lunedì 30 novembre 2015

Lu Trenu Di Lu Suli (Mario Incudine canta un blues di Ignazio Buttitta)




1. Turi Scordu, zolfataro,
abitante a Mazzarino,
con il Treno del sole
si avventura al suo destino.

2. Che faceva a Mazzarino
se lavoro non ce n’era?
fece sciopero una volta
e lo misero in galera.

3. Una tana la sua casa,
sua moglie quattro ossa,
e la fame lo cercava
con le carte dell’usciere.

4. Sette figli e la moglie,
otto bocche e otto pance
e un camion per cuore
caricato di doglianze.

5. Nel Belgio, invece, ora
lavorava giorno e notte;
alla moglie scriveva:
non mangiate fave cotte.

6. Con i soldi che ricevi
compra roba e le lenzuola
e le scarpe per i figli
per potere andare a scuola.

7. Nel Belgio, le miniere,
le miniere di carbone:
sono nere nere nere
come sangue di dragone.

8. Turi Scordu, un pezzo d’uomo,
quand’è sera dorme solo;
dentro il letto, e i piedi in fuori,
smaniava come un mulo.

9. Con le donne ci tentava;
ma essendo analfabeta
incantarle non sapeva
con le parole di poeta.

10. E faceva penitenza,
Turi Scordu, Il nel Belgio:
senza tonaca né mitra
gli pareva un sacrilegio.

11. Il pensiero, certe volte,
lo portava nella tana,
e il cuore gli sonava
a mortorio la campana.

12. Che se c’era la minestra
di patate e di fagiuoli,
nella tana c’era festa
per la moglie e i figliuoli.

13. Come albero strappato
senza foglie né radici,
si sentiva Turi Scordu
quando pensa figli e moglie.

14. Dopo un anno di patire
finalmente si decise:
«Moglie mia, piglia la roba,
vieni tu in questo paese».

15. E partirono madre e figli
salutando Mazzarino; i parenti per d’appresso
gli facevano festino.

16. Di cartone la valigia
con la corda per traverso;
il lattante sopra il seno
che succhiava a tempo perso.

17. Lei davanti, e la covata
degli zingari la segue:
con fagotti e sacchi in mano,
montarozzi sulla schiena.

18. La covata con la chioccia
quando fu sopra il treno,
non sapeva s’era in cielo...
e nemmeno sulla terra.

19. Il paese da lontano
ora sale ed ora scende;
e il treno che volava
senza ali e senza penne.

20. Ogni tanto si fermava
nfornando passeggeri:
emigranti zolfatari,
figli e padri con le mogli.

21. Padri e madri si presentano,
li fa amici la sventura:
gli emigranti una famiglia
fanno dentro la vettura.

22. «Il mio nome? Rosa Scordu».
«Il paese? Mazzarino».
«Dove andate ?». «Dove andiamo?
Dove vuole il destino».

23. Quante cose si dicevano!
perché i poveri, si sa,
hanno milioni di guai:
morsicati dalle api!

24. Quando venne la nottata
dopo Villa San Giovanni
una radio tascabile
grandi e piccoli diverte.

25. Tutti sentono la radio,
l’ha in mano un emigrante;
i bambini senza sonno
fanno gli occhi grandi tanto.

26. Rosa Scordu ascolta e pensa,
arrivando; cosa trova...
altra gente e nazione,
una storia tutta nuoVa.

27. E si stringe per difesa
il lattante insonnolito
non lasciando di guardare
gli altri figli a lei accanto.

28. E la radio tascabile
suona musica da ballo;
un discorso di ministro;
un minuto d’intervallo.

29. Poi diede le notizie,
era quasi mezzanotte:
sono le ultime notizie
le notizie della notte.
La radio trasmette:
«Ultime notizie della notte.
Una grave sciagura si è verificata
in Belgio nel distretto minerario
di Charleroi.
Per cause non ancora note
una esplosione ha sconvolto
uno dei livelli della
miniera di Marcinelle.
Il numero delle vittime è
assai elevato».

30. Vi fu un lampo di spavento
che seccò il fiato a tutti;
Rosa Scordu sbarra gli occhi
fuoco e lacrime inghiotte.
La radio continua a trasmettere:
«I primi cadaveri riportati
alla superficie dalle squadre di soccorso
appartengono a nostri
connazionali emigrati
dalla Sicilia.
Ecco il primo elenco
delle vittime.
Natale Fatta, di Riesi provincia di Caltanissetta
Francesco Tilotta, di Villarosa provincia di Enna
Alfio Calabrò, di Agrigento
Salvatore Scordu...».

