“Ehi Chinaski,
sbraitò il diavolo, spegni quel sigaro che mi stai impuzzendo il manto e
smettila di ruttare e scoreggiare. Dal tuo arrivo quest’inferno è diventato una
bolgia, tanto che non riesco più ad avere un attimo di pace. Questi maledetti
che mi stanno intorno, sembrano dei pazzi, non fanno altro che bere, scopare,
fumare, e prendersi a cazzotti. Delle vere bestie. Sei riuscito a infettare
persino il mite Ferdinand; da quando gli hai passato quel nastro ha ritrovato
lo slancio dei suoi giorni migliori. Non fare il furbo con me Hank, quella
cassetta te l’ha messa in tasca l’infermiera il giorno che ti ha vestito per
spedirti qua sopra. Ti sei fatta anche lei eh! vecchio tralignato. Di la
verità! Ad ogni modo, il tuo amico Celine se ne sta sempre nell’ombra della sua
celletta a scrivere appunti, grugnendo e sospirando, e non la smette di
ascoltare le canzoni che quell’altro matto urla come un ossesso, quel “Richard
Wayne Penniman”.
Satana si
asciugò la fronte. Aveva i tendini del collo arcuati e le dita delle mani
piegate. Lo fissò negli occhi e riprese la chiacchierata. “Ah! quel fetente mi
tormenta. Però a furia di sentirli quei rock’n’roll, li ho imparati a memoria.
Te la ridi eh, stronzo di un Chinanski, sei il solito rotto in culo, non ti
passa mai a te. Ghigni sbavando, perché lo sai che lui si trova a suo agio nei
tragitti bui e tenebrosi, e anche unti di grasso. Quello squilibrato, si è
ingozzato di sogni per resistere quassù, si è portato tutti quelli che gli
riscaldano meglio l’anima, quelli sporchi e cattivi, come i tuoi. Ma oggi sono
in vena di confidenze e ti dirò che mi piacciono un casino quelle canzoni che
ascolta, specialmente quella che inizia « Wop bop a ba loo bop a
lop bam boom! ». Ad un tratto, come serpenti inquieti, arrivò
una valanga di anime che non finiva mai. Il demonio le squadrò esaminandole
attentamente. “Adesso Hank sono davvero incazzato nero perché devo andare a
lavorare, e sai quanto mi rompe i coglioni, quindi porgimi quella cazzo di
birra e vodka che hai a lato, almeno mi metto un po’ su di giri. Era andato
via, e l’aria puzzava nuovamente di scoreggia. Ma tornò indietro e con un colpo
riaprì la porta. “Visto che ci sei dammi anche quel sigaro, se no per punizione
ti spedisco in paradiso”. “Non te lo scordare Chinaski, gli proferì minaccioso,
che comando io qui,” E richiuse la porta con un colpo solo.
C’è una vena
passionale e romantica in ognuno di noi, che ci spinge a cercare la nostra
natura. Nei sud del mondo non e mai stato facile vivere, se sei povero e per
giunta di colore allora sono solo guai. Il piccolo Richard si sedette sul
gradino insieme ai suoi zii, e a suo nonno, predicatori battisti che se ne
stavano assorti in preghiera. In quel pomeriggio in cui la temperatura arrivò
oltre i quaranta gradi, che anche i rospi negli stagni non saltavano più,
qualcuno nel vento infuocato stava suonando un blues arido. Richard chiuse gli
occhi e assaporò quell’odore di pesce gatto fritto, che arrivava da chissà dove
e che gli perforò le narici, trapanandogli lo stomaco vuoto. Era l’estate del
1939 e il piccolo Penniman ultimo di una famiglia di quattordici figli, aveva
circa sette anni e lavorava per strada. Suo padre vendeva alcool di contrabbando,
ed era un uomo duro che gli metteva una paura boia. Ma quando culli un sogno
fai di tutto pur di avverarlo. Costi quel che costi. “War Hawk” com’era
chiamato per via della sua voce energica e tonante dagli altri ragazzi di
colore che cantavano con lui nel coro della chiesa, se ne andava di nascosto a
lezione di pianoforte dopo aver racimolato con molta pazienza il denaro
per pagare l’insegnante. Perché alla fine è solo con le bugie che atterri dove
ti pare, e sono solo le bugie a renderti la vita meno difficile. Bugie
innocenti, bugie vitali. Tanto nella tomba ci finisci sempre da solo. Erano
tempi quelli, in cui la gente di colore aveva paura a mettere anche un
pianoforte in chiesa, perché pensava che fosse il diavolo incarnato. Un
istituzione fondamentale la chiesa per la vita della comunità di colore,
l’unico luogo consentito ai neri per riunirsi in gruppo. Ed è proprio in quei
raduni che Little Richard fu in grado di mostrare il suo enorme talento.
