domenica 25 marzo 2018

Sangue zingaro

Sua madre gli raccontò che quando nacque pioveva a dirotto da giorni e che Ft Worth – nello stato della stella solitaria – era diventata un’immensa pozzanghera. Le doglie le presero in anticipo di un mese e, siccome lui era il primo figlio, fu assalita dal panico. A quel tempo la zona in cui abitavano era abbastanza isolata e distante dall’ospedale. Suo marito era fuori per lavoro e non sarebbe rientrato prima di un paio di giorni. Tentò di chiamare aiuto per telefono, ma le linee erano interrotte per le forti piogge. Non sapeva che fare. Nonostante tutto cercò di vincere l’angoscia e di non farsi soggiogare dagli eventi. Robert Lockwood era un tipo strambo, veniva da Chicago e viveva nella casetta di fronte. Come tutti i musicisti dormiva di giorno e alla sera suonava nei locali sparsi nei dintorni. Un tipo gentile, però. Quelle poche volte che si erano incrociati per la strada l’aveva salutata sorridendole… ma lei non si fidava dei neri vagabondi che suonavano il blues. Si raccontavano strane storie su di loro, si diceva che avevano il diavolo in corpo e che erano assai pericolosi, bevevano come spugne e violentavano le donne, specie se bianche. Adesso quell’uomo bussava alla sua porta perché l’aveva sentita urlare e lei non aveva alternative. Quando aprì l’uscio, la pioggia veniva giù impetuosa, accompagnata da un vento gelido. Robert, avvolto in un impermeabile, era inzuppato come un pulcino. “Tutto bene, signora?” le disse sorridendole… ma lei non fece in tempo a rispondere che svenne. Quando riaprì gli occhi era distesa sul letto, l’uomo aveva già preparato l’occorrente per il parto e le rideva benevolo. Lo osservò, si senti sicura e le parve, da come si muoveva, che sapesse il fatto suo. Dopo un’ora di travaglio e di dolore per le contrazioni, Mason, prima usci di testa, poi con le spalle e nacque. Mr. Lockwood tagliò il cordone ombelicale, lo alzò in aria come Mosè e lo diede alla signora Ruffner. Fu in quel frangente che, ancora umido, il blues gli si attaccò addosso. A volte non si può barare con il proprio destino. Il piccolo Mason crebbe a casa di Mr. Lockwood. Ci andava ogni giorno dopo la scuola e ci restava tutto il tempo possibile. Dopo quella notte Robert era diventato uno di famiglia ed è in quella casa che il Flaco imparò i primi rudimenti della chitarra e i suoi segreti, conobbe i vari maestri del blues: T-Bone Walker, BB King, Jimmy Reed, Robert Johnson, Elmore James, Chuck Berry, Howling Wolf, John Lee Hooker, OtisRush, Lightnin Hopkins e s’innamorò perdutamente di quel treno di fuoco che era la musica di Jimi Hendrix. Mason era un talento e presto sotto l’aspetto tecnico superò il suo Maestro.  Di questo Mr. Lockwood ne fu orgoglioso. Oltre ad ascoltare e suonare il blues, Mason guardava il mondo con gli occhi della poesia e, per un ragazzo che si aggrovigliava nell’animo, fu naturale accostarsi al genio lirico di Bob Dylan e del poeta Arthur Rimbaud, ambedue anime inquiete, sovversive e vagabonde che gli fornirono gli spunti necessari per iniziare a scrivere le sue canzoni.
Non parlerò, non penserò a niente: Ma l’amore infinito mi salirà nell’anima e andrò lontano, molto lontano, come uno zingaro nella natura, felice come con una donna. (Sensazione – Marzo 1870).
Ma anche Baudelaire e il conte Lautrèamont furono importanti nel suo bagaglio culturale. Aveva tracciato quella analogia tra il blues e la poesia francese perché reputava che entrambi lenissero il dolore pur biascicando tristezze. La vecchia strada era piena di polvere che il vento gli sbatacchiava sul viso. Il sole fece brillare il suo dente d’oro con le iniziali incise. Fu allora che New Orleans gli comparve all’orizzonte. Arrotolò i sogni dentro un joint, accese l’autoradio che trasmetteva Truck Stop Girl e spinse sull’acceleratore.
“Portami lungo New Orleans, non tenermi qui, devo suonare il blues a Bourbon Street, e scacciare suonando questa tristezza solitaria. Scommetto che i joints stanno piovendo a New Orleans. Se io rotolo e fumo, bambina, non ho bisogno di dormire. Si dice che le ragazze più carine sono in Texas, so che tu sei fuori da questo mondo, ma devo andare a New Orleans e trovare una ragazza creola(Down to New Orleans).
Il caldo umido fu rotto da una pioggia a scroscio che gli sembrò un battimani e Bourbon Street si spopolò alla svelta. Mason rimise la chitarra nella custodia riparandosi sotto una pensilina. Aveva scritto diverse canzoni, ma non trovava nessun musicista che avesse voglia di mettersi in gioco con materiale nuovo. Tutti quelli che aveva incrociato desideravano suonare solo cover di Sly And the Family Stone. Quando non si ha fretta ci si perde facilmente per la strada… ma questo non era il suo caso. Irrequieto e curioso inseguiva le parole come se gli cadessero dal cielo ed era necessario afferrarle prima che sparissero. Intanto che fremeva di vederle in faccia una ad una quelle anime della notte ammucchiate giù nel fondo. Se vuoi una cosa con tutto te stesso, prova e riprova a volte finisce che la ottieni. Ora aveva una sua band, The Blues Rockers, che aveva scelto con estrema pazienza. Voleva essere certo che i musicisti fossero in grado di catturare quel groove che rincorreva da quando Mr. Lockwood gli mise in braccio la sua Gibson Les Paul. Non faceva altro che ripeterglielo “trova il groove Mason, il groove”. Cosi, insieme a Chris Clifton alla chitarra, Mike Stockton al basso e Willie Cole alla batteria, ogni sera per 200 sere all’anno si esibisce al Club 544 in arroventati set. La mano corre veloce lungo il manico della sua scuoiata Stratocaster, entra ed esce dalla canzone con fraseggi melodici fulminei impasta perfettamente il blues con il rock’n’roll e canta con una voce liquefatta alla Dylan. La sua innata simpatia gli fa conquistare il pubblico, che ogni notte è sempre più numeroso ed ha il sostegno di Memphis Slim e John Lee Hooker. Alla fine del giro si ritrova sotto il palco musicisti del calibro di Bruce Springsteen, Jimmy Page, Robbie Robertson, Carlos Santana, Stevie Ray Vaughan e Billy Gibbons degli ZZ Top, tutti a vedere il nuovo Santo” in città. Quelle canzoni finalmente ottengono un contratto discografico con la CBS e un produttore, Rick Derringer. Giù nei quartieri di periferia hanno spento le luci e i rinnegati vanno a zonzo come fossero gli ultimi romantici con in tasca piccoli diavoli blu da donare alla rosa di Tralee, che vestita di bianco è avvinghiata nelle braccia del Gitano. Danza, danza, danza la “Serenata” lungo le strade prima che la notte venga su, prima che la notte l’inghiotta per sempre. Riviste e giornali prestigiosi lo applaudono. Salta sul treno dei desideri andando in tour con Jimmy Page, ma tenendo i piedi ben piantati in terra. Da viaggiatore solitario sa bene che tutto può svanire in un attimo… e allora cerca di difendere la sua anima, di seguire la sua strada senza precipitare. Le vendite del disco “Mason Ruffner” sono esigue, appena settemila copie, ma non si scoraggia. Ha i giusti anticorpi per affrontare la situazione. Gli uomini di blues hanno la pelle dura. Durante il tour con Page, scrive nuove canzoni e, suonandole, si rende conto che ha del buon materiale, occorre solo metterlo bene a fuoco. La CBS gli offre un’altra chance. Questa volta il produttore che lo affianca è un rocker gallese che conosce la materia. Nick Lowe sa come mischiare rock’n’roll e blues nelle giuste dosi e giocare sulla semplicità che è quasi sempre la carta vincente. La Stratocaster di Mason viene posta in primo piano, esaltata, rinvigorita e vengono fuori quelle influenze cajun che ha assimilato in Bourbon Street. Cosi “Runnin” diventa un piatto fumante di gumbo offerto da Dr. John attraverso Stevie Wonder, cantata alla John Hiatt. Gypsy Blood, che è anche la title track del film “Steel Magnolias”, è magnetica e diretta. Una di quelle canzoni che chiunque pagherebbe per scriverla. Colpisce con licks e riffs che sono una prelibatezza ed è Bibbia per tutti quelli cresciuti nei bassifondi del rock.
