sabato 14 febbraio 2015

Strati Di Polvere








Lascia che ti parli prima che te ne vada via per sempre. Lascia che ti tocchi prima che tutto finisca. Ho commesso un errore dietro l’altro ma siamo su questa terra per fare delle scelte, e non sempre imbrocchiamo la strada giusta. “Ti picchierò fino a sfogarmi” mi disse guardandomi dritto negli occhi. “Fai pure se questo ti farà stare meglio”. “Sei solo un alcolizzato del cazzo” gridò girando la pagina del libro. Emise un lungo sospiro e si sedette sul bordo del letto. Man mano che l’eroina gli entrava in circolo si sentiva più tranquilla. “Sembri un angelo” e le baciai i capelli, mentre lei appoggiava la testa sul cuscino. Eravamo andati in pezzi da qualche parte nascosti nel buio della notte. Eravamo una storia ideale per qualche fottuta canzone di rock’n’roll. Eravamo uno stupido errore mentre c’inzuppavamo di whiskey, in qualche bar sperduto della città. Ma ci amavamo. C’eravamo messi a nudo strato dopo strato, bugia su bugia. Mentre guardi nel vuoto dei suoi occhi... dimmi che effetto fa... La polvere copriva tutta la stanza, e aleggiava come una nuvola intorno alla lampadina dell’abat-jour accesa sul comodino. Quando lei si addormentò presi la bottiglia di Jack Daniels e mi sedetti sulla poltrona osservando le ombre intorno a me. Eravamo diretti all’inferno e avevo la sensazione che questa volta era davvero finita. Non saremmo andati molto lontano così conciati. Una calma piatta e glaciale s’impossessò di me. Forse questa era la vita di qualcun altro. E mi venne da vomitare. Senza rendercene conto c’era sfuggito tutto di mano. Anche la nostra anima, era volata via attraverso il tubo di scarico del cesso. Alle volte quei brandelli di canzoni che mi suonavano nel mio orecchio interiore, mi ricordavano che ero stato un musicista. Quando il pulsare della vita mi toglieva il fiato, e avevo cucito un sogno nel mio cuore. Quel sogno rock di Elvis. Ma anche di quei vagabondi nati dalla parte sbagliata della città. Adesso nessuno poteva più salvarmi. E non era una questione di coraggio. Mi ero amputato le ali da solo. Ero come un’incisione sul palmo di una mano. Un falsario di me stesso. Vagavo nel buio e guardando le tenebre avevo infranto ogni regola. Con gli occhi in fiamme per quanto mi faceva male richiuderli, il cuore accelerò i battiti. Fuori soffiava un vento aspro. Soffiava sulle corde di una vecchia acustica scorticata dal tempo. Sulla faccia di uomini scordati da tutti. Sulle aste dei microfoni. Su quei dischi che avevo riposto e che parlavano di fallimenti, ingiustizie, assassini e libertà. Il mondo continua a essere quel luogo dove le decisioni sono state prese molto molto tempo fa. Mentre il silenzio lentamente si è rubato tutto di noi. Anche la poesia è svanita nella noia polverosa, di chi ha paura di bruciare sotto i raggi del sole. Erano le tre del mattino. La pioggia venne giù  e mi accarezzò come un bacio tiepido. Il frastuono e la confusione dominavano su tutto. Le lacrime mi scesero copiose sulle guance. A ciascuno il suo posto. In preda alla follia. 

