sabato 28 dicembre 2013

Ancora Sei Miglia Per Il Cimitero



La speranza è una trappola” recitava quella frase. Scricchiolai un attimo. L’avrei letta su un muro, sul vagone di un metrò, in un cesso, ci sarei passato sopra. Ma impressa sul corpo di una chitarra elettrica mi ferì. La musica è l’unica speranza che ho di uscire dal guado, e la chitarra il mio sogno di cambiamento. Ma se questo è solo un inganno della mia mente, allora la smetto subito di ascoltare, fantasticare, inveire, odiare, desiderare, imbrattare, offendere, scopare, urlare, strimpellare, scrivere, bere. Bruciando all’istante tutti i miei 33 giri. E’ un mondo povero e incolore quello che ci circonda, disperato e sterile. Tuttavia, finché ci cammino, devo in tutti i modi sperare di venir fuori dal mio splendido isolamento, fosse anche ascoltando per sempre un blues suonato da Captain Beefheart & His Magic Band.


Ero rientrato in casa dopo avere acquistato una bottiglia di Johnny che Cammina, etichetta rossa, e mi ero messo a sorseggiare un dito di whisky guardando fuori dalla finestra, che poi è anche il posto dove ho lo scrittoio. Tornando, avevo incrociato i miei vicini di casa, padre, madre e un ragazzino di dieci anni su una station wagon che aveva avuto giorni migliori, mentre andavano via. Avevano caricato le loro cose: scatole di cartone, valigie, e degli abiti, ammucchiando tutto alla rinfusa nel vano posteriore dell’auto. Tenevano tutti e tre l’aria distrutta e gli occhi vuoti, come se qualcuno gli avesse scavato una fossa dentro le pupille. La banca gli aveva preso la casa, dopo che erano stati licenziati dal loro lavoro a tempo indeterminato non riuscivano più a pagare le rate del mutuo. L’ufficiale giudiziario che si era presentato quella mattina quasi estiva di fine ottobre era stato freddo e cinico, come una vecchia puttana di fronte all’ennesimo cliente. Aveva eseguito il sequestro scrivendo fogli su fogli, senza mai scomporsi. Neppure di fronte alle proteste garbate dell’uomo che appariva prostrato e logoro, aveva battuto ciglio. Un uomo mediocre è arrogante quell’ufficiale, ma aveva dalla sua i poteri conferitigli dalla legge degli uomini. Quella stessa che protegge con costituzionalità le corporazioni del gioco d’azzardo, o le cooperative onlus, care alla sinistra. Mezzi ideali per il riciclo di soldi provenienti dalla vendita della droga, di armi, e dalla corruzione politica. L’onestà è una cosa richiesta solo ai poveri; gli altri, i ricchi, possono fare sempre quel che gli pare. Faccio il mio lavoro, disse quando se ne andò via inseguito dai singulti della signora Giuseppina, la vedova con tre figlie femmine che sta a pianterreno. Mettitelo su per il buco del culo quel lavoro, pensai, lottando con ferocia con me stesso per non saltargli addosso. Il monitor segnava le sedici e quarantanove. La radio aveva annunciato “la tempesta di natale” una perturbazione che avrebbe portato pioggia, freddo, e neve. Che arrivi al più presto e faccia cadere giù il cielo, e si porti via tutto una volta per sempre, imprecai, mentre Move It On Over, un rock’n’roll inventato da Hank Williams, cercava di far cambiare almeno un po’ le cose intorno a me.