Dio sa che sono nato zingaro,il mio cuore non ti puòrubare,cieco ho messo la mano sulla mia valigia  viaggiando con la mente è quel sangue ,quel sangue zingaro che mi porta lontano dall’amore ”  (Gypsy Blood).
Da uomo libero che non ha smesso di andare, vedere e sentire, compone canzoni che sono un attestato all’indipendenza: Dancing on top of the world e Fightin Back parlano chiaro sui suoi propositi. Distant Thunder è una ballata carica d’amore e poesia, con sullo sfondo Bob Dylan e tutte quelle solitudini piene d‘amore e dignità che vagano libere sotto i cieli del mondo. La copertina di Gypsy Blood” ritrae Mason Ruffner come se fosse il Brando di “Fronte del Porto” o il James Dean di “Gioventù Bruciata” e alla fine il disco fa breccia nei cuori di chi ha giocato d’azzardo tutto quello che aveva ed ha preso la strada dell’inquietudine. Luccicando sotto la luna come una moneta nuova, gettando via gl’incubi rimasti a dondolare nel cielo. Dopo l’uscita del disco Mason va in tour come spalla agli U2 e Crosby Stills & Nash. Viene chiamato da Daniel Lanois per lavorare nel suo disco d’esordio “Acadie” e corona il sogno di una vita suonando per sua maestà Bob Dylan in “Oh Mercy”, disco da queste parti molto amato. Nello stesso anno apre i concerti di Ringo Starr. Poi stacca la spina e fugge via. Il rettifilo era infinito. Superò una fila di autocarri colorati e rallentò. All’incrocio vide le strade bianche di polvere correre parallele, non ci pensò due volte a svoltare. Percorse diverse miglia, poi si fermò in una pompa di benzina, comprò delle birre e ne stappò una. Non provava nostalgia o rimpianti, voleva tornare a casa perché adesso si trattava di decidere che direzione prendere. Dopo un periodo di tregua, abbastanza lungo da farsi dimenticare, ritorna con un album indipendente, “Evolution” che è un mix dei due precedenti, con la novità che lo si può ascoltare anche in versione acustica. “Evolution” contiene una canzone, Angel Love, di cui Carlos Santana si innamora e Mason riparte in tour ma, come tutti i cani sciolti, dopo un po’ ritorna a vagare per le sue strade secondarie dove il caldo e l’afa ammazzerebbero chiunque si avventuri, dove il cielo è una cascata di stelle e la terra risplende in tutta la sua nuda bellezza. Scrive ancora canzoni che si rifanno alla tradizione dei padri secolari del blues e a Memphis incide un nuovo album dal titolo emblematico, “You Can’t Win”, con una band, a suo dire, la migliore che abbia mai avuto. Ad oggi è la sua ultima fatica discografica.
Tienimi la tua luce addosso,vengo a casa, la mia anima urla ,il mio cuore mugola ho visto le ali della pazzia ,tutto da lavare via, ma cose cosi’ qui non accadono“. (Keep on your light one for me).
Le luci dei lampioni sono spente e nell’oscurità qualcuno barcolla. I fuggiaschi hanno vestiti a coda di rondine. E’ quel buco nel cielo, è la follia che ci fa andare avanti sin da quando giovani e incoscienti ci spingiamo nel baratro dei sentimenti. Stavamo seduti su una panchina sulla riva del Mississippi, in faccia aveva stampato quel sorriso che gli ballonzolava. Quel sorriso adolescenziale animava chiunque lo incontrasse, era contagioso e rilassante. Nonostante il mondo lo ignorasse come musicista, lui era felice per come erano andate le cose ed era sempre pronto a cantare e suonare, sera dopo sera, dando il massimo di sé. Me lo disse mentre guardavamo il Mississippi scorrere lento. Solo una cosa aveva nascosto nel ripostiglio dell’anima, e questo lo aveva preservato da tutto: l’innocenza. L’innocenza di quando, bambino, guardava il mondo meravigliandosi. “Ancora oggi, che di strada ne ho percorsa tanta, mi sento così”.