Bartolo Federico


mercoledì 11 febbraio 2015

Ombre Blu

E’ un sacco di tempo che le cose non vanno bene. Avevo girato facendo di tutto pur di racimolare i soldi per tirare avanti. Ma è difficile vivere in un paese dove tutti si fottono per una manciata di euro. Partire significava dimenticare il passato. Mettere un punto sopra quel manto di pece nera. Avevo con me un mucchietto di canzoni, che mi ero portato appresso quando la solitudine si sarebbe fatta un ruzzolone senza freni nel cuore. Sono sempre le emozioni che tagliano l'ombra nel buio. Insieme agli spiriti. Non avevo più niente da dire per rompere quel sortilegio schifoso. Ombre blu mi circondavano. Erano i blues che ronzavano sopra la mia testa. Suonavano sempre più' deboli e stanchi, quei malandati blues. Avevo vent'anni e ci credevo alla rivoluzione. Era il sogno di molti. Niente da fare. E' stato solo un equivoco, tra una canzone e l'altra. Tra un rito voodoo, e la notte. Poi l'inverno è andato avanti per molto tempo. Con la pioggia e la bruma. Sake 'Em On Down. Tutto si spiega, lo so bene. Anche il rossore di fronte ai miei dischi. Che sono tutto quello che mi resta di sincero e folle. Non posso fare altro che ascoltare, perché a sentire certe cose, mi tornano le forze. Quelle forze che ti spingono ad andare in fondo a quei gemiti che non hai ancora sentito, o afferrato. Mi piacciano sempre quei luoghi misteriosi dove ci si sente frastornati, ambigui e tormentati. Quei luoghi che ti trasformano, e dove il più' delle volte si torna vinti.  Ma se ti spingi troppo corri il rischio di finire schiacciato. Perché ti avvertono sempre troppo tardi, quando sei in pericolo. Lo fanno apposta per toglierti di mezzo. Highway 61. Vecchi viaggi e sensazioni. Affanni e miserie. Il motore ad un tratto fece uno strano rumore. Decisi di fermarmi per evitare conseguenze. Le strade che portano lontano, non sono poi tante come si pensa. E le cose vanno sempre come vogliono. La verità è un tormento. Rimpianti e nuvole. Ancora una chance per favore. La strada è l’unico rifugio per i sognatori. Verso il tramonto è arrivato un temporale. Dopo, i primi venti del sud, mi fecero accapponare la pelle.

Bartolo Federico


sabato 7 febbraio 2015

L'Anima Di Un Uomo

Stavo in sella alle mie illusioni in un alba rosso prugna. Mi fermai in un area di servizio e feci colazione con un doppio caffè e brioche. Comprai una cartolina e in un angolo scrissi “Ti Amo”. Gliel’avrei spedita da qualche punto lungo il tragitto. Poco prima che andassi, lei mi disse, abbracciandomi: - Non mi spezzare il cuore, se puoi non farlo mai -. Guidavo e non riuscivo a dimenticare la sua ultima frase, era quella che mi rimbombava nella testa come una palla da biliardo: - Lo sai che il tempo prima o poi porta tutto alla luce, lo sai che è cosiNon fingere su questo neanche con te stesso -. Mi domandavo perché mai mi avesse detto quelle cose. Forse le mie ombre, i miei buchi erano visibili. La muffa sul mio cuore mi aveva sovrastato.

Cosa mi era successo? Perché non avvertivo più quel segnale che mi aveva sempre messo in allerta? Avrei disinfettato e guarito definitivamente le mie ferite. Avrei tenuto fede ai miei propositi prima che, ancora una volta, fosse troppo tardi. Ma tutto ero stagnante. Mi guardavo come fossi un passante davanti ad una vetrina di un negozio che, gettata un occhiata veloce, proseguiva dritto per la propria strada. Un visitatore frettoloso di me stesso. Ecco cos’ero diventato. St. James Infirmary suonata da Allen Toussaint in “The Bright Mississippi” un disco che è un tributo ai grandi del jazz come Louis Armstrong, Sidney Bechet, Jelly RolMorton, e Joe “King” Oliver, reggeva quei pensieri cullando i mie deliri.

La strada era rivestita dei sogni frantumati di tutti quei randagi che l’avevano attraversata. Mentre lo scenario che mi circondava toglieva il fiato, ebbi quasi paura che disturbassi quell’immensa bellezza con il mio passaggio. La strada era da sempre l’unico luogo dove riuscivo a fare chiarezza, sin da ragazzo era stato così. Sanguinavo sotto il cielo che era un tappeto di sogni usati, ma era anche il luogo da dove lei era sbucata tutto ad un tratto riempiendo la mia vita. Dopo, lentamente si era iniettata nelle vene e il muro era crollato. Adesso era l’essenza di tutti i miei sogni. Adesso avevo ricominciato a vivere dopo essere scivolato nel regno dei morti.


