martedì 31 marzo 2015

Cambio Casa

Le carte che mi ritrovavo in mano erano sempre più inutili. Avevo guidato con il finestrino abbassato, su strade deserte, illuminato dal bagliore della luna. Era in quei momenti che mi ritrovavo, che le mie barriere difensive si abbassavano. Echi di vita quasi spariti, desideri e ingenue speranze. Vite sognate.

domenica 29 marzo 2015

Un Respiro Dopo L’altro

Mi svegliai all’alba e misi la caffettiera sul fuoco. La luce del mattino era ancora fumosa, me ne restai immobile davanti al fornello a fissare un punto indefinito della parete. Provavo nuovamente quel dolore, e la rividi sorridermi mentre mi abbracciava. La cosa migliore era quella di farla uscire al più presto dalla mia vita, se volevo raccogliere ancora qualche coccio di me. Quando impari ad amare, anche le cose più banali ti mancano terribilmente. Devo ammettere che pure quella era una sorpresa. Lo scroscio della sua risata mi fece trasalire, mentre il caffè gorgogliava. Con quel sorriso scavato sul volto, che avevo imparato a esibire a chiunque incrociassi, andavo a fondo. Inaspettatamente però le canzoni di John Kilzer mi avevano costretto a guardare in quei punti che non illuminavo più. Dove le tracce di me stesso, si erano rese molto labili. Era da qualche tempo che questo non mi capitava. Mi ero chiuso come un vecchio rancoroso, cinico e bastardo. L'amore è Guerra. Pensa in che razza di mondo viviamo. Quando uscii da casa, la città sembrava un deserto. Un luogo per appestati. Non c’era quasi più traccia di vita. La metà dei negozi era chiusa, e in quelli che resistevano, non c’erano clienti. Anche tanti uffici avevano serrato i battenti. Ero circondato da una marea di annunci di immobili in vendita, che campeggiavano ovunque sui muri. Quel nuovo Presidente aveva detto che tutto questo era stato necessario, c’era bisogno di rigore. Quando l’economia va male, sono sempre i più deboli a pagare il prezzo più alto. Questo particolare però lo aveva tralasciato. Mentre camminavo, la citta prendeva forma in tutte le sue sfaccettature. La spazzatura ammassata contro il muro di un edificio era coperta di mosche, e faceva puzza di pesce andato a male. Entrai in una caffetteria che aveva ancora le sedie rovesciate sui tavoli. La proprietaria, una donna grassa stava lavando il pavimento. Il cappuccino che sorseggiai, mentre la radio del locale suonava una vecchia canzone che non sentivo da decenni, era piuttosto buono.

Di andare ai cocktails con la pistola non ne posso più. Piña colada o coca cola non ne posso più. Di trafficanti e rifugiati ne ho già piena la vita. Oh maledetta traversata non sarà mai finita ma vedete a nove nodi appena si è un punto fisso nel mare che sa di nafta e lo nasconde con l'odore del té e dell'erba da fumare.(Panama-Ivano Fossati)


Planet Love cantava per me, e solo per me. Ma anche questa era una bugia. Restai a fissarla a lungo negli occhi quella canzone, con un respiro affannoso, senza sapere cosa ribattere. Dopo li abbassai e respirai profondo, inumidendomi le labbra. Nel 1988 John Kilzer con un colpo di fortuna era arrivato alla Geffen, un’etichetta discografica di grande prestigio. In quella scuderia c’erano anche John Hiatt i Sonic Youth, e Peter Gabriel. Scriveva canzoni che parlavano di uomini e donne lasciati soli a tremare nel buio. Gente bastonata, derubata, gettata a testa in giù. Ma anche se sei bravo e hai talento, per avere successo questo non basta. Ci vuole una botta di fortuna. Altrimenti il tuo nome resta come scritto sull’acqua. Poi l’acqua si asciuga. Ebbe un fremito leggero quando l’ago affondò in vena. La stanza girò vorticosamente su se stessa, provò un ondata di calore che si profuse su tutto il corpo. Restò con gli occhi chiusi, e la bocca aperta. La sensazione di un orgasmo. Con calma si sedette sul bordo del letto, e prese a suonare la chitarra acustica. Le parole arrivavano da sole, mentre il vento soffiava dentro la stanza, portando con sé l’odore del Mississippi. Bevvi un sorso di birra, e guardai fuori dalla finestra con occhi stinti la notte. Nel silenzio il fruscio della mia anima, fece soltanto un po’ di rumore. Scivolando Fading Man se ne andò sotto pelle, e sentii il cuore che martellava forte nel petto. Rimasi a fissare il vuoto. Non si può risolvere sempre tutto. Ma la musica è come una medicina, ti aiuta a guarire. L’assolo di sax arrivò dapprima portentoso, come se avvertisse anche lui il fuggire delle cose. Dopo barcollò triste come un ubriaco, girando lo sguardo alla malinconia di Love Wants To Give Its Heart To You che suonava come un batticuore per l’emozione profonda di quell’armonica, che riportava tutto sulle quelle strade secondarie dov’ero cresciuto.


