giovedì 3 luglio 2014

Dove Il Fiume Finisce



Dormire negli ultimi tempi è diventato un vero tormento, al tal punto che Il sonno mi sembra una discesa negli inferi. Colpa di tutti quegli spettri che vengono a trovarmi. Al risveglio mi sento stanco, spossato, come una di quelle ballate febbrili, claudicanti e senza sole dei Jacobites di Nikki Sudden e Dave Kusworth, o del Johnny Thunders di Hurt Me. Il medico a cui mi sono rivolto ha confermato che è un problema legato alla mia depressione ansiosa, e che sono molto peggiorato rispetto all’ultima volta che mi ha visitato. Stampando la ricetta con gli antidepressivi da prendere, asserì anche che il mio comportamento compulsivo e ossessivo era da tenere sotto stretta osservazione. Non è che mi vergognassi a dirlo, ma quei sogni che facevo la notte erano diventati come una ragnatela. Non mi lasciavano mai continuando ad inseguirmi anche di giorno. Però, allo strizzacervelli questo non glielo dissi. Ero seduto in cucina quando squillò il telefono portatile e risposi con voce rauca ad una signorina dai toni suadenti, che mi illustrava un offerta vantaggiosa, ma non compresi se era per la rete telefonica o del gas. Dopo un po’ che le prestavo attenzione la sua voce mi sembrò metallica, come se provenisse da un altro pianeta. Non sapeva niente di me, né io di lei, ma stavamo lì a conversare come se ci conoscessimo da chissà quanto tempo. Restai con la cornetta attaccata all’orecchio, pensando ad altro, perché mi sembrava davvero sgarbato chiuderle il telefono in faccia. Mentre l’operatrice continuava ad illustrarmi la sua proposta, mi alzai dalla sedia e azionai  lo stereo: Autumn Stone degli Small Faces, l’ascoltai come sottofondo a quella strana cicalata mattutina.



Ero nel nulla, finchè tu non hai cambiato la mia mente, l’amore viaggia attraverso l’essere buono con te. Dopo sei stata da qualche parte, un luogo difficile da trovare, quel che tu sei sempre stata, è la verità. Cerco una porta aperta, dove mi posso mettere seduto e giocare in pace con te. Il domani cambia l’odierno verde dei prati, ieri è deceduto, ma non i miei ricordi, eravamo stranieri, e poi sei arrivata tu. La più dolce alba primaverile a cantare per me. E così ho trovato un suono che vive, che si muove, che respira e fa all’amore con me.



Quando esco il traffico è ancora scarso. Camminando per strada incrocio Gianni un vagabondo che assomiglia in maniera impressionante a Lemmy dei Motörhead, che con i suoi anfibi neri e gli abiti stazzonati vive tra i binari della ferrovia. Una volta era stato un chitarrista, ma con il passare del tempo aveva perso il contatto con la musica. Mi chiesi, salutandolo, quali erano stati i suoi peccati da espiare. Forse il suo elenco di cose che non avrebbe dovuto fare era troppo lungo? O gli era capitato qualcosa di così tremendo, che lo aveva spinto a lasciare il mondo? Vallo a sapere, anche perché era sempre difficile interloquirci. Comunque erano andate le cose, stava pagando il suo prezzo. Io, invece, nonostante le profezie del dottore non mi sentivo ancora alla resa dei conti, e il mio livello di guardia restava alto. L’arteria principale della città adesso è intasata da automobilisti che suonano impazziti il clacson dell’auto. Nessuno di noi è padrone di nulla, anche se molti credono il contrario. Nessuno di noi possiede l’alba, il cielo, la pioggia. Una piccola ombra mi protegge dal sole. Cammino come tanti sulla strada dei sogni infranti, con la cognizione che è questo l’inferno. Anche se in molti non se ne sono ancora accorti. 


Bene, ho incontrato una ragazzina in una città di campagna. Lei dice “cosa hai saputo?” C’è Slim Harpo, non ho mosso la mia testa, non le mie mani, non ho mosso le mie labbra. Lei agita i suoi fianchi, la bambina ha mosso i suoi fianchi. Agita i tuoi fianchi, bambina.