Sistemo nel lettore il cd “One foot in the Ether” dei The Band Of Heathens che è un disco dove il gospel, il blues e certo funky&roll si attorcigliano come serpenti, alle tre voci dei leader che accompagnate da chitarre slide che sanno di polvere e fango si intersecano in canzoni avvolgenti che ti ronzano nelle orecchie fino a diventare appiccicose come le zanzare. L.A. Country Blues ha lo spirito fiero del rock di strada e germoglia di libertà  narrando la storia dello scrittore Hunter S. Thompsonmorto suicida mentre era al telefono con la moglie. Ma in realtà assassinato per le sue inchieste dopo l’attacco terroristico alle torri gemelle. Let Your Heart Not Be Troubled è una ballata alla Stones, Shine a Light un gospel con slide e organo e le voci che si inseguono, What’s this world è la canzone che Steve Earle non scrive più da quando ha lasciato il Sud e la Gibson. Ancora oggi pur in pellegrinaggio dal vecchio Hank Williams non gli gira più come un tempo. Torna indietro Steve! Say è un R&B che mi riporta alla mente i Semi-Twang di Salty Tears, ma anche gli  Statesboro Revue. Ad eccezione di Look at Miss Ohio di Gillan Welch è tutta farina del sacco dei leader: Ed Jurdi, Gordy Quisty e Colin Brook. La luna sottile è un cerino pronto a dar fuoco al cuore di tutti i soul lovers che bazzicano ancora le terre cattive del rock e Golden Calf con il suo incedere voodoo è perfetta per andare incontro alla notte.

Cosa avrà provato il piccolo Willie Johnson quando quel liquido tossico lo accecò, cosa fece dopo che quel secchio da bucato gettato con rabbia durante una lite tra suo padre e la matrigna gli bruciò le pupille. Forse avrà corso con le mani sugli occhi piangendo per il dolore e la disperazione attraversando i campi di Marlin in Texas senza riuscire a fermarsi mentre il mondo si oscurava per sempre. Avrei voluto essere li e tenerlo forte, abbracciarlo sorreggerlo ed avrei pregato Dio in qualche modo affinché gli restituisse la vista. Avrei voluto esserci quando scisse “Dark was the night And Cold The Ground “ un blues strumentale che esprimeva il dolore la sofferenza, il bene e il male, con note raschiate sulle corde della chitarra da un coltellino usato come slide, mentre spargeva tutto il suo tormento . Avrei voluto vederlo suonare per strada mentre predicava, perché era nella fede che si era rifugiato per trovare ristoro ad una vita fatta di stenti e miseria. Avrei voluto conoscerlo ed essergli amico. Gesù Cristo era un uomo e aveva viaggiato in lungo e in largo. Era un lavoratore coraggioso e instancabile. Diceva ai ricchi: “Date la vostra roba ai poveri”. Così hanno fatto il funerale a Gesù Cristo” (Jesus Christ - Woody Guthrie)

Blind Willie Johnson si fece predicatore battista e iniziò a divulgare il credo per le strade del Sud. Era un abilissimo chitarrista, dal suo strumento traeva suoni limpidi e puliti che lo differenziavano da tutti gli altri bluesman che bazzicavano l’area del Delta. La sua musica era un misto di gospel blues e folk dai toni caldi e seducenti ed aveva un canto che scuoteva l’animo come un fuscello. La sua voce, potente e roca ma velata di tristezza, era il suo grido profondo, per una vita durissima, che sapeva donare comunque consolazione a chi gli prestava ascolto. Willie, come tanti altri bluesman ciechi, si guadagnava da vivere suonando per le strade in cambio dell’elemosina. Well, who's that a-writing?/ John The Revelator/ Who's that a-writing?/ John The Revelator/ Who's that a-writing?/ John The Revelator/ A book of the seven seals ” (John the Revelator)

Quando conobbe Angelina,un’ex cantante gospel, si sposa e va a vivere a Dallas. Ed è in Texas che inizia ad incidere le sue canzoni, una trentina in tutto, che nel tempo diventeranno pietre miliari del blues. If I Had My Way, Let YourLlight Shine On Me, You’re Gonna Need Somebody On Your Bond, Motherless Children Have A Hard Time, Make Up Dying Bed. Canzoni spesso accompagnate dal controcanto di Angelina che diedero alla sua musica un fascino tutto particolare. Un uomo sensibile e toccato nel profondo dagli eventi ingrati che lo perseguitarono. Una vita passata nell’indigenza, dove solo la musica riuscì a lenire il suo profondo dolore, un musicista sincero e speciale, ma sfortunato, anche nell’orribile morte che fece. Qualcuno qui mi può dire che cosa è  l'anima di un uomo?/ Ho viaggiato in diversi paesi/ Ho viaggiato per terre straniere/Non ho trovato nessuno che mi dica che cosa è l'anima di un uomo.” (Soul of a Man). La sua casa andò in fumo e Willie Johnson, che non sapeva dove andare, restò a dormire tra quelle macerie. Quella sera il cielo lampeggiò e faceva un freddo cane. Si rannicchiò su se stesso e si addormentò. A testa in giù, nella fredda terra sprofondò. Quando Ry Cooder suonò Dark Was The Night nella colonna sonora di Paris Texas di Wim Wenders sono certo che ogni nota che ha centellinato, scolpito con la sua chitarra, è stata guidata dalla mano e dal cuore di Blind Willie Johnson.