31. Un terremoto: «Mio marito!
mio marito!» grida e piange,
e le voci sangue e fuoco
come lance dentro gli occhi.

32. Una mano e cento bocche,
mentre brucia come torcia,
si lamenta e l’unghie affonda
scorticandosi le carni.

33. L’altra mano stringe e ammacca
il lattante tramortito,
che si torce mentre piange
affogato e senza aiuto.

34. E i figli? chi capisce,
chi capisce e non capisce,
annegati in mezzo a l’onde
di quel mare senza pesci.

35. Rosa Scordu, sventurata,
non è donna e non è madre,
e i figli sono orfani
sia di madre che di padre.

36. Stanno intorno gli emigranti
e non sanno cosa fare;
pure loro in mezzo a l’onde:
trascinati da quel mare!

37. Va il treno nella notte,
che nottata lunga e scura:
non ci fu il funerale,
è una fossa la vettura.

38. Turi Scordu alla finestra,
sopra il vetro appiccicato,
senza occhi, senza bocca
è uno scheletro bruciato.

39. L’alba venne senza luce,
Turi Scordu là restava:
Rosa Scordu lo stringeva
nelle braccia, e si bruciava.

mercoledì 25 novembre 2015

Cuore Da Rock’N’Roll

Al bar Gino arriva sempre gente di ogni risma. Musicisti, pittori, scrittori, mattoidi, ubriaconi, malviventi, truffatori, borsaioli. Randagi e depressi come me. C’è però anche un gruppetto d’intellettuali che da qualche tempo ormai fa base nel locale. Questi tristi figuri, con la loro presenza hanno creato un clima nevrastenico e irascibile. Tanto che ci stanno rovinando le nostre belle seratine, a base di alcool e scopone. Molti non vengono più, neanche per una birretta. Perché tra un bicchiere e un altro questi fighetti del sapere, con quell’aria del cazzo che si ritrovano, hanno preso a canzonarci con toni superbi e sprezzanti. Ci trattano come se fossimo degli indegni ignoranti, feccia umana della peggiore specie. Bruti che pensano solo a bere, scopare, e sentire del lurido rock’n’roll. L’ho sentito con le mie orecchie, mentre lo sostenevano. Non so perché, ma mi ricordano tanto quelli che negli anni settanta volevano cambiare il mondo. Finti sovversivi, oggi ricchi e famosi, alla corte del potere politico-televisivo. Grandi facce di merda. D’altro canto che se ne farebbero di sfigati attaccabrighe, abbastanza idioti, da seguire sempre l’istinto. Oggi piove nell'aria c’è un umido che mi duole la cervicale, e anche il ginocchio. La vecchiaia avanza prendendomi per il culo, anzi ci prendiamo a vicenda per il culo. Tanto per spassarcela. L’altra sera ho infranto la mia pigrizia, e sono andato da Gino per fare quattro chiacchiere, con qualche depravato. L’atmosfera era malinconica, come una ballata blues. Mi sono rotto le palle molto presto, perché quelle voci mi mettevano i nervi, e me ne sono tornato a casa. Al ritorno l’aria era fresca, ed era buio, quando qualcuno si è avvicinato per vendermi qualcosa. Per la prima volta in vita mia, l’ho scansato quasi con brutalità. Lui mi ha guardato e ha scosso la testa. Avrà pensato, ma io cosa ho fatto? E ha continuato a guardarmi, fin quando non ho girato l’angolo. Quando sono rientrato mi sono accovacciato sul divano, e mentre mi scolavo del brandy d’infima qualità, mi sono chiesto a che punto ero con la mia intolleranza. Non c’è male, mi sono risposto da solo. Cresce a dismisura.