In questo periodo che i soldi sono veramente pochi, rispolvero sempre più spesso i miei vecchi dischi. Dal computer non scarico alcun file musicale perché ad un certo punto mi sono sentito come un ladro. Mi limito ad ascoltarla, la musica, quando mi incuriosisce sufficientemente.  James Moore in arte Slim Harpo è stato l’esponente di punta dello swamp blues. A soli quindici anni resta orfano ed è costretto ad abbandonare la scuola per mantenere il resto della famiglia. Si impiega come scaricatore di porto e dopo come manovale, ma appena finito il lavoro suona per strada le canzoni che scrive, accompagnandosi con l’armonica e la chitarra che ha imparato da autodidatta. Le monete cadono rumorosamente nella sua ciotola, ed è così che conosce Lightinin’Slim, che lo porta dal noto produttore Jay D Miller. Quest’ultimo, però, non si accorge del talento di questo ragazzo e lo lascia in disparte, fin quando Slim gli fa ascoltare quel suo nuovo brano dal titolo I’m A King Bee, un pezzo dalla ritmica martellante e devastante. La canzone diventa un grande successo, che viene bissato da “Rainin’ In My Heart”. Un blues notturno, lento e ipnotico, che viene fuori dal fruscio delle paludi della Louisiana. Queste sue prime canzoni rappresentano al meglio i suoi due volti musicali. Il primo lato del disco è terminato con la puntina che si inceppa proprio sul finale.  Mi alzo dal divano e giro il vinile. Poso con cura la puntina sul secondo pezzo, per evitare quell’altro graffio che ferisce la prima canzone. Muddy Waters, Kinks, Yardbirds, e Rolling Stones, anche quelli di Exile On Main Street, attinsero dal suo repertorio di canzoni straordinarie. Accendo una sigaretta e aspiro un paio di boccate, tenendola tra le dita come fosse un amante. Mentre il fumo mi scende nei polmoni, un pensiero mi attraversa. C'è come una fossa dentro di noi, ma se il dolore svanisce, sbiadisce anche il ricordo che lo mantiene vivo. Guardo la mia ombra riflessa sul muro della stanza, e non so perché le sorrido.


Non temo più l'inferno, adesso i morti  mi fanno molto meno paura dei vivi. Ho acceso la lampada sullo scrittoio ma i contorni delle cose continuano a sfumare nella mia mente. Fuori la luna è talmente piccola in quel cielo nero, che la potrei accogliere dentro il palmo della mia mano. Mi giro e qualcosa da dentro lo specchio mi osserva. Quel rantolo rauco di Hound Dog Taylor che arriva dallo stereo acceso mi scuote. Da qualche parte ho ancora del J&B, cerco la bottiglia accompagnato dalla musica e mi verso quel che rimane in un bicchiere di plastica. In questi ultimi tempi ho imparato tanti piccoli stratagemmi. Da quando sono rimasto da solo, sono diventato un casalingo esperto. Rimbocco le coperte sopra le lenzuola, lavo i pavimenti con l’aceto, stendo il bucato, pulisco i vetri asciugandoli con la carta di giornale, e ascolto la radio mentre sbatto i tappeti. 



Il giorno sta per finire. Sul tavolino del salone, non so come c’è finita, una mia vecchia foto di quando avevo diciotto anni. Ho i capelli lunghi e i Ray-Ban, e un aria smarrita. Non è che sia cambiato di molto. Almeno a guardarmi così di primo acchito. E’ un blues sporco e aggressivo, aspro e irruento. Un blues che partendo dal Mississippi si è formato per la strada, nei bordelli di Chicago, e si è irrorato di whiskey e imbottito di fumo. E’ un blues oscuro e genuino quello che suona Hound Dog Taylor con i suoi degni compari gli Houserockers, diretto discendente del suo maestro Elmore James. Con il suo stile bottleneck esuberante e distorto manda in visibilio il pubblico nei suoi concerti non stop, che gli fanno conquistare fama e credibilità nella difficile città del vento. E’ un selvaggio seduto in quella sedia pieghevole mentre pesta i piedi e getta la testa all’indietro. Il volume degli amplificatori è altissimo, ma lui possiede un drive che è una meraviglia del demonio. Accendendosi l’ennesima sigaretta, aizza la folla ad alzarsi e ballare. È ruspante e minaccioso, ed è un amante delle donne tanto che un suo amico gli affibbiò quel sopranome di cane segugio. Ma Hound Dog la vita la prendeva davvero con ironia e irriverenza. La sbatteva spiaccicandola sul manico della sua chitarra, per poi con la mano sinistra del diavolo e quel collo di bottiglia evocare gli spiriti del Delta e di quel cane bastardo di Robert Johnson. La puntina ha percorso tutti i solchi del vinile e nella stanza è calato il silenzio. Ma adesso chi è che mi sta guardando nel buio?