Nel cielo si formarono dal nulla delle nuvole. John scese dal camion e prosegui a piedi. Una pioggia calda venne giù. Seduto in quel bar davanti al suo bicchiere di vino, sperò in qualche modo di tirarsi indietro da quell’abisso. Era come un conto alla rovescia. Su quella nave dei folli vacillava, ma era ormai anche pronto a tutto. Crescent Moon giunse come se Neil Young si fosse nascosto nell’ombra. Una lurida chitarra infettò l’aria. Di chi cazzo è questa roba, grido qualcuno nel bar. Lui si alzò cercando di tenersi in equilibrio. Sono io urlò. Ma la sua voce svanì, lavata via dal rumore della pioggia. Babylon lo aveva reso felice con quel piano da bordello, e quei cori gospel. Sdraiato sul letto di quel motel mentre la pioggia cadeva, prese una capsula di anfetamina. La pillola aveva cominciato a fare effetto. Accese la radio e girando la manopola cercò qualcosa che gli facesse compagnia, che lo rassicurasse.  Graveyard Jones cominciò con un’armonica blues, di quelle sconce e selvagge.  Ed era come se lo stesse picchiando con le nocche delle mani. Da tanto non andava a Memphis. Si sentiva davvero strano in quel vuoto che si era aperto dentro il suo cuore. Gli sfuggì dalle dita Lay Down, non appena  spostò la radio per frugare nel sacchetto delle pillole. Forse non aveva sfruttato in pieno il suo talento. Non aveva fatto tutto il necessario per farlo emergere. Sapeva solo di essere in un mare di guai. il falsetto soul di Hide Away lo risollevò nel segno della pace. La cosa migliore che puoi fare quando sei in questo mondo è di uscirne vivo. Matto o no, paura o no.

Andammo in camera da letto, lei chiuse la finestra poi staccò il telefono e si spogliò. Mi tolsi i vestiti e lei venne su di me. Ci baciammo, aprì le gambe e mi si sedette sopra. Gli entrai dentro accarezzandole la schiena, e i capelli. Tutta la mia rabbia solitaria era svanita. Dopo ho acceso due sigarette e ce le siamo fumate. Non ho mai voluto che tu soffrissi per causa mia, disse guardandomi nel buio. Mi ero alzato per preparare del caffè.  Sono tornato vicino a lei. Quella notte restai sveglio ascoltando The White Rose And The Dove e il suo cuore. Ed era come sentire un respiro dopo l’altro.