Eccomi in cammino, con il tempo che mi spia, cercando di mettere in chiaro quello che non so. Ho le mani sudate e il cuore che mi martella mentre salgo le scale del Motel. Ho con me la mia piccola chitarra da viaggio, getto la sacca da marinaio sul letto e cerco la melodia per quei versi che da tutto il giorno mi frullano nel cervello: ”A meta strada sto tra le tue braccia/ correndo nella notte/ guidando contromano/ ho trovato la chiave/ Se piovono stelle vienimi vicino/ non guardarti indietro/ in fondo siamo vivi ed è quel che conta/ Trattieni il respiro/ manda giù la promessa/ non lasciamoci più/ non lasciamoci più/ non lasciamoci più/ Ci si abitua a tutto anche a morire/ Oggi come allora/ prendi la mia mano tienimi cosi/ Oggi come allora/ prendi la mia mano tienimi cosi.” (Come Allora) 

Il giorno dopo scrissi quelle strofe sulla cartolina e prima di ripartire la imbucai.

Bartolo Federico 

Tratto da Viaggiatori Nella Notte



LE Bambole Di New York



E’’ notte fonda. Johnny Thunders guida, sprofondato sul sedile. Accanto a lui David Johansen, appoggiato al finestrino, guarda la strada. Sui sedili posteriori, Sylain fuma erba mentre Arthur “Killer” Kane dorme con la testa ciondoloni. Billy Murcia gioca col tamburo della pistola. Sono in cinque e vengono dal distretto del Queens, il buco del culo, di New York. La musica nella radio è bassa. Stanno ascoltando il nuovo singolo degli Stones, Brown Sugar: “Zucchero di canna, com’è che sei cosi buono? Zucchero di canna, proprio cosi dovrebbe essere una ragazzina”. Johnny imbocca una stradina. Ma, deve sterzare bruscamente, per non investire un coglione che attraversa. La manovra fa sbattere la testa sul sedile a Killer Kane, che bestemmia e se la prende con Johnny che, a sua volta, lo manda affanculo con voce dura. I pappa, a quest’ora della notte, sono padroni di Manhattan. Sostano, con le loro Chevrolet e aspettano i clienti. Nel frattempo, fingono di parlare con quelle fighe vertiginose che hanno a fianco. E tutti hanno l’aria di chi ha capito come va la vita. Si fanno buoni affari con le puttane, perché tutti gli uomini vanno a puttane. Anche i Presidenti. Il lavoro sporco lo fanno i negri. Tocca a loro spacciare l’eroina. Come al solito pensa David, mentre alza il volume della radio, che trasmette Bitch. ”Mi sento cosi stanco, non riesco a capire. Ho appena finito una dormita di due settimane. Mi sento cosi fatto, cosi confuso, eppure non ho toccato niente da una settimana.” Poi, nel buio, incrocia gli occhi di Johnny ,ma non si dicono nulla. E’ la prima volta che escono dal loro territorio. Sono nati nel sobborgo dei poveri. In qualche modo, hanno cercato di rigare dritto. Ma, se nasci povero, hai un marchio di fabbrica. Non puoi scegliere come vivere. C’è sempre qualcuno, o qualcosa, a renderti la vita difficile. All’angolo, suonano dei blues. L’aria è tersa, e New York è un’immensa vagina. Sylain urla di fermarsi, ha visto l’insegna del club, dove hanno appuntamento. E sull’altro lato della strada, rispetto al loro senso di marcia, Johnny fa un inversione ad U, e torna indietro. Parcheggiano a spina di pesce e scendono dall’auto. Il locale è rettangolare, con il palco in fondo alla sala. All’entrata, il buttafuori, che sembra un lottatore di sumo, li guarda e cerca di mandarli via. Ma Billy usa un argomento convincente. Gli punta, la canna della pistola sul viso, proprio in mezzo agli occhi. Quando entrano al Joe Garage, il Re di New York sta cantando: “Fermo all’angolo la valigia in mano jack indossa il corsetto, Jane il proprio gilè ed io sto in una rock’n’roll band”. Si siedono in silenzio in un angolo ed ordinano da bere. Whiskey, gin e delle