La musica del rock’n’roll si sente in giro. Quando ce l’hai dentro non ce la fai a stare seduto. Ti scuoti, rompi tutto, per tutta la città. (Hillbilly Music - Jerry Lee Lewis)


Nei  dischi di Jerry Lee Lewis, in quelli incisi tra gli anni cinquanta e sessanta, ci sono un pugno di canzoni di Hank Williams, come You Win Again, Jambalaya, Your Cheatin’ Hearts, Cold Cold Heart, Gone Lonesome Blues, Settin’ The Woods On Fire, che Jerry Lee ha reinterpretato a suo modo, tanto che paiono un altra cosa. Ma è proprio questa la forza delle canzoni di Hank. Uno di noi. Le puoi prendere e farle suonare: punk, rock, metal, folk, pop, tecno, rap, reggae, qualunque cosa. Sono motivi popolari, di pubblico dominio, come le canzoni di Bob Dylan o quelle contenute nell’ Anthology Of American Folk Music, edita da Harry Smith.


La musica country alla fine degli anni trenta era diffusa solo attraverso le stazioni radio che la trasmettevano dal vivo finanziandosi con la pubblicità. Da questo circuito, rivolto ad un pubblico di campagnoli che non aveva denaro a sufficienza per comprare i dischi, scaturì anche  la Grandiosa Opera Della Musica Antica (Grand Ole Opry) di Nashville, l’istituzione della country music. Hank Williams nacque povero e con una malformazione alla colonna vertebrale (la spina bifida) in una capanna fatta di tronchi nella campagna vicino Georgiana in Alabama. E’ un mondo duro quello in cui cresce, che puzza di sterco di cavallo e conosce cosa significhi lavorare con la schiena calata. Un mondo dove l’inibizione e la povertà fanno maturare la rabbia che, rinunzia su rinunzia, diventa risentimento e odio. Siamo agli inizi degli anni trenta, in piena crisi economica, durante la Grande Depressione Americana, quella raccontata da Steinbeck in Furore, un libro pubblicato nel 1939. Tutto stava cambiando e un’intera nazione viveva amaramente quella trasformazione sulla propria pelle. La manodopera, spremuta e mal pagata, e le migliaia di americani in marcia verso una nuova terra promessa sembrano una triste analogia con l’Italia di adesso. A sette anni come nelle favole Hank ebbe in regalo una chitarra, e dopo qualche tempo incontrò per strada un lustrascarpe nero suonatore ambulante di blues, un certo Tee-Toot che gli insegnò alcuni trucchi per suonarla meglio. Non ci sono barriere nella musica con una chitarra in mano puoi parlare a chiunque. “Ho una casa a Montgomery dove mi piace abitare ma devo lavorare per la W.P.A. e sono scontento, sono scontento”. È la prima canzone che Hank Williams compose e cantò in pubblico, e parla di quel disfacimento.


Sono le dodici e dodici del mattino, tengo le mani sulle ginocchia e guardo dalla finestra la pioggia spinta dal vento venire giù. Dopo che lei se n’è andata dormo male e mi sveglio di continuo. Quando finiscono i soldi si comincia a nutrire rancore nei confronti di chi pensavi che ti dovesse mantenere, e dopo un po’ l’amore finisce. Avrei dovuto comprendere una cosa banale come questa, ma mi era sfuggita, stramazzandomi al suolo. Non esiste la sincerità, il vero potere è la corruzione, anche nei sentimenti. Stasera qui giù nella valle solitaria sono solo e mi sento triste mentre sto qui nella mia capanna da solo posso vedere il tuo palazzo sulla collina (A Mansion On The Hill). Hank si esibisce nei locali di tutto il sud, suona presso le stazioni radio e scrive, scrive, canzoni. Il ragazzo di campagna adesso è arrivato in città nei locali malfamati, negli honky tonks, nelle strade illuminate di notte con le auto che sfrecciano, e tutte le tentazioni a portata di mano. Un luogo che è l’opposto dell’ambiente in cui è cresciuto. E’ uno sincero, però, Hank è un puro, che canta ciò che sente nel cuore, per questo non alza nessun guscio di protezione. Suona per tutti quegli uomini che, nonostante le controversie della vita, non si sono lasciati travolgere dagli eventi. Certo, lo fa per soldi, per il successo, ma con tutto ciò, non rinuncia mai a mostrarsi per quello che è. Ha una voce aspra, strozzata, nasale, come il primo Dylan. Ma è proprio quel tono serrato del sud che lo rende credibile alla sua gente, che vive nella privazione e nel dolore. 