Bartolo Federico


giovedì 26 marzo 2015

Ingannando Il Boia

Si lo so gli anni settanta roba datata, preistoria del rock, capelloni e spinelli, polvere e vento. La California. La terra dell’uva la chiamò Jack. Assomiglia tanto alla mia Sicilia, credetemi. E poi i Doobie Brothers. Roba di facile ascolto, melodie raffinate dicevano i più intransigenti. Una macchina perfetta del rock business. Musica da radio a modulazione di frequenza. Certe cose non tornano lo so bene, e ci si sente ridicoli anche a sentire certa musica. Perché non sei alla moda, non sei figo, non sei al passo dei renziani rottamatori doc. Ma io me ne fotto, come ho sempre fatto, e vado dritto per la mia strada. Volevo tornare laggiù in qualche modo per indossare ancora certi ricordi. Mi è capitato di farlo in un giorno di fine marzo. Che male c’è? Mi piacciano sempre i robivecchi dell’anima, quelli che viaggiano fuori mano anche se è solo per farti un dispetto. E poi in questo disco ci sono Ry Cooder, Bill Payne dei Little Feat, Maria Muldar, Curtis Mayfield gente che si è tenuta lontano dalle grandi strade del rock, e che si è cambiata d’abito dietro un qualsiasi distributore di benzina della Shell. A suo tempo l’ho scovato quasi per caso questo vinile, mentre se ne stava rannicchiato nel reparto dei forati della Warner. Che non erano altro che quei dischi che costavano poco. Bassifondi del rock. Adatti alle tasche di sfaccendati, di gente che come me, non aveva mai una lira. Arrivò con uno strano sorriso in quei giorni della strada selvaggia, delle insegne al neon, delle cadute, dei fallimenti. Dell’asfalto nero e lucente, della liberta, delle lacrime, delle passioni irrefrenabili, della mia impulsività. Con quell’aria da straniero che mi portavo appresso, carico di solitudine, era solo per  un miracolo se restavo ancora in piedi. In quelle notti di seghe, di stordimenti, immaginavo il west, i saloon, i cespugli, i muri cadenti, e quelle vecchie case perse nella prateria. Stavo andando. Non so dove. Adesso è solo un rimpatrio, tra vecchi amici di sbronze. Ma allora era un continuo camminare senza stare in guardia, solo per vedere cosa nascondeva la notte nei suoi silenzi. E poi c’era sempre quella luna a forma di osso, che man mano che s’ingrossava nel cielo illuminava lo straniero solitario che tornava a casa.

Bartolo Federico




giovedì 19 marzo 2015

Dannato Stasera Non Piangere


Il bar Cosimo all’ora di pranzo era pieno di impiegati, indaffarati a mangiare insalate, e qualche arancina al ragù. Vite ordinarie quelle, con le loro preoccupazioni e le proprie ansie. Persone normali, con progetti, speranze e probabilmente qualche sogno cucito chissà dove. Avevo cercato riparo dai miei silenzi, e dai miei blues, standomene assorto davanti a un bicchiere di vino rosso. Troppi punti deboli, troppe lacune si erano aperte dentro di me. Girai gli occhi e incrociai lo sguardo di una ragazza col seno grosso che si toccava i capelli. Lei mi guardò ammiccando con un piccolo sorriso. Non era brutta, ma di sicuro non era il mio tipo. Troppo muscolosa e con le spalle larghe per i miei gusti. Guardai attraverso il vetro del bar e, chissà perché, cercai quelle risposte che non arrivano mai. Un ragazzino con un cappello alla Mingus entrò ridendo. Capivo di non avere più risentimenti verso nessuno, ma di essere ancora in qualche modo vulnerabile, come quando ero giovane. La vita è fatta di incontri alle volte insignificanti, altre volte così devastanti che ti cambiano per sempre. E mi rividi spostarmi per quelle strade buie e silenziose, con i cartelli arrugginiti e sbattuti dal vento. Quelle strade abbandonate, circondate da immondizia e puzza di piscio, che ci si smarriva non appena svoltavi l’angolo. Alcuni di noi sono predestinati alla salvezza, altri alla dannazione. Dal pacchetto di sigarette tirai fuori una Benson &Hudges che strinsi tra le dita, ma non accesi.


  Avevo sempre cercato di fare del mio meglio. Tuttavia i giudizi che mi davo un tempo, mi sembravano meno spietati di quelli di adesso. In compenso non mi preoccupavo più di come andavano le cose. Mi incuriosivo solo dei miei continui cambiamenti. “Nessuno è innocente, nessuno. Ficcatelo bene in testa”. Senza motivo, mi erano tornate in mente le parole urlatemi da Gilda in quel pomeriggio da cani. Lo avevo imparato a mie spese che, quando le situazioni prendono una brutta piega, è inutile che uno cerchi di spiegare. Noi uomini, prendiamo ciò che ci fa più comodo. Siamo abituati ad usarci perché dopo un po' l’amore finisce e, in seguito, anche l’odio che nutriamo. Un altro esule entrò nel bar. Camminando di sbieco e ordinando una birra, si accomodò. Era una giornata di quelle che non si sa perché, ti senti scoglionato, annoiato, irritato, ma sapevo che avrei fatto bene a restarmene sobrio. “C’è un casino dappertutto” mormorò ad un tratto, l’uomo che si era seduto proprio dietro di me. “ci si sente come in prigione”, continuò. Ed era come se mi stesse leggendo nei pensieri. Mi girai lentamente e lo guardai per un lungo istante dritto negli occhi, come a volergli scrutare fin dentro l’anima. “Non lo so, e non è che m’importi molto” risposi, mentre un cellulare iniziò a suonare una musichetta del cazzo. Non avevo fame, né freddo, né sonno, niente. Non sentivo niente. Vidi il cielo annuvolarsi e mi chiesi fino a che punto dovevo precipitare, prima di fermarmi.