lattine di Coca. Hanno appuntamento, con un tizio di cui non ricordano il nome. Li ha visti suonare nel Queens, il giorno di Natale, in un rifugio per senza tetto e gli sono sembrati ok . Sono lì che aspettano. Alle porte del loro sogno.Il cantante sul palco, gira le spalle al pubblico ed attacca una nuova canzone. “Non so proprio dove vado, ma proverò a raggiungere il regno se ci riesco, perché mi sento un vero uomo quando infilo l’ago in vera poi dico che le cose non sono affatto le stesse, quando mi sto godendo la mia pera e mi sento come il figlio di Gesù e ammetto che non so niente e ammetto che non so proprio niente”. Ray arriva con una buona mezz’ora di ritardo. Ed è vestito come Alice Cooper. Il locale è pieno di fumo, che sembra che galleggi sulle loro teste. Hanno preso della benzedrina e scalpitano per la voglia di farsi sentire. Sylain e Johnny sono due chitarristi di puro rock’n’roll, come Keith Richards. Billy e Arthur due potenti stantuffi. David uno straordinario cantante. Billy guarda Ray con occhi strabici e gli chiede perché li ha fatti arrivare fin li. Voglio ingaggiarvi, risponde Ray, posso farvi suonare in tutta la città. Il vostro suono è unico, nessuna band di New York suona come voi. Siete esplosivi. A proposito, chiede Ray: come si chiama la band? I ragazzi si guardano. Ci stiamo pensando, farfuglia Johnny. Ok, fa Ray. Allora venerdì sera suonerete in questo club. Sarà il vostro debutto. Mettono a punto un paio di cose, ascoltando musica e bevendo tutto quello che è possibile. Quando escono dal club è quasi giorno. Billy vomita sulle scarpe di Johnny, mentre salgono in macchina. Ma Johnny non se ne accorge. Partono a zig zag, cantando Good Golly Miss Molly. 

Bartolo Federico

Tratto da Viaggiatori Nella Notte

domenica 1 febbraio 2015

Il Passo Dell'Anatra



Bel periodo per un cambiamento, vedi, la fortuna che ho avuto può trasformare un uomo corretto in un uomo cattivo e, quindi, per favore, ti prego, lasciami ottenere quello che voglio. Stavolta..(Please Please Let Me Get What I Want - The Smiths)

          
Avevo passato la serata ascoltando musica rock, quando all’improvviso di fronte ad una cover di una vecchia canzone resa ancora più fragile e malinconica di quanto non lo fosse già di suo, mi prese una strana commozione. La riascoltai a lungo, pur di non perdere quell’emozione che sapevo non avrei più potuto replicare. Riflettei che ancora non era finita e che c’era da girovagare, senza evitare i dossi e neanche le voragini. Era meglio andare a vedere e sentire, e cercare di stare sulla corda delle cose, perché i sogni sono come messaggi. Così, guidavo concentrato quel mattino, osservando quattro nuvole gonfie come il collo di un oca che si inseguivano nel cielo. Per un po’ si mossero piano, poi, spinte dal vento, accelerarono sorpassandomi. Nel silenzio in cui ero avvolto compresi che non mi era riuscito di rovesciare alcuna regola, e neppure di piegarla. E per un attimo sbandai, smarrito dal tempo che ci supera, e ci batte. Hai voglia a galoppare verso le foreste vergini, se mai esistono ancora, il tempo ci stacca come una saetta e non puoi fare nulla se non affrettarti a corrergli dietro. Fanculo Bart, pensai, in qualche modo mi arrangerò, e sopravvivrò. Certe cose riaffiorano quando non vorremmo. Sembrano intorbidate dentro di noi, rintanate in quegli anfratti senza nome, poi all’improvviso prendono a rimbalzarti su e giù per il cuore. Ed inizi a sentirti dolorante dentro quel mistero dell’anima, tanto da cercare anche quei piccoli dettagli che ti rispediscono diritto all’inferno. Il registratore di cassa suonò. Se male deve essere, allora che lo sia fino in fondo. 