Bartolo Federico 

domenica 11 marzo 2018

Facciadiluna



Cucito con le ombre della notte, scrutava la strada che si dipanava davanti ai suoi occhi. La luce del quadrante della radio illuminava di arancione l’abitacolo, e Facciadiluna pensò a dove potersi rifugiare. Tornare indietro non gli era più possibile, era finito sotto tiro e quella pausa di sospensione per l’evento finale lo aveva del tutto inghiottito in un respiro profondo. Alle volte la vita è davvero complicata, pur rompendosi in brandelli quel faro di luce pare che resti sempre acceso sulle nostre piccole miserie. La radio stava per trasmettere musica per i perdenti, così annunciò lo speaker che prosegui dichiarando che quella notte era a tutti loro dedicata. Facciadiluna strizzò gli occhi per non farsi sopraffare dal sonno e accelerò leggermente. If you ever change your mind. About leavin’, leavin’ me behind. Oh, oh, bring it to me. Bring your sweet lovin’. Bring it on home to me, oh yeah”. Aveva cercato in tutti i modi di tenere lontano il buio, ma il buio era arrivato ringhiando. Forse occorre davvero avere molta attenzione e parsimonia per estinguere una vita. Molta di più di quella che le circostanze casuali ci mettono per appiccarne la scintilla. E cos’hai alla fine del giorno? Cos’hai da portar via? Una bottiglia di whisky e un nuovo set di bugie persiane alla finestra e un dolore dietro agli occhi”L’aveva ritrovato per caso quel vecchio portafoglio, come in una caccia al tesoro, rovistando nella stanza, era saltato fuori e insieme a questo quella lettera d’amore mai spedita. Ci aveva infilato le mani tastando dentro quel rigonfiamento ed era venuta alla luce ingiallita e spiegazzata. Se la passò tra le mani come un mazzo di carte finché il suo viso non diventò bianco come le pareti della stanza. Eccola lì, quasi fosse stata la cosa più importante del mondo. Indietreggiò alla maniera di un ubriaco, inciampando sul tappeto, e gli parve di sentirsi come se l’avesse finita di scriverla in quell’attimo. Un Romeo pazzo d’amore canta una serenata dalla strada. Lasciando tutti malinconici con la canzone d’amore che ha fatto. Trova un lampione fa qualche passo fuori dall’ombra dice qualcosa del tipo:”Tu ed io, piccola, che ne dici?” Concentrato in quei pensieri prese in pieno la buca sbattendo il muso sul manubrio. Accostò sul ciglio della carreggiata e controllò che l’auto non avesse subito danni. La sorte questa volta era stata indulgente. Risalì in macchina e ragionò che era molto meglio togliersi dalla strada perché stava rischiando più del dovuto. Anche se intorno non vi è anima viva, quando te la svigni la prudenza non è mai troppa. La camera dell’hotel Imperial era come quella di tante pensioni a buon mercato sparse per il mondo. Un letto di legno con la formica marrone scorticata e annerita dal tempo. Una lampadina sotto un paralume di lamierino e un armadio di legno lo stesso colore del letto. Si accomodò sulla sedia e si accese una sigaretta. Poi si tolse il cappello. “Non mi serve la tua compassione chi fugge dice che le strade non sono più per i sognatori I cacciatori di taglie e i fantasmi che vendono ricordi vogliono anche loro una possibilità”. Dischiuse gli occhi in preda agli incubi che era ancora in quella stanza orribile con la luce della lampada accesa. L’aveva sognata che lo accoltellava, aveva visto le sue mani e la lama del coltello trafiggerlo. Il suo vestito si era macchiato del sangue che davanti usciva copioso dal suo ventre.  