Non so se sia mai esista la terra promessa, so che ci ho creduto sin da quando ragazzino ascoltai The Promised Land di Bruce Springsteen.
Nelle mie notti migliori ho inseguito quel sogno, cadendo più volte a
faccia in giù e masticando amaro. Ostinato come sono, mi sono sempre
rialzato andando incontro al nuovo giorno che lentamente sbattecchiava
gli occhi. Ho tenuto duro grazie alla musica, ai libri, alla poesia, a
qualche film e ai pezzi generosi e sensibili che scriveva Zambo sul vecchio Mucchio Selvaggio.
Sono state queste le cose che mi hanno fatto sentire ancorato al mondo,
che mi hanno dato fede e speranza per resistere, insieme a tutti gli
ultimi della fila dove anch’io silenziosamente mi ero accomodato. Il
rock che ascoltavo era un impasto di poche e semplici ingredienti, ma
aveva dalla sua un’anima che dopo ci ho trovato sempre più di rado.
Mentre calava l’oscurità ed ero lì per naufragare, quel rock mi ha preso
per i capelli, mi ha teso le mani offrendomi una seconda possibilità e,
siccome ho sempre creduto nella sua forza, mi sono abbarbicato a lui.
Non ebbi paura di affogare, ma c’è da dire che ero giovane e anche
incosciente.
Non avendo nulla, ma proprio nulla, scappai nel vento correndo contromano con tutti quei figli e figliastri di Bruce e Tom Waits che, come fu per Dylan,
proliferavano come funghi dopo la pioggia. Salii sul quel treno della
sera pieno zeppo di spiantati che viaggiavano verso ipotetici sogni di
gloria. Ad ogni fermata imbarcava cuori solitari, idealisti, romantici,
buffoni, perdigiorno, tutti avevamo lasciato la città perché era dura
essere santi e ci eravamo tuffati in quel fiume di parole ed emozioni.
Tutti noi, perfetti sconosciuti alla ricerca di una strada alternativa.
Insieme a loro sprofondavo nella malinconia del mattino quando, feroce e
cinica, arrivava la realtà ed i sogni morivano trafitti dalla luce del
sole. Era il tempo del vino e delle rose, di canzoni epocali come furono
Burn e Merrittiville dei Dream Syndicate o The Pan Within dei Waterboys, di dischi romantici come The God Given Right di Lee Fardon e di canzoni e band di disperati, com’erano i Replacements di Tim e i Del Fuegos, di Boston Mass e di quel romanziere polpa e cuore di The Big Heat il mai troppo lodato Stan Ridgway, per finire rifugiati nelle stanze del Blue Hotel di Chris Isaak.
Non
mi è mancato il coraggio allora, no, quello lo avevo in abbondanza.
Aspettai paziente sulla riva del fiume il segnale per ripartire con
nuovi fuggiaschi, ma questo arrivò dopo anni e giunse con i dischi di Will T. Massey, di Michael McDermott e del mio amatissimo Matthew Ryan.
Confuso e bevuto, allontanai i dispiaceri, li infilai dentro una
bottiglia verde smeraldo che gettai lontano insieme alle promesse di una
rossa tutta curve, incontrata per caso lungo la via, ma dal cuore
troppo piccolo per abitarci in due. Appeso alla luna mezza addormentata,
urlai e spinsi sull’acceleratore, costretto, poi, a frenare bruscamente
mentre il tempo passava inesorabile, lasciandomi solo con i miei
patimenti, con i miei rancori che venivano direttamente dal cuore.
Portai alla deriva con me le ferite aperte e mai rimarginate, come
fossero una maledetta punizione.
A volte mi sembrò di sentirmi come un novello Eraclito
e, accontentandomi di quel poco che avevo, mi inabissai nella mia
solitudine, cercando di cogliere, estraneo a tutti, il senso profondo
delle cose che mi circondavano. Non credo di esserci riuscito. Poi il
miracolo avvenne inaspettato. All’improvviso la vidi sbucare dal fondo
della strada, la mia ragazza del Jersey aveva i capelli
riccioluti e occhi neri da cerbiatta che erano spenti proprio come i
miei. Fu lei a fermarsi e a riconoscermi ed io, che nella malinconia
della notte avevo conservato tutto il mio amore per lei, fui colto da un
brivido lungo la schiena e la presi per mano. Fu così che il mio sogno
divenne realtà e mi permise di sognare nuovamente. Scappammo a bordo di
una vecchia e sconquassata 126 e ci dirigemmo verso l’autostrada, mentre
il sangue mi scorreva veloce nelle vene ed il cuore mi pulsava come uno
stantuffo. Adesso ne ero certo, potevo iniziare finalmente qualcosa di
nuovo, qualcosa di vero. Mentre guidavo abbassai i finestrini e nel
chiaroscuro della notte, con quella luna smilza che ci seguiva, sentii
la banda di mezzanotte cantare “….. nient’altro è importante in
questo mondo quando sei innamorato di una ragazza del Jersey e canti sha
la la la la la, sha la la la la la, ripeti il suo nome la notte non
riesci a dormire Sha la la la la la la”.(Jersey Girl - Tom Waits -).
Potete giurarci, non si può vincere da soli, alla fine due cuori sono
meglio di uno. Due cuori risolvono il problema, specie se trovate una
ragazza del Jersey.
Bartolo Federico
Una volta anch'io stavo su una 126, azzurra. Mi sarebbe piaciuto ascoltarci dentro Blue Hote; ma, ovviamente, niente radio!
RispondiEliminaHai dimenticato di dire che in quella vecchia 126 per entrarci ci dovevi slegare una corda che era stata messa per impedire che lo sportello venisse giù. Ma nulla era importante solo il vento tra i capelli e lo sguardo fisso oltre tutto. Niente paura solo speranza e amore. Bella sensazione-
RispondiElimina