          Chuck sulla sua Ford V-8 sta svoltando a destra. È alto e ciondolante, quel ragazzo con il cazzo nero, i baffi sottili, e i capelli unti di brillantina, che guida tenendo il braccio fuori dal finestrino. Procede spedito per le strade di Elleardsville, un sobborgo della città di St Louis. Sul sedile laterale, custodita nel fodero, c’è la sua chitarra, una grossa Gibson rossa. Sta assaporando la velocità, e quella canzone che fischietta parla di fuggire con una ragazza per portarla da un capo all’altro dell’America e, al calar della notte, reclinare i sedili per fare l’amore. Un ribelle, temerario, che gli ultimi tre anni li ha trascorsi dentro un riformatorio per un tentativo di furto. Adesso si arrangia con il lavoro di parrucchiere, tirando al massimo il suo sogno di diventare una star della musica. Ed è per questo che ha già formato un trio, insieme al pianista Jimmy Johnson e al batterista Eddy Harding, e si esibisce stabilmente al Cosmopolitan Club di St Louis. È uno ambizioso, Chuck, scrive canzoni e suona la chitarra con impeto e bravura rifacendosi allo stile di T-Bone Walker e Carl Hogan, un musicista, quest’ultimo, sconosciuto al grande pubblico, ma che influenzerà il riff tagliente e nitido di tutti i suoi futuri successi.

Ci sono cose che se ne stanno come prigioniere in quei seminterrati umidi e senza luce. Le sale da biliardo, i negozi di dischi usati, la bottega del barbiere, i motel abbandonati, i vecchi treni. La corriera sgangherata, certi orizzonti. Delle bottiglie vuote, una ricevuta ingiallita, un auto scarburata. La mia stanzetta, roulotte, calendari e memorie. Della moquette unta. Pistole a tamburo, il deserto, piani verticali, le colonnine della Shell, la camminata epica di Gary Cooper, Nighthawks At The Diner. Una cosa tira l’altra. Scarabocchi e tatuaggi, sassofoni e clarinetti. Le brune con gli occhi di Maybellene. Gli spartiti di Hank Williams. Parole e sogni. La nostalgia è davvero una brutta bestia. Ma è una speranza per questa storia. Titoli di coda. Un emozione non si può spartire con nessuno. È solo tua. Ci sono posti che oggi mi appaiono ancora più solitari e tristi, che mi sento davvero sperduto a percorrerli da solo. Ma quei luoghi sono un pezzo della mia identità. Distruggiamo tutto noi uomini, le cose buone e quelle cattive. Mi sedetti a terra con la schiena piegata e provai un immensa cattiveria verso il mondo. Conviene sempre guardarsi alle spalle, anche quando ci si crede al sicuro.


Giù in fondo giri l’angolo diretto al bar, entri infili la moneta nella fessura. Hai bisogno di sentire qualcosa di davvero forte. Con quella che ami stai filando è tutto il giorno che hai voglia di ballare. E ti sei sentito dentro la musica da capo a piedi. E balli, balli balli. Viva, viva il rock’n’roll. La batteria è forte e violenta Viva il rock’n’roll. (School Days -Chuck Berry)


         Il punk diede un calcio nel culo a tutti quei gruppi inglesi che imperversavano durante gli anni settanta. Genesis, Emerson, Lake & Palmer, Yes, Gentle Giant, Camel. Suonavano suite lunghe e alle volte anche noiose, costruite con arrangiamenti spesso eccessivi e dai toni celebrativi. Musica borghese, per figli di papà, con la puzza sotto il naso, che si potevano permettere lo stereo milionario e  frequentare il circolo del tennis e della vela. Mica dei Jesse James qualunque, che si strascicavano sulle strade squattrinate del blues. Ma quando il cielo si fece troppo scuro e il buio scese di colpo, il rock cercò giustizia. Spuntarono, come funghi dopo la pioggia, giovani gruppi formati da disadattati, che provenivano dai sobborghi, con i capelli a cresta di gallo, gli anfibi e i jeans strappati. Tornavano alle radici, al quel suono di Chuck, quei ragazzi, anche se suonavano velocissimi, incazzati e duri come i Ramones. E fu di nuovo Rock’n’Roll, della migliore specie, illegale. Chiuso nella mia stanzetta, agitato come un pazzo, guardando una copertina dei Clash un pomeriggio da cani, feci in mille pezzi la mia chitarra acustica, eseguendo il passo dell’anatra. Dopo, però, ero sotto shock e mi venne da piangere, perché non me ne potevo comprare un’altra.

