venerdì 11 aprile 2014

Cani Randagi

La famigliola aveva trovato alloggio sulla carcassa bruciata di un vecchio furgone Volkswagen. Chi avrebbe dovuto prendersi cura di loro gli aveva invece pignorato la casa e gettati senza pietà nella disperazione più cupa. Si dice che quando gli avvoltoi si posano su un albero quell’albero comincia a morire. “Arrangiatevi!” ripeté il solerte funzionario dell’Agenzia di Stato, non trattenendo un ghigno di soddisfazione verso quella donna che lo supplicava, già chiedendosi come avrebbero fatto adesso senza più una dimora. I poveri sono sempre lasciati da soli. Ed essere soli è come allenarsi a morire. Del resto, anche il mondo fa sempre finta di avere comprensione per i poveri, ma, se sparissero in un botto, i ricchi farebbero salti di gioia. Insomma, ci sarebbero meno esseri spregevoli in mezzo alla strada a chiedere l’elemosina, a vivere di espedienti. Perché ai poveri nulla è concesso se non di crepare. Sono esseri depressi, irritabili, pulciosi. Gente che scivola nell’alcool, che ruba e cammina sbandando. Che non si lava e puzza maledettamente. Solo ad alcuni di loro è concesso di lavorare e così questi disgraziati fanno di tutto per piacergli, per lasciarli contenti a quelli benestanti. Sperando in chissà cosa. Ci vogliono uomini tristi per cantare il blues. C’è la fila lì fuori.
Sonny Boy inizia a usare fraseggi complessi e articolati con uno stile molto pulito, che egli colora con effetti propri. Adopera l’armonica come un prolungamento della voce ed è il primo ad inspirare invece che soffiare dentro la griglia, utilizzando,  come mai nessuno, le mani e la lingua per modulare le note. Ne esce fuori un suono selvaggio, riconoscibile da subito. Sonny Boy Williamson, insieme a Blind Lemon Jefferson, Robert Johnson e Blind Boy Fuller, fu uno di quei re del blues che morirono giovani. Lo trovarono per strada, riverso in una pozza di sangue, con un punteruolo per ghiaccio conficcato nella tempia. Quel sorriso contagioso che spandeva quando suonava si era tramutato in una smorfia di dolore. Chi lo vide per l’ultima volta raccontò che stringeva ancora l’armonica tra le mani. Con il successo Sonny Boy stava ringiovanendo dentro, stava perdendo per strada le menzogne e quella paura di dovere obbedire che gli era stata inculcata sin dalla nascita nei campi di cotone. Troppa grazia per uno nato povero e per di più di colore. Laggiù nel Delta dicevano: Uccidi un negro ne trovi un altro; uccidi un mulo ne compri un altro..
Quel giorno era come se non ci fosse, appannato com’era, sotto i banchi di pioggia. Al centro di riabilitazione per ex alcolisti, mi avevano suggerito che dovevo ripartire da quello che avevo, che dovevo fermarmi, perché la strada mi avrebbe consumato. Me lo ripeterono all’infinito di piangere quanto ero capace, stando a loro mi avrebbe fatto bene. Tornando a casa posteggiai l’auto e, non so per quale strano motivo, mi sedetti sulla banchina sotto la pioggia con il bavero della giacca alzato.
Le canzoni sono come sogni sognati ad alta voce. Così, mentre guardo le nubi minacciose che incombono nuovamente nel cielo, la melodia struggente di Please Be With Me mi fa credere di essere come davanti a uno specchio offuscato dal vapore che quando con un panno lo togli ti offre il tuo riflesso. E’ l’amore o sono io a cambiarmi così velocemente? Guardo fuori, mi sento libero, mi siedo sul letto, immagino le cose che sono state... 
...Il Magro tirò dalla sigaretta e il vento gli portò via il fumo a fior di labbra. Restò a fumare li sulla porta del club. Aveva appena finito di far piovere poesia con la sua magica chitarra, sempre addosso, sempre il suo portafortuna. Quando finì di fumare, con un gesto brusco lanciò via la cicca che, sbattendo sul muro, formò un fascio di scintille che gli sembrarono piccole stelle. S’incamminò sulla stradina laterale e nel buio pesto della notte sparì per sempre.

Lei trafficava in cucina preparando la cena, quando, ad un tratto, disse senza guardarmi: “non avrei mai pensato che la nostra vita potesse ridursi a questo”. Stavo alla finestra scrutando la pioggia cadere. E mi sentii impotente e vuoto come un tamburo. Così me ne restai in silenzio ad ascoltare il rumore dell’acqua che batteva sul colatoio di metallo. Eravamo stati giovani, ribelli, pieni di speranza e fiduciosi. Tutte cose che il tempo forse si era inghiottito in un botto. Cenammo senza dire niente. La pioggia non aveva smesso di ruzzolare e dall’altra parte del vetro non si vedeva più nulla. Sapevo che niente era più al suo posto, che tutto era cambiato. I soldi se ne vanno alla svelta quando non ne entrano altri. Così l’acqua alla gola ce la si trova all’altezza del naso. Forse mi sarebbe bastato lavorare di più in estate e tutto sarebbe andato per il meglio. Dicono che quando piove è la volta che un uomo ha il Blues. (Rainy Day Blues - Lightnin’ Hopkins). Appena finito di cenare mi sedetti vicino la finestra e accesi una sigaretta. Soffiai il fumo sul vetro che si intorbidì. E nel silenzio di me stesso, quasi fosse un gospel, cantai i versi di quel blues, quel vecchio blues che mi portavo appresso come un talismano: Il sole splenderà sulla mia casa un giorno, il vento si alzerà e porterà via il mio blues, porterà via il mio blues… (Seduto Sotto La Pioggia Ho Avuto A Che Fare Con Il Diavolo tratto da Viaggiatori Nella Notte)



2 commenti:

  1. La solitudine non conosce ceti sociali adorato amico mio, ti invade , ti lascia con il tuo avvoltoio davanti agli occhi in attesa di vederti crollare...
    E la pioggia mi porta via non solo il blues , ma anche qualsiasi melodia, non mi è amica, mi riempie di malinconia e di tristezza , quel vuoto gelido di una lastra di marmo...
    Un abbraccio particolare!

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  2. in un momento in cui qualche evento della mia vita è andato fuori fase,leggere le tue parole mi rattristano ancor di piu' . ti sono vicino con tutto il mio cuore.

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