Yes I called my woman this morning. I called her on the phone. You called somebody, told me "Look a here man, she really not at home, she said see you in the evening, oh yeah that's all she see you in the evening or she don't see you at all" (See me in the evening- Hound Dog Taylor) 


E’ il deserto il luogo preferito dei viaggiatori. Perché è in questo territorio che ci si illude di muoversi, per non arrivare mai. La mattina dopo aver rassettato la casa me ne sono andato all’ufficio postale per pagare delle bollette arretrate. Durante il tragitto mi ha fermato una chiromante che ha voluto leggermi la mano. Dopo averle sorriso, con un certo imbarazzo gli ho teso il palmo. Mi sembri ubriaco, mi fa guardandomi dritto negli occhi. No non lo sono, le risposi. Il tuo amore ritornerà, mi dice con tono sicuro. Adesso caracollo che sembra quasi che mi stia mettendo a ballare. Subito dopo infilo una mano in tasca e le do tutti gli spicci che ho. Quando arrivo alla posta la gente straripa fuori dalla porta. Ma dal momento che le bollette sono già scadute mi armo di pazienza e mi metto diligentemente in fila. Illegale non vuol dire che non sia giusto. Tiro a campare, mi nascondo e cerco di evitare di pensare. Ma mi sento stanco, stanco, della mia incapacità di adattarmi. La gente in fila è scoglionata, nevrastenica. Dal governo ci arrivano solo enormi tasse da pagare e il lavoro è un miraggio per tanti. Poi, quel Presidente ci prende a tutti per il culo. Un immigrato quando è il suo turno chiede all’impiegato se gentilmente gli può scrivere un indirizzo sulla busta, ma il tizio lo respinge in malo modo. Adesso è veramente troppo. Ed è così che ritorno per un attimo sulla terra, mi stacco dalla fila e sbatto le mani sul suo specchio di protezione. Come impazzito, prendo a urlare di uscire dalla sua comoda cuccia, che ho delle cose da spiegargli. Perché sono stufo, ma proprio stufo, di persone come lui. Ma evidentemente non si fida e resta fermo e silente sulla sua poltroncina. Lo so che non ci puoi sopportare, continuo a gridare, ma sai una cosa?, neanche noi sopportiamo individui come te. Poi con calma mi rimetto in fila mentre un silenzio glaciale scende giu'.


Weldon “Juke Boy” Bonner amava la strada. Con la sua chitarra dal suono primitivo e grezzo, accompagnandosi con l’armonica per sottolineare il suo tormento, il suo blues mise in scena la lotta di un uomo per l’affermazione dei propri diritti, ma anche della sua stessa sopravvivenza.



Ricordo che vivevo sulla costa occidentale francese. Avevo solo diciassette anni quando una ragazza mi tocco per la prima volta il cuore. Nonostante io abbia visto i fiumi, questi non sembrano mai belli come lo sei tu. Talvolta le luci dovrebbero affievolirsi. Talvolta il mondo è in bianco e nero (Where The Rivers End - Jacobites).


Non serve a niente ricominciare, le cose si mettono sempre come vogliono. Mi sedetti sul divano e alzai gli occhi verso lo specchio. Una volta scendevo al fiume con Maria ed è lì che ci siamo amati. Ma adesso quel fiume si è inaridito. Perché i cuori sono come i fiori. Sputai il tabacco che stavo masticando nel vaso e sentii bussare alla porta. 



Bartolo Federico





 






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