La musica è vita, condivisione. E’ come una buona bottiglia di vino, del buon cibo. Cose che vanno godute fino in fondo. Una figata. Non riesco a farmela passare quest’angoscia, che mi fa sentire un relitto. Non posso pensarci a come sarà stato. A come si saranno sentiti quei ragazzi, mentre gli sparavano addosso. Mi ha cambiato quella notte, quel rantolo d’umanità che serbavo, me l’ha portato via. Penso a tutte le occasioni che si sono persi, alle cose che non riusciranno a fare, perché qualcuno si è preso il loro tempo. In nome di nessuno. La morte viene dal di dentro. Una volta però, la terra è stata un paradiso terrestre. Sono rimasto avvolto nel buio a bere, mentre aspettavo i primi raggi del sole. “Ho visto la freccia sullo stipite 
che dice "Questa terra è condannata in ogni direzione da New Orleans a Gerusalemme." 
Ho viaggiato attraverso l'East Texas 
dove tanti martiri sono caduti. 
E non conosco nessuno che sappia cantare il blues, come Blind Willie McTell. ”(Bob Dylan) I segni delle sconfitte ci lasciano strisce rosse di ruggine. Che non vanno mai via. Facciamo finta di non saperlo, ma andiamo tutti quanti verso gli stessi posti, facciamo le stesse cose, che qualcheduno prima di noi ha già fatto. E allora perché spargiamo tutto questo dolore? Perché non ci meravigliamo più di nulla? Siamo solo degli ubriaconi del cazzo? All’improvviso la musica è esplosa. Ed io finalmente mi sono sentito nuovamente una rock’n’roll star. Quello che ho sempre voluto essere, da quando la musica si è presa tutto di me.


C’è stato un tempo in cui la terra promessa per il rock, era la Francia. Parigi ha accolto sotto il suo grande cielo tutti quei bastardi sognatori, che il music business cacciava a pedate. Gli ha concesso una nuova possibilità. Succedeva nel 1980 quando il punk, la più grande rivoluzione culturale di massa si stava spegnendo sotto le grandi luci del mondo, e i due amici Patrick Mathé e Louis Thevenon gestori del negozio di dischi Music Box, e della piccola etichetta Flamingo Records, decidono di trasformarsi in New Rose Records, etichetta che prese il nome da una canzone dei Damned. Tra nuove band e gruppi musicali francesi, la New Rose ha dato un’opportunità a: Willie Alexander, Alex Chilton, Sky Saxon, Roky Erickson, The Real Kids, Charlie Feathers, Tav Falco, True West, Calvin Russell, Gun Club, Dead Kennedys, Cramps, Green On Red, Giant Sand, The Primevals, Alejandro Escovedo, Bo Diddley, Alvin Lee, Robert Gordon, Elliott Murphy The Slickee Boys, Paul Roland, Dr Feelgood, That Petrol Emotion, The Chesterfield Kings, Maureen Tucker, The Inmates, Percy Sledge, Johnny Thunders l’anima delle New York Dolls, e molti altri ancora. 

Il vicolo è stracolmo di spazzatura, bottiglie di liquore, e piatti sporchi. Ma anche di gente che barcolla e cade. Il rock della New Rose ha i denti macchiati di sangue, e la faccia spigolosa. Il più delle volte ha la nausea, e sente il corpo fluttuare. Vaneggia ed è costretto a mentire, per sfuggire a chiunque voglia ingabbiarlo. Le chitarre ringhiano, borbottano, giù nel vicolo. Dietro le sbarre qualcuno strizza gli occhi e con la mano si tocca quel rozzo tatuaggio, rammendato sul braccio. Rock’n’roll Heart c’è scritto. Solo questo c’è scritto. Nient’altro.

Non mi piace l’opera e non mi piace il balletto e i film della nouvelle vogue francese mi urtano be’, sarò stupido, visto che so di non essere brillante ma dentro di me ho un cuore da rock and roll sì, sì, sì, nel profondo ho un cuore da rock and roll.(Lou Reed)

Mi sono alzato con il mal di testa, mentre fuori continuava a piovere. La pioggia picchettava sulla veranda, noiosamente. Me li ricordo bene quei giorni quando anch’io volevo tutto e subito. Me lo aveva suggerito Jim Morrison, che lo urlava come un forsennato in “When The Music’s Over”.  Con gli anni ho dovuto imparare ad avere pazienza, a tessere la tela. Ad aspettare il momento propizio. Ma non vado orgoglioso di questo. Perché le cose più belle, sono quelle che hai lasciato scritto da qualche parte. Sul muro dei ricordi. Un caldo e umido pomeriggio di settembre. Una piccola stanza d’albergo. Io e lei. La radio accesa che suona Bermuda di Rocky Erickson. Abbiamo fatto l’amore, con voracità e trasporto. Standocene aggrappati l’uno all’altro, abbiamo poi dormito a lungo. Lei aveva diciannove anni, io venti. Ma come sempre sono bravo, a gettare via, tutto quello che da un senso alla mia  vita.


Bartolo Federico