  Mi aggiravo per le strade portandomi appresso un oscurità così densa, che potevo tinteggiare le pareti di un palazzo. In quel silenzio, l’autoradio della macchina sparava raffiche di sax, tanto forti da impedirmi di sentire le mie stesse urla. Amavo il suono del sassofono, era come se ascoltassi il respiro profondo di certe anime dilaniate, che facevano musica nella tempesta. John Coltrane è una luce negli occhi, una sensazione fantastica, tremendamente rara. In The Dark You Can Love This Place mi ha sussurrato una notte distogliendo accuratamente lo sguardo, Barzin. Ho trattenuto le lacrime, per non farmi inondare fin dentro le orecchie, e capire quanto ero ridotto male. Gilda quando c’eravamo incontrati, mi aveva guardato da dietro il fumo di una sigaretta, e questo bastò per farmi perdere l’orientamento. Era come se una voce mi dicesse, che era lei che stavo cercando. Ma ora che c’è l’avevo di fronte, non sapevo che fare, e le dissi soltanto : ciao bambina, con una voce greve e lenta. E subito dopo iniziò a diluviare. E piovve per un bel pezzo. Poi  rimasi in silenzio, inquieto come un sospiro. Ma queste cose mi erano successe in un'altra vita. Come spesso accade i nostri destini si erano separati, e niente e nessuno avrebbe potuto farmi tornare sui miei passi. Ho canticchiato un blues mentre salivo le scale di casa, dove non mi aspettava più nessuno. Con gli occhi spalancati nella penombra, ho acceso lo stereo, fumando, e cercando di non farmi prendere dallo sconforto. Erano passati anni, secoli, mesi, giorni, ore, minuti, da quando ci eravamo lasciati, ma certe cose, non si erano ancora sbiadite. Il telefono gettato sul pavimento prese a suonare, lo guardai ma non risposi. Lei di sicuro non mi stava cercando. Ho acceso la lampada che faceva una luce fioca, per cercare nello scaffale un disco che non trovai di Blind Blake, uno dei padri fondatori del blues. Un viaggiatore misterioso di cui non si sa praticamente nulla. Di quest’uomo solitario è rimasta un'unica foto. Eppure negli anni venti era una star della musica. Suonava un blues tecnico e riusciva a tracciare con la sua chitarra un crossover ante litteram, che amalgamava lo stile ragtime, con il blues e il jazz. Anche il burbero reverendo Gary Davis lo omaggiò. Lui così avaro di complimenti verso gli altri musicisti. 



I morti hanno sempre gli occhi tristi. Anche Nick li aveva quando è spirato per un tumore all’esofago. Per come era fatto, avrebbe preferito di gran lunga una pallottola dritta in testa, che quell’animale dentro a divorarlo. Aveva appreso sin da subito di essere spacciato e di non avere via d’uscita. E non deve essere stato facile. Il diavolo poi ci mette sempre lo zampino e sembra che goda. Anche quando chiedi: quanto tempo mi resta dottore ? Lui sogghigna. Alla fine, all’ultimo istante, avrebbe voluto alzarsi da quel cazzo di letto che lo inchiodava e camminare, camminare. Prima di tirare le cuoia avrebbe voluto bestemmiare, imprecare. Andarsene in giro senza meta, come faceva quando cercava di raccattare i cocci della sua pazza vita. Ma si sentiva debole e stordito, ed aveva una paura fottuta. Siamo tutti strambi noi uomini. Mi alzai e mi versai un bicchiere di Chivas. Il whisky andò giù morbido. Mi ricordai di quando lei era seduta sul divano e sfogliava distrattamente una rivista. Aveva recuperato il pacchetto delle sigarette e si era accesa una merda di MS. A guardarla nel suo jeans attillato aveva un bel culo, ma anche delle belle tette. Per tutto il giorno aveva sapientemente evitato il mio sguardo. Forse era un modo per non farsi venire qualche rimorso. Suonai qualcosa con la chitarra per ritrovare il coraggio. Aveva due splendidi occhi ed eravamo diventati tutt’uno. Non c’era spazio per nient’altro. Lo dico adesso che non posso più ingannare nessuno, tantomeno me stesso. È stato questo che alla fine ci ha fregato. Avevo smesso di dare importanza ai suoi misteri, come lei ai miei. Non potevamo continuare ancora ad ingannarci. Me ne sono tornato nell’oscurità, come un blues greve di Mark Lanegan.