Ma un uomo libero non starà mai dalla parte di nessuno, e tantomeno nessuno
vorrà stare con lui. Allora cercheranno di rinchiuderlo in modo da averne il
controllo. Quando il mercato discografico fiutò l’affare rock’n’roll, gli
piombò addosso come un avvoltoio, e se lo divorò con cupidigia. Era il nuovo
peccato, e il peccato è commercio. Ammiccante, sfolgorante.
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I cani nel
vicolo abbaiavano, ringhiando minacciosi. Erano le quattro meno un quarto di un
mattino del 1955. Richard si sentiva stanco e demoralizzato perché tutti i suoi
tentativi di arrivare al successo con la musica sembravano non portare a nulla.
Diventare una star per un uomo di colore significava riscattarsi da una vita di
umiliazioni e privazioni. Aveva acquisito una grande professionalità a contatto
con musicisti del calibro di Johnny Otis, artista con cui continuerà a
lavorare anche in seguito. In questo lasso di tempo era stato anche
caparbiamente sincero con se stesso, ma sembrava che tutto questo non bastasse per
trovare la via del successo. “Se non riuscirò a sopravvivere con la musica
pazienza” pensò sfregando la brace dalla sigaretta, e infilando il mozzicone
nella tasca della camicia. Girò tutta la notte per le strade della città, tra
case di legno, e cortili di terra battuta. Quando fu sulla via principale
traballando tentò di cantare una canzone. Un vecchio blues. Ma era troppo
ubriaco per ricordarsi le parole. Si inginocchiò e sparse ululati da lupo
ferito alla luna. Poco più tardi il gallo cantò tre volte. E’ molto meglio non
filosofeggiare troppo sulle cose, perché la paura non porta da nessuna parte.
Little Richard alquanto scoglionato e afflitto, si ritira dalle scene e se ne
va a fare il lavapiatti, in un terminal del Greyhound. Ma non lascia la
musica, continua a scrivere canzoni e anche sul lavoro non smette mai di cantare.
Un motivo per il proprietario per insultarlo e trattarlo male. Ma è
proprio mentre lavora qui che scrive il suo jolly. ”Tutti Frutti” è una
canzone che fa ascoltare al suo amico Lloyd Price che gli consiglia di
spedirla alla Specialty Records di New Orleans. Questo pezzo suona come
una corrente d’aria fresca, in un anima piena zeppa di tagli e graffi. Fa uno
strano effetto bagnarsi di luce, dopo essere stati per tanto tempo nell’ombra.
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Era pratico e
attrezzato il J&M studios di New Orleans messo a sua disposizione,
il quattordici settembre del 1955 Little Richard, inizia a registrare le
sue canzoni. “He’s My Stars”, “Wondering”,” Directly”, ”I’m Just
A Lonely Guy”, ”Kansas City”. L’atmosfera tra i musicisti è rilassata e complice. Tra uno stacco e un
altro, si beve, si fuma erba, e si scherza. Ogni tanto Little rulla al piano le
note di “Tutti Frutti” e si accorge che i musicisti gli vanno dietro
divertiti. Ma quella canzone non fa parte di quelle session perché il suo testo
è troppo volgare per essere pubblicato. Glielo aveva detto Blackwell ad inizio
seduta che quella canzone restava fuori. Ma con il passare delle ore tutti si
accorgono che è davvero impossibile non inciderla. Si decide su due piedi di
far arrivare in studio Dorothy La Bostrie, una scrittrice del luogo, per affinare quel linguaggio sporco e
da strada contenuto nel testo. Quando tutto fu pronto, Little batté il piano
con un ritmo ancora più folle delle prove precedenti, le percussioni entrarono
dure, e arrivò la sua voce rauca, ansante, carica di sesso. Tutti i musicisti a
quel punto si lasciarono andare, e fu allora che Richard saltò sul piano, cadde
in ginocchio, singhiozzò e si mosse lento, poi veloce, e quando entrò il sax, cazzo quando entrò il sax, tutti ballavano in una follia seducente e bastarda.
Il rock’n’roll nero era appena nato.
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Il serpente si contorce ancora, ritorna e sparisce, trascinandosi nel buio
per sfuggire alla presa di chiunque voglia catturarlo. Il coraggio non è
perdonare. Si perdona anche troppo agli uomini, e questo non serve a nulla. Si
erano seduti da circa mezz’ora, come in un bar di quelli scadenti, Chinaski,
Ferdinand, Ernest, e Van Gogh,
per il solito poker serale, si stavano ancora studiando quando all’improvviso
fece irruzione un tale dall’aria candida, con due fessurine per occhi. “Forse
voi non lo sapete, disse, ma alcune persone sono destinate a trascorrere
l’eternità all’inferno”. Era un topo di tunnel. Cazzo poteva andar peggio pensarono i quattro, e versandosi un doppio scotch presero a cantare « Wop bop a ba loo
bop a lop bam boom! » Subito dopo la porta si aprì con un colpo solo. Del resto non vale la pena parlarne.
Bartolo Federico
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