Tu fai l’orgogliosa io faccio l’orgoglioso tu canti forte, io canto forte  stasera mettiamo legna sul fuoco e fiamme. Ci facciamo il giro degli honky-tonky  stasera ci divertiamo  farò vedere alla gente un ballo nuovo di zecca che non l’ha mai fatto nessuno” (Settin’The Woods On Fire).


Mi ero coricato ma non c’era verso che riuscissi ad addormentarmi. Mi sono alzato e fatto un caffè, ho messo un disco di Neil Young e i suoi cercatori d’oro sono venuti a prendermi. Non le volevo male, perché mai avrei dovuto? Non aveva nessuna colpa, ma non ero stato neppure uno di quelli che gli aveva promesso mari e monti. Sfortunatamente, non scorgiamo mai chi è pronto a colpirci alle spalle. Eppure quella luce dovrebbe abbagliarci. Tutti noi mentiamo e abbiamo due facce, ma non si può sempre nascondere tutto. Poi ognuno ha diritto a cercarla, ovunque si trovi, quella felicità che cerca. Tuttavia, la ricchezza non salverà l’anima a nessuno. “La gente ruba, inganna e mente per la ricchezza e quello che può comprare. Ma non sanno che nel giorno del giudizio l’oro e l’argento si dissolveranno” (A House Of Gold). C’è troppa gente che vive ancora per la strada, nelle baracche, che non ha un lavoro, ed è senza una qualunque tutela sociale. Gente abbandonata all’ombra di un altrui agio esagerato da individui insensibili al dolore, perché vicino al cuore portano solo il portafoglio. Non si può passare su ogni cosa una mano di vernice, per non vedere lo sporco e l’orrore. Sotto quella mano resta quell’alone che rende tutto stinto. Le canzoni di Hank Williams ridanno dignità a quelle persone lasciate da sole senza nessuna direzione chiara e le fanno diventare protagoniste. Gli parlano nella notte a tu per tu e fanno in modo che quel senso di solitudine opprimente si affievolisca, restituendogli quell’energia per consumare la vita anche nella miseria più assoluta. 


Prima di Hank Williams la musica country aveva avuto nella Carter Family, e in Jimmie Rodgers, gli artisti che contribuirono alla sua espansione. Rodgers cantava ballate in cui la gente si poteva rispecchiare ed era famoso per la sua ritmica jodel. C’è tutto nelle sue canzoni: piacere, donne, whiskey, assassini, morte, malattie e miseria. A soli tredici anni iniziò a vagabondare ed a esibirsi per la strada. Quando suo padre lo riportò a casa e gli trovò un posto di lavoro presso la ferrovia, fu da quel contatto con i manovali neri che nacque negli anni trenta la forma definitiva del country-blues bianco. Morì a New York il 26 maggio del 1933 per un emorragia polmonare presso l’hotel Taft.  Aveva solo trentacinque anni.


Raggiunse fama e ricchezza, Hank, e andò ad alimentare quel mito tutto americano del povero che c’è l’ha fatta con il solo aiuto del proprio talento. Ma dentro di lui brucia il demone che ci spinge a bere troppo, a drogarci troppo, a vivere senza mai fermarci un attimo per poter scrutare da vicino la vita che passa. E la stessa cosa che succederà anche a Lenny Bruce, Jimi Hendrix, James Dean, Janis Joplin, Jim Morrison, e a una miriade di altre persone senza volto. Più porte spalanchi e più ti senti invincibile, e ti convinci che puoi avere sempre ciò che vuoi. Anche se ad un certo punto ti senti fuori posto, continui ad andare avanti fino a distruggerti. Un peccatore, Hank, per l’establishment di Nashville, che non si poteva permettere di avere un drogato alcolizzato tra le sue fila. Fu per questo motivo che venne anche cacciato dal Grand Ole Opry. Il suo matrimonio si era sgretolato come tante altre cose nella sua vita, per quegli abusi dovuti in gran parte per sopportare meglio il dolore alla schiena. “Perché non posso liberare la tua mente piena di dubbi e sciogliere il tuo freddo, freddo cuore?” (Cold,Cold Heart). Il rock’n’roll è musica ibrida che affonda le sue radici nel blues, come nel country, che di per sé sono già mischiate. E’ musica che ti dà quel senso di divertimento e piacere puro, che diventerà con Elvis qualcosa di travolgente. Ma senza le canzoni di Hank Williams non ci sarebbe stato il rock’n’roll. 


