’ meglio scacciare i cattivi pensieri nel loro pertugio, prima che prendano il sopravento, pensai. Mi succede da un po’ di tempo che, quando medito che accada qualcosa, puntualmente si avvera. Forse sono un uccellaccio del malaugurio. Mi immaginai tutto nero col becco bianco. Me ne stavo accovacciato su un albero spoglio in una valle solitaria e fissavo il vuoto. Di tanto in tanto da quelle parti svolazzava qualche cornacchia. Allora, senza farmi accorgere, giravo gli occhi e la squadravo pensando a quanto fosse bella. Inevitabilmente cadeva giù. Accesi nuovamente l’autoradio. “Senti bella”, dissi rivolgendomi alla macchina e spingendo sull’acceleratore, “senti questa canzone, e tirati su il morale”. Listen, it don't really matter to me. Baby, you believe what you wanna believe. You see, you don't have to live like a refugee. (Refugee-Tom Petty)
Spensi la radio che adesso gracchiava qualcosa e cercai le sigarette nel taschino. Non c’erano. Infilai la mano sotto il sedile e guardando sempre la strada afferrai il pacchetto. La macchina proseguiva tranquilla. Mi dava sempre problemi, quel macinino. L’ultima volta si erano rotti i giunti del motore e mi era toccato spingerla per dei chilometri. Nessun automobilista si era fermato per chiedermi se avessi bisogno d’aiuto. Se ne andavano via tranquilli, incuranti di tutto. Quando poi, sfinito, non c’è la feci più, l’abbandonai sul ciglio della carreggiata come se fosse un ferro vecchio qualsiasi. E’ meglio scacciare i cattivi pensieri nel loro pertugio, prima che prendano il sopravento, pensai. Mi succede da un po’ di tempo che, quando medito che accada qualcosa, puntualmente si avvera. Forse sono un uccellaccio del malaugurio. Mi immaginai tutto nero col becco bianco. Me ne stavo accovacciato su un albero spoglio in una valle solitaria e fissavo il vuoto. Di tanto in tanto da quelle parti svolazzava qualche cornacchia. Allora, senza farmi accorgere, giravo gli occhi e la squadravo pensando a quanto fosse bella. Inevitabilmente cadeva giù. Accesi nuovamente l’autoradio. “Senti bella”, dissi rivolgendomi alla macchina e spingendo sull’acceleratore, “senti questa canzone, e tirati su il morale”. Listen, it don't really matter to me. Baby, you believe what you wanna believe. You see, you don't have to live like a refugee. (Refugee-Tom Petty)
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In quell’anno di grazia furono pubblicati con copertina di cartone rigido e vinile rigorosamente nero: Born To Run di Bruce Springsteen, Horses di Patti Smith, Zuma e Tonight’s The Night di Neil Young, Fandango degli ZZ Top, Blood On The Tracks di Bob Dylan, Bob Marley & the Wailers Live, Who, The Who By Numbers, Allman Brothers Band, Win, Lose Or Draw, Aerosmith, Toys In The Attic, i Blue Oyster Cult del magnifico On Your Feet Or On Your Knees, Leonard Cohen Greatest Hits, i Rush di Fly By Night, e Caress Of Steel. Il buon Elliott Murphy, che è un vero stacanovista del rock, viene ingaggiato dalla Columbia, la stessa casa discografica di Bob Dylan, e nel 1976 pubblica NightLights. Un disco notturno, romantico e scintillante di rock’n’roll da bassifondi. Ci suonano eccellenti musicisti come Billy Joel, Jerry Harrison, Ernie Brooks e anche un ex Velvet Underground, peraltro ottimo chitarrista, quel Doug Yule di Loaded. E contiene due o tre canzoni che sono ancora oggi l’ossatura del suo vastissimo repertorio. Nella mente ha proprio il tocco di Bonaparte. E’ dello stessa razza di Jack lo Squartatore. Vive ai margini. Mi piace vedere quel tipo di energia. Cominciamo a sentirci soli su questo scoglio.(Lady Stiletto – Elliott Murphy). Ma per diventare una star del rock occorre anche un pizzico di fortuna, cosa che non sembra essere una prerogativa di Elliott Murphy. Nonostante tutto ha continuato a darsi un gran daffare inseguendo i suoi sogni, sfornando ancora altri dischi tra cui Murph the Surf, il suo capolavoro. Non si è mai arreso di fronte ai suoi fallimenti, è andato fino in fondo alle cose, senza alcuna paura. Se volete lo potete incontrare ancora oggi da qualche parte in giro a suonare il suo personale Never Ending Tour. Certo, il suo rock vive sui palchi scomodi e logori di provincia, nei pub o in piccoli club. Ma quello che importa è ascoltare le sue ballate polverose, che hanno una dignità e un amore per la musica che è lezione per molti spocchiosi musicisti di adesso. Questo suo senso di profonda dignità nel cercare sempre nuove avventure lo rende ai miei occhi sen’altro speciale. Come fosse davvero lui l’ultima delle rock’n’roll stars.
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O non lasciare che lo spirito muoia, O no lo spirito non muore mai, non muore mai e continua a camminare, e continua a camminare lo spirito nella tua anima. Tu continua a camminare e guardati intorno, e guardati intorno. O no, lo spirito non muore mai.(Spirit -Van Morrison-)
Bartolo Federico -
quanta roba bella e che bel ricordo della mamma in un giorno come qs. cmq gli adulti avevano ragione: “Perché tutto si paga, prima o poi” dicevano. è proprio così. tutto si paga. sempre. niente è gratis.
RispondiEliminaqualche volta anche troppo.non trovi?
RispondiEliminatutto si paga ma chi decide cosa c è da pagare chi può dire che cosa è giusto o cosa è sbagliato. chi si erge a giudice chi è questo grande uomo.
RispondiEliminail cortile è l essenza della vita lì passa tutto ciò che c è da vedere basta sedersi su quella panchina e aspettare.
ti fanno pensare le tue scritture.