I light a lonely woman's cigarette. We start talkin' bout what we want to forget. Her life story and mine are the same. We both lost someone and only have ourselves to blame. But here I am again...(Misery And Gin-Merle Haggard)



   Le armi e i duri non mi sono mai piaciuti. Neanche i mercenari e certi sbirri. C’è gente che legge troppi libri, altri nemmeno uno. La vita alle volte è crudele, e si comporta come un romanzo da due soldi. Sarò un romantico, ma esiste un altro modo per stare su questa terra. Ne sono certo. In quello mio, non ci sono né vincitori, né vinti. Perché capita ad ognuno di noi che qualche porta si chiuda, e anche se questo ci lascia quel retrogusto amaro di nullità, si può sempre ricominciare, da qualche altra parte. Sempre. La cattiva stella prima o poi tramonta. Bisogna solo sapere aspettare. Certo ci vuole una infinita pazienza, ma ne vale la pena. L’ho appreso dal blues questo, che non vive nel mondo della luna. Pur con una gamba di legno Furry Lewis se ne andava in giro per il sud del Mississippi, aggregandosi al fianco di imbroglioni e truffatori, che seguivano le carovane dei minstrels e dei medicine show. Aveva perso la gamba in un incidente ferroviario, ma tutto questo non era riuscito a fermare la sua vivacità, la sua voglia di vivere. Suonò insieme a  Gus Cannon  e Will Shade, per le strade di Memphis, entrando anche a  far parte della Memphis Jug Band. Ma di musica non sempre si campa, e allora inizia a lavorare come spazzino, e lo farà per oltre quarant’anni. Per non gettare del tutto il suo talento, alla sera suona nei battelli a vapore che attraversano il grande fiume, e al mattino va a ripulire le  strade della sua città. Suonare a questo songster, gli ha reso più sopportabile la sua dura esistenza. L’ha fatto anche Night Moves con me. Una canzone che  conserva il sapore di tante cose che ho perso lungo il tragitto. Ho pensato a lei ascoltandola. Ai suoi seni, al suo desiderio, alle sue speranze, alla sua avidità. Me ne sono rimasto seduto sul divano, mentre fuori aveva preso a piovere. 


We weren't in love oh no far from it. We weren't searching for some pie in the sky summit. We were just young and restless and bored. Living by the sword. And we'd steal away every chance we could. To the backroom, the alley, the trusty woods. I used her she used me. But neither one cared. We were getting our share.(Bob Seger)