Lei continuava a fissarlo con quegli occhi freddi aspettando solo di sferragli il colpo di grazia. Erano stati insieme molte volte, avevano fatto l’amore in maniera selvaggia, e anche feroce, fino a perdersi… ma la paura gioca brutti scherzi e riesce a trasformare due amanti in perfetti estranei. Quello era il suo unico amore, un amore alla rovescia. Era una solitudine senza fine, la loro. “Melanie Jane non proverà dolore. Triste triste. Occhi tristi, viso triste. Triste triste a casa tua. Pensavo di sapere tutto quel che c’era da sapere E io ti amo ancora. Ti amo ancora”. Dopo un po’ l’amore, come molte altre cose, finisce di ardere, rimuginò azionando la manovella dello sciacquone del bagno e guardando l’acqua scendere giù nel buco nero. Prima di rimettersi a letto, inghiottì un lungo sorso di bourbon dalla fiaschetta. L’alcol era la sua cintura di sicurezza, il suo antidoto per il panico. Solo che andando avanti in quel modo alla fine la sua mente si era annebbiata e non sapeva più come distinguere i sogni dalla realtà. A volte sono sopraffatto. quando ci ripenso facevamo l’amore sull’erba verde dietro lo stadio con te, mia ragazza dagli occhi castani. Tu, mia ragazza dagli occhi castani”. Restò riverso sul letto  in preda alla confusione senza arrivare in alcun modo a fare chiarezza dentro di sé. La radiolina accesa sembrava che gli stesse parlando e tastandogli il polso con il sax di John Coltrane che suonava Violets for Your Furs. All’improvviso ti aggrappi ad una speranza, ad una nuova possibilità di salvezza. Non tutti lo sanno ma, mentre si affonda, si continua a nuotare muovendo spasmodicamente i piedi e spostandosi dal nulla verso il nulla. È banale dirlo, ma nasciamo come moriamo, sempre soli. La roba doveva arrivare lunedì notte, ma un imprevisto fece rimandare la consegna. Gino Il Verme lo avverti dopo due giorni dall’arrivo del carico, inviandogli un messaggio sul telefonino con cui gli indicava anche l’ora e il luogo dell’appuntamento. Il giorno convenuto si preparò di buon’ora ed uscì da casa prima del solito. Aveva come un presentimento e gli era venuta voglia di farsi un giro in città. Non aveva paura per quello che avrebbero dovuto fare, non aveva nessuna paura delle sue azioni. Erano altre le cose che lo annientavano, che lo lasciavano annichilito e senza speranza. Continuava a correre, correre, senza fermarsi. Era quello il suo vero problema: raccogliere i cocci. Quel  gesto lo avrebbe semplicemente distrutto. Come una vecchia pendola con il quadrante rotto ma con i meccanismi intatti, seguitava a girare nel vuoto. Lo speaker con voce gentile presentò un nuovo brano e un ondata di gelo lo percorse. “Sono l’innocente spettatore Mi sono in un certo modo bloccato tra l’incudine e il martello E sono giù nella mia fortuna, sì sono in basso nella mia fortuna… Beh io sono giù sulla mia fortuna mi sto nascondendo in Honduras sono un uomo disperato Invia avvocati, armi e denaro la merda ha colpito il ventilatore”. Stavano nascosti da tutte le parti i piedipiatti quella notte. Avevano circondato il porto e acceso i fari e loro erano finiti in trappola come dei babbei… ma qualcuno di certo aveva parlato, era tutto sbarrato tranne quella via di fuga che in pochi conoscevano, un tunnel sotto la banchina del porto. Gli agenti spararono in aria qualche colpo di pistola, ma la banda era composta da gente dura e spietata, abituata a ben altro per lasciarsi intimorire da quattro botti esplosi al cielo come alla veglia del santo patrono. Stava quasi per incanalarsi per poi sparire nel cunicolo, quando l’agente gli urlò da dietro “non ti muovere, sei sotto tiro, fermati cane rognoso!”. Tenendo le mani larghe si girò lentamente. Poi per un lungo istante si guardarono in faccia. Cosa poteva fare adesso? Dove poteva scappare con quella luce negli occhi che lo accecava e la canna della pistola che lo mirava? Tornare dentro sarebbe stato peggio di morire e allora era meglio prendersi un colpo di rivoltella dritto in mezzo agli occhi, ragionò con distacco. Dici ancora le tue preghiere tesoro mio? Vai ancora a dormire la sera? Pregando che domani tutto andrà bene. Ma i domani si mettono in fila In fila uno dopo l’altro Ti svegli e stai morendo Non sai nemmeno per che cosa”. Gli bastò quell’occhiata per capire che quel gonzo era un pivello e che probabilmente quella sera era la sua prima volta. Il rischio che correva, però, era alto. Il tipo avrebbe potuto fare fuoco per un nonnulla… ma proprio di questo non è che gliene importasse