Oh, la pioggia sta lentamente cadendo e il mio cuore è così dolente. Più di sei miglia per lasciare la mia cara e non rivederla mai più su questa terra. P di sei miglia al cimitero, sei miglia lunghe e tristi. Sei miglia per lasciare la mia cara, e lasciare il miglior amico che abbia mai avuto. Oh, ho udito il treno arrivare e riportare a casa la mia cara. Più di sei miglia al camposanto e sarò lasciato qui da solo. Oh sei miglia...  (Six More Miles To The Graveyard)


Hank non aveva imparato le buone maniere, restava un uomo rude e vagabondo, testardo come un mulo. Anche se era stato licenziato dal Grand Ole Opry, continuava a suonare dove capitava. Quella sera aveva chiuso il concerto cantando “Ancora Sei Miglia Per Il Cimitero” ed era risalito sulla macchina presa a nolo. Accompagnato dall’autista si era mosso per raggiungere l’Ohio, dove un nuovo spettacolo lo attendeva. Nella notte di quel capodanno del 1952 viaggiava seduto sul sedile posteriore. Per il dolore alla schiena passò qualche ora attraversata dall’angoscia, e anche da qualche pausa. Ad un tratto si tolse il cappello, ma quasi subito se lo rimise, stappò una lattina di birra e bevve in un fiato. Accanto a sé aveva la chitarra acustica, si sentiva stanco ma nella penombra intonò la melodia di quella canzone che stava scrivendo: “Non Uscirò Mai Vivo Da Questo Mondo”.  Il sonno lo reclamava, avrebbe potuto essere migliore, se avesse proceduto in un altro modo. Si drizzò sul sedile e guardò la strada. ”Sono  una pietra che rotola, tutto solo e smarrito. Per un vita di peccati ho pagato il prezzo. Quando non ci sarò più, la gente dirà: solo un altro ragazzo nelle perdute autostrade (Lost Highway).  Se ne andò via così. Per sempre. Aveva solo trent’anni, ma il suo cuore stressato e distrutto da tutti quegli abusi aveva ceduto all’improvviso. Era sparito, forse come sperava, viaggiando sull’autostrada del peccato, perduto nella notte.  Il giorno dopo era già leggenda.


”Adesso I ragazzi non iniziano a girare intorno a questa strada del peccato. Sei al limite del dolore. Cogli il mio avvertimento o maledici il giorno che hai corso lungo questa perduta strada. (Lost Highway).


Era una mattina gelida ma luminosa. Una mattina di dicembre, una come tante con il sole chiaro ma freddo. Avevo chiuso la porta di casa alle mie spalle ed ero uscito di buon mattino. L’avevo amata, perché negarlo? Sono entrato in un bar ed ho fatto colazione. Sapevo che la verità è sempre inaccessibile. Ho guardato con disprezzo la sigaretta che mi ero acceso uscendo dal bar. Ciascuno ha il suo prezzo riflettei. Qual’era il mio?


Bartolo Federico


Non esistono album di Hank Williams. Era ancora l’epoca dei 45 giri o dei 78 giri quella che attraversò. Ci sono solo delle ottime raccolte, ma anche un cofanetto, che possederlo è come avere un baule pieno d’oro. Buon Anno a tutti voi.