Ha piovuto per un bel pezzo. Mi sono fatto del caffè e fumato qualche sigaretta nella piccola cucina. Al lavoro l’indomani, ci sarei andato anche a costo di strascicarmi per strada a tentoni. È solo quando non hai più una cosa, che te ne accorgi di quanto era importante. Misi un disco di rock duro, grintoso, di quelli che sparano raffiche di chitarra a mitraglia. Tanto per stordirmi un po’. La mattina uscì presto di casa. Era un alba fresca e senza particolari pretese. Prima di andare via, ho lasciato tutte le luci dell’appartamento accese. Così da darmi la sensazione al mio rientro, di non essere solo. A quell’ora del mattino le strade erano deserte. Un barbone dormiva dentro l’ atrio del portone. Cercai di non disturbarlo. In strada camminavo veloce e con le mani infilate nella tasca della giacca. La Folie cantavano gli Starnglers nel 1981. Un autre endroit, une autre vie. Eh oui, c'est une autre histoire. Mais a qui tou raconter? Chez les ombres de la nuit? Au petit matin, au petit gris. Combien de crimes ont ete commis. Contre les mensonges et soi disant les lois du coeur. Combien sont la a cause de la folie. Parce qu'il ont la folie. Mia zia Marianne sentiva le voci, e vedeva cose inesistenti. Alle volte diceva che erano sul muri, altre sul pavimento, qualche volta non ti riconosceva nemmeno, perché eri tu la cosa strana. Se ne stava per ore seduta immobile sulla sedia. Ogni tanto rideva e si toccava i capelli, e si stringeva i seni, fino a farsi male. Beveva vino rosso a litri, e fumava all’inverosimile. Troppe notti difficili. Alle volte avevo paura, una paura tremenda, che potessi uccidermi. Ma forse c’era molto suggestione in me. Ogni tanto tornava normale e passavamo dei bei momenti. Poi anche quegli attimi svanirono, e la dovettero rinchiudere in un manicomio. John Trudell è un indiano Sioux . Quando venne nominato portavoce dell’American Indian Movement, si rese protagonista di un gesto di protesta contro le autorità americane, per le atrocità commesse nei confronti dei nativi americani. Sui gradini del J. Edgar Hoover Building di Washington bruciò la bandiera a stelle e strisce. Dodici ore più tardi, sua moglie, i suoi tre figli, e sua suocera, morirono in un incendio nella riserva di Paiute Shoshone in Nevada. La cosa resterà senza colpevoli, anche per il rifiuto dell’ FBI di indagare sul caso. John Trudell inizia a comporre poesie, e  nel 1985, quando incontra Jesse Ed Davis, un indiano Kiowa che suona con Clapton, Dylan, Lennon e Jackson Browne, le sue poesie diventano musica. AKA GRAFFITI MAN è un grido di dolore, un blues profondo, un vento di guerra. Ci sono cose che nessuno può uccidere. Hanno crocifisso gli uomini buoni, gli hanno strappato le unghie dei piedi, e delle mani. Gli hanno tolto la lingua di bocca. Poi li hanno sgozzati nella notte, con un taglio preciso alla giugulare. Ma questi uomini continuano ad urlare. Puoi sentire le loro grida… li senti?.. li senti? … tra gli scrosci di pioggia? Senti la loro tristezza? Eccoli, sono arrivati con la loro carrozza.
Il cuore degli uomini è la cosa più difficile da vedere. Dannato stasera non piangere.


Bartolo Federico














domenica 15 marzo 2015

Quando La Città Cade Nella Notte

Giorno e notte Sento la sua pelle è sottile e bianca come latte condensato. Chiusi gli occhi e lei svanì, come la seta bruciata. E ciò che resta è stato come qualche tuono caduto. E le mie labbra sono incatenate; piene di vuoto stupore. Ma le stelle dicono bugie, e accecano l'unico avvertimento. E quando il buio muore, non c’è più niente.(Day And Night – Jim Carroll)


Alle volte, le uniche cose ad avere la luce sono le stelle. Il resto sembra avvolto dalle tenebre. Dopo una gincana tra le auto dei clienti posteggiate sul marciapiede entrai nel bar-tabacchi l’unico a quell’ora della notte ad essere ancora aperto. Dei ragazzi seduti sugli sgabelli vicino alla vetrina vestiti come Eminem, bevevano birra e ridevano. Comprai un pacchetto di Winston, un accendino zippo, ed uscì. Nella penombra una donna e un uomo camminavano abbracciati, poi s’infilarono nell’hotel con l’insegna bianca in fondo alla strada. Le cose che fai passano e se ne vanno senza che tu te ne accorga. Ma nessuno di noi è in grado di sapere quello che uno farà, e neanche dove andrà a finire. Il più delle volte ci passiamo sopra a questo mondo, quasi inosservati. Capita pure che un giorno ci si svegli e ci si senta traditi, e non si riesca più a trovare le parole. Senza rendersene conto, senza lotta, ci consegniamo agli eventi. Rabbrividendo. Tornai a casa e restai per un pezzo alzato guardando fuori dalla finestra. Dopo mi distesi sul letto con la radio accesa ascoltando il notiziario della notte. In strada non c’era quasi più nessuno. Passava solo qualche macchina. L’ho amata. Poi all’improvviso tutto è peggiorato, ed è andata via. La vita può cambiare così velocemente e in un modo repentino che in un primo tempo non ci fai neanche caso, tanto si è distratti dalla casualità dell’accaduto. In seguito ci sente storditi e si finisce a testa in giù. Dentro una ballata rock scura e dolente. Come quelle di Lee Fardon.