molto. Se lo era chiesto spesso per quale ragione i suoi pensieri non erano mai stati lucidi. Di sicuro lo avrebbero aiutato a sentire meglio quella presa, agguantarlo e spingerlo verso il baratro. O forse era sempre stato solo un morto che camminava dentro la vita! Con un balzo improvviso disarmò il poliziotto, gli sferrò un colpo sulla nuca, ma solo per stordirlo e avere il tempo di scappare. Non voleva fargli troppo male, era solo un ragazzino che aveva visto troppi telefilm alla tv e di certo a casa c’era qualcuno in ansia che lo stava aspettando. Alle dodici e dieci della notte sgattaiolava nel buio e in quel momento alla sua stazione radio preferita ascoltavano: Lonesome Dark-Eyed Beauty. “Ad una solitaria bellezza con gli occhi scuri, su una strada lontana. Mi sono svegliato tardi da un sogno l’altra notte e volevo dirti… quando ti senti sola, quando le pareti si rompono intorno a te, quando hai bisogno di qualcuno che ti aiuti a guarire il dolore dentro il tuo dolore”. Lei si era girata per andarsene quando aveva capito di che pasta era fatto. Lui l’afferrò da dietro le spalle, ma era come un gesto di preghiera, di supplica, affinché non andasse via. Un tentativo di tenere con sé l’unica persona che avrebbe potuto salvarlo. Erano due strade che si erano incrociate e per un po’ diventate una cosa sola… ma quella maledetta paura li aveva separati. Quella paura di non farcela, di dovere giustificare sempre tutto e tutti, si era trasformata in rabbia e, man mano, in odio. “Stava piovendo fin dall’inizio ed io ero lì che morivo di sete… così sono entrato e la tua antica maledizione ferisce… ma quel che è peggio è questo dolore. Non posso restare qui, è chiaro che proprio non ci riesco”. Riempì il bicchiere fino a tre quarti. La radio a pile sempre accesa sul comodino borbottava un blues di John Lee Hooker. L’avevano visto insieme quel film di Jean-Luc Godard“Fino All’Ultimo Respiro”, uno dei titoli mitici della Nouvelle Vogue. Gli era sembrato di assomigliare a Michel Poiccard, il protagonista. Un pazzo che per sopravvivere si era tuffato nella notte mescolando realtà e sogni. Una vita che aveva un doppio fondo, di chi vuol vivere senza limiti e si spinge sempre oltre, fino ad azzerarsi. Proprio come era successo a lui. “Lampioni brillano lungo le strade, un inquietante pomeriggio viola di ladri e di sbirri che sempre ti fermano e ti chiedono che cosa stai facendo”. Pensavano che fosse stato Facciadiluna a fare quella soffiata alla polizia… l’unico della banda a non essere stato arrestato quella notte al porto. Adesso gli davano la caccia amici e nemici, tutti insieme… ma da quando quel giorno lei lo aveva lasciato lì da solo a guardarla andare via, il resto non contava più nulla. Faceva strada con la radio accesa e la musica di Eddie Cochran a palla. Dopo la curva a gomito guardò la linea bianca di mezzeria. Abbassò il finestrino ed accese una sigaretta. Nella brezza gentile sentì l’odore del suo corpo perforargli le narici. Ormai  lei era un’ossessione, forse era questo il motivo del suo ritardo ad agire. I’m gonna raise a fuss, I’m gonna raise a holler. About a workin’ all summer just to try to earn a dollar. Every time I call my baby, and try to get a date. My boss says, “No dice son, you gotta work late” Sometimes I wonder what I’m a gonna do. But there ain’t no cure for the summertime blues”. Sul rettilineo il posto di blocco della polizia era ben visibile. Facciadiluna scrutò il cartello per capire dove si trovasse. Era nuovamente pronto a colpire senza esitazione. Proseguì a rilento fino a che non arrivò a cento metri da loro. Quando gli intimarono di fermarsi afferrò la pistola e, brillando di pioggia, diede gas. Gli agenti non ebbero alcuna esitazione e spararono diverse raffiche di mitra. L’auto sbandò a destra e poi a sinistra per schiantarsi dentro un fosso. I due poliziotti si avvicinarono guardinghi, schiusero la portiera e con le torce illuminarono l’abitacolo. Sul quel volto solo un crespo sorriso