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venerdì 13 dicembre 2013

Viaggiatori nella Notte



C’è una cosa che mi fa paura del web. 
La mancanza di memoria.

Ed è strano, perché a pensarci bene internet nasce proprio per condividere, memorizzare, immagazzinare incredibili quantità di dati, informazioni, immagini, suoni.

Alla fine il flusso costante di idee, notizie, novità è talmente incessante che non si riesce più a distinguere il bello dal brutto, l’utile dal superfluo; quello che cerchiamo da quello da cui fuggiamo.

E si finisce inevitabilmente per relegare la maggior parte di ciò in cui ci si imbatte in qualche remoto angolo di Google, tra le pagine vecchie, tra le news sorpassate, i vecchi post di Facebook o i “tweet” della scorsa settimana.

Perchè questo così decantato “web sociale” vive solo del presente; sul filo del minuto, sulla diretta condivisione dell’ ultimo attimo vissuto. Che, appunto, dura un attimo. Poi scompare.

Credo che sia questa la vera molla che mi ha spinto a proporre a Bart, l’autore di Viaggiatori nella Notte, qualcosa di diverso.

Che non fosse solo il post disordinato su un blog aggiornato quando la frenesia della vita reale ce lo consente. Qualcosa che potesse lasciare una traccia, proiettare un’ombra. Qualcosa che esistesse, a prescindere dalla connessione internet.

Qualcosa di cui fosse facile conservare memoria.

Il mondo di Bart, fatto di blues, di migrazioni, di diseredati e perdenti è permeato di memoria. Quella memoria che si rafforza nel perenne rituale delle 12 battute del blues, capace di raccontare le storie di antenati distanti nel tempo ma vicinissimi nello spirito. Vicini nell’America degli anni ’20, come nell’Italia degli anni ’10. Un ponte ideale che collega due stirpi differenti di sconfitti, ma non arresi.

Sconfitti dalla politica, dall’economia, dalla grande finanza e, perché no, dall’onnipotenza tecnologica.

Non arresi, perché il blues non può arrendersi. E’ come il pugile costantemente sull’orlo di crollare ginocchia a terra; ma che resta, in storto equilibrio, sempre in piedi.



Così nasce il “progetto Dustyroad” prima, Viaggiatori nella Notte poi. Un libro di racconti interamente trascritto dai post degli ultimi anni del blog di Bartolo Federico. Una tortuoso viaggio per le vecchie, polverose strade del blues. Quelle che non sai mai a che incrocio di portino, ma che sei sicuro, prima o poi, ti metteranno faccia a faccia con i tuoi personalissimi demoni.



Non interpreto questo libro, la piccola parte che ho avuto in esso, come un regalo all’autore, ai blogger amici che ci stanno supportando o ai lettori.

L’ho fatto per me, lo ammetto. In un momento particolare in cui avevo bisogno di dimostrarmi che sì, si può anche fare qualcosa di completamente disinteressato; dove soldi e visibilità non c’entrino, nei limiti del possibile, per nulla. Dove il tempo di uno scrittore come Bart sia finalmente fissato su carta e non scorra via disperdendosi in mille rivoli disperso per la rete.

Chissà se ci siamo riusciti.

Ad ogni modo, ne è sicuramente valsa la pena.



La versione cartacea è disponibile su Lulu, all’indirizzo:






Il prezzo è il minimo consentito, nessuno ha margine di guadagno… Ma se siete interessati, ditemi qualcosa prima, forse abbiamo possibilità di recuperare qualche copia gratuita…



La versione digitale è disponibile, gratuitamente, al seguente indirizzo:




Detto questo, ho l’obbligo di ringraziare sinceramente l’illustratore del volume, Giovanni Lo Re, Badit per gli amici del suo blog. E’ lui che ha realizzato e ci ha donato tutte le illustrazioni del libro.

E devo anche ringraziare i blogger che hanno dimostrato interesse nel progetto!

E adesso la parola al blues!



Evil Monkey