Era sbucato all’improvviso dalle nebbie londinesi, quel ragazzo con il cuore pieno zeppo di sogni e canzoni che trovavano ispirazione in Dylan ,Van Morrison, e Lou Reed. Il suo disco Stories Of Adventure uscito nel 1981, aveva suscitato l’attenzione di tutti quelli che si erano ritrovati per strada traballanti, è fuori moda. Gente che non aveva ancora acquisito la forza della saggezza per fermarsi di botto. In quei solchi c’era quella smania di andare a vedere i colori della notte, insieme a tutti quelli che si sentivano con le spalle al muro. Canzoni che sono come una cicatrice ruvida. Che hanno il colore bluastro del livido di una brutta botta. Pochi accordi per ricamare un sound roco e struggente. La voce profonda di un uomo che guarda la vita andare a rotoli, ma che cerca anche un modo per salvarsi. E ti batte direttamente sul cuore. Questo disco fragile e forte nello stesso tempo, racconta la sua rabbia, e la nostra malinconia. Lei mi aveva detto: Non era così che mi aspettavo che andasseMi spiace ma non posso più stare con te. Udii la porta sbattere nient’altro. Alle volte le cose finiscono tutte in una volta.


I miei genitori non divorziarono, ma era come se lo avessero fatto. Mia madre non faceva niente per non far trasparire l’odio che covava per mio padre. Ma il più delle volte s’ignoravano. Era stata una vita di sopportazione da parte di tutti, che aveva prodotto un accumulo di rancori e di disprezzo. Perché lo avevano fatto? Me lo sono chiesto un mucchio di volte. Ma non ho mai trovato una risposta. La mattina presto di buon ora ero seduto in cucina. Avevo fatto il caffè e con una tazza fumante in mano, me ne stavo a scrutare i pensieri. Al di là dei proclami del governo, e di quello sparacazzate, c’era molta gente a spasso e le cose peggioravano di giorno in giorno. Non avendo niente da fare, dovevo solo trovare un modo per passare la giornata. Come molti cercavo di tirare avanti, ma alle volte mi frullavano cattivi pensieriPer distogliermi accesi il computer, e ascoltai una playlist musicale che mi ero fatto qualche tempo prima. La prima canzone era The Have Nots degli X. 

Questa è la gara che è in atto mentre tu giochi. Come ci si sente ad avere la propria bottiglia di whisky accanto al bancone. Come ci si sente a giocare a carte con le cameriere, mentre loro lavorano.


Quella mattina andai a trovare la moglie del mio amico Massi. Lo avevano arrestato dopo che una notte aveva forzato una finestra, ed era entrato in un supermercato. Aveva arraffato un po’ di alimenti riponendoli dentro una busta di plastica. Aveva preso solo quello che gli serviva, niente di più. Tremava come una foglia e non si era  accorto che l’allarme era scattato. Così ad aspettarlo fuori c’era già la polizia. Il giudice lo aveva condannato ad un anno di carcere, senza concedergli alcuna attenuante. La ditta per cui lavoravamo aveva licenziato ventitré membri del personale, tra cui noi. Eravamo disoccupati da sei mesi. Ti mandano via, ti lasciano solo, in un mondo impassibile. Ti umiliano e fanno si che perdi anche quel barlume di dignità, che prima t’illuminava la vita. La giustizia deve fare il suo corso mi disse il giorno del processo il Pubblico Ministero. Che se ne vada al diavolo. Non c’è mai stata giustizia per i poveri. Mai. Concussion di Matthew Ryan è un disco che parla di vita reale. E' un vuoto grande quanto un pugno. Non più grande del cuore. E’ il resoconto di un uomo in fuga dalla legge, un piccolo sconosciuto Nebraska. Hanno toni scuri e violenti queste canzoni, senza squarci di luce. Ma cosi' profonde e liriche, che t’inchiodano al muro lasciandoti senza respiro. E’ il pulsare delle cose, il loro senso preciso. È un sogno per quello che non verrà mai. Ma è anche il conto alla rovescia di una vita ordinaria. Chi le canta possiede una voce che è come carta vetrata, che ti ferisce come una scarica elettrica nelle orecchie. La pioggia cominciò a cadere riempiendo l’aria di un odore stantio, inzuppando d’acqua la città assetata. 