Bartolo Federico

giovedì 8 marzo 2018

Giù Nel Buco



Lei si accese una stupida sigaretta, di quelle lunghe e sottili. Aspirò un paio di boccate nervose e gettò il fumo dritto sul mio viso. Le luccicavano gli occhi per la rabbia. Si avvicinò ancor di più e attaccò: - Sei un piccolo uomo! Dopo averti dato tutto, levandoti dalla merda, te vieni fuori con questa storiella che le nostre strade non portano da nessuna parte. Hai sbagliato i conti! te la farò pagare. E con gli interessi, una volta per sempre.Il tono duro e minaccioso mi diceva che era nel panico più totale. Vedeva la sua preda sfuggirgli e questo non poteva tollerarlo. Si dimenava, urlava, voleva tenere ferme le redini del gioco, come sempre aveva fatto o come pensava che fosse. La guardai ed anche così infuriata era bella ed attraente. Ma ero stanco di fingere, di mentire. Come se poi fosse così facile mentire a se stessi. Da un pezzo l’amore si era corroso il resto era un dettaglio, uno stupido dettaglio da passarci sopra, da annientare. Compreso io. Probabilmente avevamo corso per la stessa meta, ma con il passare del tempo le crepe del nostro rapporto si erano allargate a un punto tale che era finito in sala di rianimazione, agonizzante.Ad Emma tutto ciò non interessava. Ne avevamo parlato spesso negli ultimi tempi ma, abilmente, sapeva far cadere il discorso. Ciò che le premeva era una cosa sola: il parere del suo entourage. Non poteva presentarsi ai loro occhi come una donna sconfitta. Proprio lei, brillante avvocato, sedotta e abbandonata da uno squattrinato, un fallito, un musicista del cazzo, come usava dirmi quando voleva ferirmi. Nel suo codice non era ammesso. Ma quella solitudine mi stava uccidendo, dovevo darci un taglio e provare a salvare quantomeno quel che restava di me. 
- Sei un bastardo-, continuò feroce e cinica, - Ma chi credi di essere! Non avendo nulla da rimproverarmi glielo dissi, con una calma che la fece andare ancora più in bestia. Avrebbe voluto la battaglia, ma non le offrivo il fianco; allora mi colpì con un pugno. La guardai e, con quella stessa calma, le dissi di non farlo mai più. E glielo ripetei due volte. Ma non mi ascoltava, non l’aveva mai fatto prima, perché avrebbe dovuto farlo adesso che eravamo alla resa dei conti. Tutto il suo corpo sprizzava odio e disprezzo; aveva il sangue agli occhi e mi colpì nuovamente con più violenza. Le diedi uno schiaffo, un solo schiaffo in pieno viso. Barcollò e cadde battendo la testa sullo spigolo del mobile. Il mio compagno di cella restò qualche attimo in silenzio poi mi augurò la buonanotte dicendomi: - Dormi Lee, domani sarà una dura giornata. Mi avevano trasferito in quel penitenziario dopo aver tentato l’ennesima fuga. Il trasferimento era una punizione e quello era un carcere di massima sicurezza, uno dei più duri a cui ero approdato. Ma ero stato fortunato a finire in cella con Teo perché a volte, raramente ma accade, si incontrano persone che sin dalla prima occhiata si percepisce che sono sulla stessa lunghezza d’onda. Con Teo fu proprio cosi. Non appena varcai la soglia della cella, capii immediatamente che mi sarei potuto fidare di lui. Mi svegliai di soprassalto mentre la guardia urlava: - Sveglia! Alzatevi! Mi tirai su e rifeci il letto. Una volta terminato, uscimmo dalla gabbia e camminammo in fila indiana. Attraversammo il corridoio fino alla sala colazione. Stavo imparando le regole, perché ogni carcere ha le sue regole, a cui devi attenerti se vuoi sopravvivere. Lo avevo appreso a mie spese. Ci sedemmo nel mezzo del refettorio , di fronte a cinque detenuti che mi osservarono senza mai rivolgermi la parola. Era il “Consiglio di Amministrazione”, “i fine pena mai”, gli ergastolani. Teo fece le presentazioni, spiegando il motivo