Chuck aprì la birra e la schiuma schizzò da tutte le parti, il motore urlava. Si asciugò il viso con la manica della camicia e partì, dirigendosi a est fuori città, verso un locale nascosto e solitario. Chicago nel 1950 era la città della musica. Il blues tradizionale del Delta era stato accantonato per fare spazio ad un suono elettrico, più danzabile e fruibile al pubblico dei bianchi. I fratelli Chess, degli immigrati polacchi, con la loro casa discografica erano diventati i nuovi profeti per quel popolo in cerca di riscatto. “Maybelenne” nel 1955 va in cima alle classifiche vendendo più di un milione di copie, eppure Chuck Berry pensava che “Wee Wee Hours” era migliore di quel country and western. Avevo imboccato una strada trafficata, e all’interno dell’auto rimbombava la musica degli Hoodoo Gurus che, grazie alle loro graffianti canzoni pop, era come ascoltare i Beatles che suonavano finalmente del sano, sporco e selvaggio rock’n’roll. Ognuno gode attaccato alle canzoni che più lo fanno vibrare fin dentro l’anima. Quella sera il cielo era strascicato di rosso. Guidai per ore che sembravo quasi una statua, e rallentai solo davanti ad un insegna di un locale. Qualcuno uscì, gli gettai un’occhiata veloce e prosegui oltre. Che cosa ci facevo lì? Spaventato, smarrito, straniero, ma vivo. Accesi una sigaretta, e la fiamma dell’accendino illuminò l’abitacolo. Mi mancava qualcosa. La musica. Accesi la radio e ricominciò la danza. Ragazze e automobili erano le fissazione di Chuck e fu con quegli argomenti che folgorò il pubblico dei teenager bianchi. 


C’è rock genuino giù a Boston. Tutti che vogliono ballare con la dolce piccola sedicenne. Deve avere più o meno mezzo milione di autografi, ha una borsetta piena di foto. Non vedi che non sta nelle pelle… Oh mamma mamma, ti prego posso andare? E’ tutto così fantastico veder un cantante far furore. (Sweet Little Sixteen)


La radio suonava Satisfaction dei Rolling Stones. Ogni cosa è stata fatta e forse tutto è già stato scoperto. Ma quando ti avventuri nuovamente su quelle strade percorse dal vento e dalla solitudine, è come se ogni cosa dovesse accadere un'altra volta. E la replica, alle volte, può sembrare una prima. Anche se lo stupore, quello che ti ha lasciato confuso e senza fiato, quando sentisti per la prima volta i Kinks, gli Animals, gli StonesHendrix, i Sex Pistols, le New York Dolls, beh! quello non torna più’, tranne che uno non si metta a recitare con se stesso. Chuck Berry arrivò nelle Top Ten degli anni cinquanta con “Rock’n’ Roll Music”, “Sweet Little Sixteen”, e “Johnny B.Goode”, brani che lo confermarono tra i più grandi songwriters rock. Aveva pubblicato poco tempo prima, ma senza troppo successo, anche  “Too Much Monkey Business”, ”No Money Down”  “Thirty Days” e “School Days”. Tutte canzoni che fanno parte di quel libretto d’istruzioni per una perfetta sintesi di stili a cui attingeranno una miriade di gruppi rock dagli anni sessanta in poi. Il sabato sera, il cinema all’aperto, il sesso incompleto. Chuck riesce a scrivere di quello che turba un ragazzino ed è qui la sua grandezza, perché è in questo modo che il rock diventa un fenomeno di massa.