Il bar era abbastanza spazioso appoggiai i gomiti sul bancone, e ordinai del gin con ghiaccio. Il barista finì di lavare frettolosamente i bicchieri che sistemò in fila su un canovaccio. Si asciugò le mani, e mi versò da bere. Abbassai gli occhi e sorseggiai il contenuto. Da un po’ di tempo mi tremavano le mani. Era il mio stato nervoso che era molto scosso. Me lo aveva detto il medico della mutua, che mi ordinò dei psicofarmaci che però non prendevo. Lo stress mi stava sgretolando. Faccia pure pensai tanto di qualcosa si deve pur morire. Quattro persone si sedettero a un tavolino rotondo in fondo alla sala, e presero a parlare ad alta voce. La mia abitazione era un edificio a tre piani col tetto piatto, in un quartiere popolare. Una casa piccola, insignificante. Dietro c’era un campetto di calcio in terra battuta. I ragazzini della zona ci passavano il pomeriggio giocando al pallone. Mentre rientravo ripensai a Nella, la moglie di Massi. Era stata contenta di vedermi, l’aveva apprezzata la mia visita. Non ci andavo spesso a trovarla mi pareva d’importunarla. E poi non volevo che i suoi vicini pensassero chissà cosa, e mettessero in giro voci strane che avrebbero ferito un mucchio di persone. Adesso lavorava ad ore come donna delle pulizie. Non era molto quello che ricavava, ma quanto meno riusciva a comprarsi da mangiare.


Le case del vicinato erano tutte al buio. Mi sembrò di poter sentire i suoi passi e anche altri suoni che riempivano la stanza. Ma il suo calore, era una cosa che non potevo cogliere più. Accesi una sigaretta e soffiai il fumo contro il vetro della finestra. Perché era successo? Non lo sapevo e non lo avrei mai saputo. Avevo pensato tante cose. Ma l’amore finisce. Bisogna solo farsene una ragione. Fuori in strada i rumori della notte stavano tramando qualcosa di sospetto. Ma io voglio solo un indizio. Perche quando la città cade nella notte, prima dell’oscurità c'è un istante di luce. E tutto allora sembra chiaro e l'altro latosembra così vicino. (City Drops Into The Night-Jim Carroll) Dei ragazzi in mezzo alla strada stavano spacciando eroina. Si atteggiavano da veri duri con i loro cappelli da baseball con la visiera girata all'indietro, la canottiera bianca, e i jeans che lasciavano intravedere i boxer. Il grassone ubriaco faceva il gesto della pistola con la mano, puntandola su chiunque passasse. Una macchina nera transitò a velocità ridotta girò a destra e sparì. A casa di Jim il televisore era appoggiato a terra, e una sigaretta si stava consumando da sola nel posacenere. Regnava il cattivo odore in quell’appartamento in cui mancava l’aria. Il fetore era paragonabile a quello di un frigorifero sporco. Le tende e le persiane erano abbassate, e  tutto era avvolto nell’oscurità. Lui stava riverso sul letto, con il laccio emostatico ancora legato al braccio.

Ciò che ti trovi tra le mani è soltanto un altra iniezione, e ce ne sarà sempre un’altra, con soltanto un po’ meno roba della prossima. (City Drops Into The Night- Jim Carroll)

Tutti i suoi amici erano morti. Ed era davvero troppo tardi per innamorarsi. Ma anche troppo presto per morire. Avrebbe voluto un mondo senza gravità, per volare e vedere finalmente le stelle, e gli angeli dormire. Era nato in una pozzanghera mentre sua madre era in piedi, lasciandogli aperta solo la strada per la tomba. Quando vide il mondo era peggio che incazzato. Poi decise di purificare la sua anima perché era un ragazzo cattolico. Ma c’era sempre qualcuno che lo aspettava, per rubargli la luce dagli occhi. Pur precipitando ha continuato a cantare. Ma quando gli hanno strappato il vento dall’anima, la città è caduta nella notte. Massi era innamorato di Nella. Ed io lo ero stato di mia moglie. Sentì la nausea salirmi, e quella paura del vuoto si prese tutto di me. Mi diceva che era una vita da cani quella. Non potevo darle torto. Adesso un po’ d’alcool mi avrebbe migliorato le cose, la loro visuale. Ero stato forse un egoista, ma non ero mai stato capace di mentire, rubare, imbrogliare. Le luci del quartiere stranamente risplendevano. Sembravo uno spettro dentro quella casa. Ma era per tutte le cose che amavo che sarei rimasto lì. In attesa della luce del giorno.


Bartolo Federico