per cui ero dentro; il mio biglietto da visita alla comunità. Tra l’altro fu anche la prima cosa che mi chiese quando varcai la porta della cella. Teo era un oriundo francese, medico e professore universitario. Un intellettuale, un uomo leale e corretto, come se ne trovano pochi che, un bel giorno, si era convertito all’eco-guerriglia. Fondò un quartetto, chiamato “i Sabotatori”, un gruppo di visionari romantici decisi a salvare il mondo dagli scempi ambientali voluti dal governo e dall’industria. Aveva fatto saltare decine di mostruosità restituendo alla natura ciò che l’uomo ingordamente le toglieva. Lo catturarono i federali a St Louis insieme alla sua compagna, anch’essa sua complice, prima che portasse a termine il progetto più ambizioso: far esplodere la diga del Glen Canyon, che aveva provocato cambiamenti climatici e geologici irreversibili in tutta l’Arizona.Nei tre anni passati insieme diventammo amici inseparabili. In quella prigione, se non ci fosse stato Teo, sarei impazzito. Anche adesso, mentre guido lentamente su questa vecchia pista di polvere e sudore, battuta da un venticello tiepido, ho il cuore a brandelli e un immenso vuoto. Teo continua a mancarmi maledettamente ogni giorno che passa. Mi mancano le nostre conversazioni, il suo romanticismo squilibrato, la sua generosità, il suo sorriso semplice e schietto.Nel penitenziario era amato da tutti. Anche le guardie più “ostiche” lo stimavano. Mai uno scatto di rabbia o un gesto che potesse offenderle. Non potevi non volere bene a Teo. Ma a volte i sogni muoiono all’alba. E’ ciò che successe in quella mattina d’estate. Una debole luce filtrava da sotto la porta della cella. Mi svegliai agitato, quasi stessi soffocando nel sonno. Guardai verso la sua branda per chiedergli aiuto, ma non lo vidi. Appena il tempo di abituare gli occhi alla penombra e lui era lì che penzolava dal soffitto insieme alla lampadina. Restai nel mio lettino, accucciato e annichilito, con i brividi di freddo che mi scorticavano le ossa, incapace di qualsiasi azione. Da quel momento in poi nel carcere nessuno fu più lo stesso. Su tutti calò una tristezza che non andò mai più via. Non ricordo altro dei mesi che seguirono la sua scomparsa. Non sentii più fame, né freddo, né sonno. Ero ridotto uno zombie. E’ come se il mio cervello si fosse bloccato e avesse cancellato tutto. Fino al giorno in cui riuscii ad evadere e sparire ero ad un passo dal fare la sua stessa fine. “I fine pena mai” vennero in mio aiuto. Quando mi resi conto che Emma non si sarebbe più rialzata chiamai la Polizia e aspettai il loro arrivo, seduto sui gradini del salone. I poliziotti giunsero a sirene spiegate, entrarono in casa e fecero un veloce sopralluogo. Dopo, mi ammanettarono e mi portarono al comando. Sbrigate le formalità di rito, mi interrogarono. Avrebbero voluto una confessione, dato il blasone della vittima, ma non caddi mai in contraddizione, perché semplicemente raccontavo la verità. Risposi alle loro domande, anche le più scabrose, spiegando che era stato un incidente, un fottuto banale incidente. Lo gridai più volte, ma nessuno mi ascoltava, proprio come lei. Ero l’ultimo della fila. A chi vuoi che importi di un musicista del cazzo!La mattina dopo, ormai sfinito, con gli occhi che cadevano dalle palpebre, firmai il verbale della mia deposizione e mi chiusi nel silenzio più totale. Non parlai più neanche al processo. Non ne valeva la pena. Lo sbarramento di fuoco innalzato dalla famiglia di Emma contro di me avrebbe distrutto chiunque. E cosi fu.


Bartolo Federico 
 

martedì 6 marzo 2018

Strade Polverose


Lentamente riprenderò a scrivere, perchè le strade polverose sono le uniche che posso ancora  percorrere. Insieme ai miei amici lupi .

Bartolo Federico