Nella notte una miriade di insetti si stava suicidando spiaccicandosi sul lunotto della macchina, mentre la luna si trasformava lentamente in un cane randagio. I primi uomini usarono il linguaggio dei segni per comunicare, il rock’n’roll ha usato codici e parole semplici. Coca Cola, piste da ballo, autostrade a due corsie, chitarre Stratocaster, birra Burgermeister, bulli da città, fighe e culi, le macchine Ford, e le GMC, i figli di puttana, i taxi gialli e i vetri bagnati dalla pioggia. Camionisti e paghe scarse, la noia, biliardi e boccette, organi Wurlitzer, barattoli e scatoline, Carl PerkinsFats Domino, melodia e rumore. Cosa c’è sotto questa luna? Mi sentivo un po’ confuso, quando il tambureggiare della pioggia si trasformò in un ticchettio. I brani di Berry saranno sempre superati nelle hit parade da quelli di ElvisPat BooneRicky NelsonFabian, tutti giovani bianchi di bell’aspetto molto più commerciali di uno con la faccia nera e ruvida. 


Avevo messo il cd dei “Basement Tapes”, un disco di Dylan che suona insieme alla Band, e i chilometri e la stanchezza, adesso, mi potevano fare solo un baffo. Con quella musica sarei potuto arrivare dall’altra parte del mondo, dove forse avrei incontrato dei territori vergini da esplorare. Quelli che stanno cercando alcuni miei amici di viaggio, Evil, Massi, Ant, Vlad, Hyde, vagabondi dell’anima, che si aggirano silenziosi per l’etere. Amo il mio paese, ma non chi lo governa. Sono terrorizzato, perché è stato dato in mano con una serie di manovre ad un babbeo, pericoloso per il futuro della mia gente, tutta. E balli balli, Viva Viva il rock’n’roll. Te lo ricordi dai vecchi tempi rock, rock, rock and roll(School Days -Chuck Berry). Alan Freed era un disc-jockey, ed anche lui è stato uno dei tanti furbi che ha approfittato del potere di una trasmissione che teneva alla radio nel 1955 per prendersi i crediti di avere inventato la parola rock’n’roll. Di certo ha fatto ridere a crepapelle Fats Domino, che la usava già nel 1947. Programmò a manetta anche “Maybellene”, il pezzo di Chuck, in cambio che il suo nome figurasse come co-autore.

Ci sono molte serpi sparse per il mondo, che non sempre hanno le sembianze animali. Nei miei sogni la giustizia non è fatta per proteggere i ricchi, ma le persone perbene. Però, la mia speranza si trasforma in disperazione a guardare come vanno le cose. Di chi puoi fidarti?, mi chiesi, intanto che la strada si inerpicava su un ponte vertiginoso. Ero sempre pieno di dubbi, sembravo un sopravvissuto ad una catastrofe cosmica. Che cazzo era successo a questo mondo per diventare in questo modo. Multinazionali che comandano milioni di persone, e possono fare ciò che vogliono della loro vita. Chi ha dato questo potere a questi sciacalli assassini?. Chi si è permesso di affamare la Grecia, di ridurre in miseria i popoli africani? Chi sta spingendo affinché l’Italia diventi un serbatoio di lavoro al pari della Cina? Perché è sempre l’uomo qualunque a dover pagare il prezzo più alto? Il vento modella le rocce, e la natura ostinatamente si riprende sempre quello che è suo. La dovrebbero imparare anche gli uomini, questa verità.


     
    Bisogna spingersi più in là, è giunta l’ora dei cambiamenti, e di graffiare il mondo con la propria esistenza. Non possiamo più galleggiare in fondo all’emozioni, dobbiamo riacciuffare ciò che è nostro anche con un semplice gesto, un piccolo sguardo. Bisogna arrivare sotto la superficie levigata delle cose, per ricordarci chi siamo e che stiamo attraversando tutti insieme questa sporca strada. Guidavo in uno stato di semincoscienza con il finestrino aperto e me ne andavo non so neanche io dove, su quella polverosa strada secondaria. E la cosa non è che m’importasse più di tanto. Sapevo che alla fine avrei cambiato anche quella melodia, per quella canzone che stavo finalmente scrivendo. Mentre della polvere mi imbiancava il viso, forse stavo tornando a casa e la stanchezza era finita chissà dove. Eppure, mi sembrava di stare fermo su quella strada. E allora ripresi sommessamente a cantare quella vecchia canzone, proprio quando ero vicino ad uno scalo ferroviario. Viva Viva il rock’n’roll. Te lo ricordi dai vecchi tempi Rock, Rock, Rock And Roll.


Bartolo Federico