venerdì 11 luglio 2014

La Strada

Nella notte aveva piovuto di continuo e al mattino la carreggiata era ancora bagnata. Sembrava una giornata di fine ottobre per quella malinconia che aveva avvolto il paesaggio. Dei pettirossi passarono sopra la mia testa sfarfallando qua e là. Li osservai massaggiandomi la schiena. Avevo il corpo indolenzito dopo la nottata trascorsa a riposare sul sedile del furgone. Ma era anche vero che non ero più vispo come una volta. Fatto il pieno, controllato l’olio e l’acqua del radiatore, cambiate le pasticche dei freni e riparate le ammaccature che ricoprivano la carrozzeria del camioncino, ero partito. Mi sentivo braccato dagli eventi, e quell’ inquietudine di andarmene senza meta mi aveva nuovamente morso nel cuore. Ma non era più il tempo di fughe precipitose, della ricerca frenetica, da perdenti sballati, o da esausti, che una volta ingolfavano la linea bianca di mezzeria. Non era più il tempo di facce sperdute, di capelloni con chitarra, di mistici, tutti quanti diretti verso i propri confini interiori. No, non era più quel tempo. Ma avevo la consapevolezza che la strada era l’unico luogo dove potevo fare chiarezza alla mia stessa confusione e in qualche modo salvarmi dalla pazzia. Sapevo che durante il viaggio sarei stato ciò che sono, finalmente senza più alcuna finzione. Per questo avevo deciso di seguire quell’ansia che ad un tratto mi attaccava e mi lasciava senza respiro. Quella smania che provavo sin da ragazzo e che mi aveva divorato la vita. La strada era ancora lì, nera e lucente, selvaggia e inafferrabile, apparentemente immobile, e con occhi spalancati aspettava di essere nuovamente percorsa.


Il blues è la storia di un popolo di migranti. Un popolo che riusciva a sentire, ascoltare e guardare in faccia le cose che accadevano ed a parlarne con la forza della musica. Persone ricettive, i bluesman, che tramite il viaggio, il continuo spostamento da un luogo ad un altro, aprivano gli occhi sul mondo. Voglio piangere, voglio urlare, mi sento così male, che ho voglia di morire. Ma se domani mi sento come mi sento oggi, preparerò la valigia e me ne andrò via”(Big Bill Broonzy). Howlin’ inizia ad incidere che è già abbastanza grande e questo giocherà a suo favore. Nel suo blues saprà convogliare la tradizione dei  vecchi poeti del Delta, con quello che la strada gli ha spiegato. 
 

Look down the road, cantava Skip James mentre osservavo l’orizzonte di fronte a me. Il blues con la sua scala di note tradizionali del Delta esprime l’angoscia, il rimpianto, l’amarezza. Il blues rurale era istintivo senza nessuna convenzione e sgorgava libero dall’anima del musicista. Alle volte era fragile, fragilissimo, come gli uomini che lo cantavano. Ma per questo pieno di pathos e mistero. I bluesman del Delta non sapevano mai cosa avrebbero suonato quando imbracciavano la chitarra o soffiavano in un armonica. Solo dopo, con l’avvento degli strumenti elettrici furono costretti a suonare sequenze derivanti dall’armonia. Era un nuovo modo per farsi ascoltare nel frastuono della città ed anche per continuare ad esistere. Questo rese certamente più fruibile la loro musica, ma tolse qualcosa alla magia primordiale. Oh, baby don't you want to go, Oh, baby don't you want to go, Back to the land of California, To my sweet home Chicago (Sweet home Chicago - Robert Johnson).   



Dal bar avevo telefonato nuovamente a Concetta, ma anche questa volta non aveva risposto. Una macchina mi superò suonando nervosamente il clacson. Erano le dieci della sera e faceva un caldo boia. Mi sentivo teso con il corpo sveglio ma la mente addormentata. Non riuscivo a tenere in piedi un pensiero e  quello strano senso di  vuoto si era nuovamente impadronito di me.  Facevo strada cambiando umore di continuo. Adesso avrei potuto rimanere per sempre immobile nella notte. Quando avevo sedici anni me ne stavo a fantasticare romanticherie, ero nel pieno di quel desiderio di solitudine ma anche convinto che un incontro mi avrebbe cambiato la vita. Poi le cose avevano fatto il loro corso e c’erano stati lunghi inverni passati da lupo. Alla fine qualcuno aveva bussato alla porta. Guidavo stando a colloquio con i miei spiriti, e avrei voluto che piovesse nuovamente. Non c’era più quella magia intorno a me che rendeva tutto più sopportabile. Il tempo si era distorto. Ma il tempo è l’unica certezza che abbiamo. Forse, pensai, avrei dovuto imparare a lasciarmi andare, a nuotare senza gli stivali e guidare senza freni. Guardai la strada nera e profonda davanti a me e poi il cielo che era un fragore di stelle. Calai il finestrino e ascoltai  il vento sibilare tra l’erba. (Camminando Da Solo tratto da Viaggiatori Nella Notte)


Bartolo Federico



2 commenti: