Mi ero imbottito di quei blues scontrosi e poco confortanti, che amavo ascoltare quando volevo fare chiarezza con me stesso. E siccome queste cose mi accadono sempre di notte, per dimostrare quanto ero forte, mi ero lavato le ferite e stavo sprofondato nell’ombra, in attesa dei primi colori dell’alba, che chissà perché tardava a venire. Avrei dovuto sistemare quella porta del bagno che cigolava fastidiosamente ad ogni colpo di vento, pensai, intanto che accendevo una sigaretta e tiravo qualche boccata. Era una notte anonima e senza sfondo, una delle tante notti che avrei preso volentieri a calci se le mie ossessioni non avessero deciso di assalirmi e vendicarsi per i soprusi e le angherie a cui le sottoponevo.
Da un po’ di tempo a questa parte si era aperto un conflitto d’interessi tra me ed i miei chiodi fissi; avevamo avviato il conto alla rovescia, per vedere chi si fosse arreso prima. Mentre brancolavo, decisi che questa volta non sarei fuggito, ero pronto a sfidarle in un duello all’ultimo sangue, come quelli che avvenivano tra pistoleri nel polveroso west. Fu così che mi ricordai di Lone Wolf, il Re della Solitudine, il mio eroe dei fumetti di quando ero bambino e leggevo l’Intrepido nella veranda di casa di mio cugino Alfio. In un attimo mi trasformai in lui. Con il poncho e il cappello calato sulla fronte, tirai un risolino stanco e vuoto, un risolino da lupo ed aspettai paziente che facessero la prima mossa. Stavolta le avrei sbirciate con un ghigno di disprezzo e fulminate all’istante, non appena avessero allungato la testa. Con il mio Winchester in acciaio brunito.
La notte si era rintanata nel suo sgabuzzino. Stropicciato ma vivo, ne ero uscito anche questa volta. Rimisi a posto quel cd alla moda, che l’industria discografica furba e rapace aveva pubblicato per il centesimo anniversario della nascita di Robert Johnson. Quel cd in cui avevano masterizzato i suoi blues in modo impeccabile e serviti in una confezione di lusso. Ma il blues, se vuole essere tale, deve stare scomodo altrimenti somiglia a qualcos’altro o è un’altra cosa. Quando misi quel compact nel lettore, a momenti mi pigliava un colpo. Non me le rammentavo più, quelle canzoni; la chitarra era nitida e pulita, la voce di Robert mi sembrò irriconoscibile. Abituato, com’ero, ad ascoltarlo sul vinile, tra fruscii, salti di puntina, polvere e alone di mistero, quel cd non si addiceva per nulla ad un tipo come lui e neanche a me. O almeno così volevo pensare. Si finisce sempre per credere a ciò che fa più comodo. Raccattai dallo scaffale il mio vecchio 33 giri, sgangherato e pieno di graffi, e i demoni della sopravvivenza ripresero a pungermi. A certe cose non bisognerebbe mai forzare la mano. Certe cose vanno custodite così come ci sono state donate.
E' un inquieto ed affamato sentimento. Che non dice niente di buono, quando tutto quello che dico lo puoi dire altrettanto bene. Tu hai ragione da parte tua, ed io ne ho dalla mia. Siamo rimasti indietro per un mattino di troppo ed un migliaio di miglia (One Too Many Mornings -Bob Dylan-)
![[Astral Weeks - Van Morrison Album Cover Art]](http://www.dejkamusic.com/images/album/large/van_morrison/astral_weeks.jpg)
Passavo il mio tempo a girare in tondo, forse avevo bisogno di sole, di calore, di una nuova pelle. Lei era arrivata. La vidi dalla finestra posteggiare l’auto. Era vestita alla moda, stretta nel suo impermeabile nero, i capelli raccolti sotto il basco di lana con un ciuffo ribelle che le fuoriusciva da un lato. Aveva fascino. Quel fascino, neppure troppo discreto, di chi sa che ha delle carte da giocarsi. Scese in fretta dall’auto e per non bagnarsi dalla pioggia velata che cadeva sulla città, camminò sicura a grandi passi verso il portone di casa. Mi affacciai al balcone e la pioggia mi calò lungo la faccia. Una faccia divorata dalla tristezza, come quella di Leonard Cohen.
” Ora ti dico addio, non so quando tornerò. Mi muoverò domani verso quella torre giù lungo la strada. Ma lo saprai da me donna, dopo molto che sarò andato. Ti parlerò dolcemente da una finestra. Nella torre della poesia” (Tower of Song).
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Chiusa nella sua torre d’avorio, sopravviveva ai suoi party, ai suoi falsi amici, gente che era morta e non lo sapeva. La guardai mentre accavallava le gambe; era attraente, ma era bene chiamare le cose con il proprio nome. Era solo una questione di sesso quella che ci congiungeva. Non che la cosa mi dispiacesse, anzi, ma era un gioco al massacro. Dovevo fare attenzione, dosare ombre e luci per essere credibile; e lei doveva essere solo più curiosa e, probabilmente, anche più profonda. Glielo dissi parlando lentamente, a voce bassa, cercando in tutti i modi di non ferirla. Mi versai un dito di whisky per non cedere allo sconforto.
Era andata via così come era arrivata. Da quella stessa porta era uscita per sempre dalla mia vita, con un passo lento e senza mai guardarmi negli occhi. Non me lo meritavo. Ma era stata la cosa migliore per tutti e due. Non sapevo fingere, non potevo sempre essere in guerra con tutto e tutti. Mi sentivo stanco, sfinito, e avrei voluto dormire. Misi un cd di Willy il lupo mannaro e mi abbracciai alla pioggia che continuava a cadere. E intanto che lui cantava con la sua voce rotta dall’emozione quelle note per un amante assente, mi addormentai. ”Dille che aspetterò/Al solito posto/Con gli stanchi ed estenuati/Non c’’è scampo/Al bisogno di una donna/Devi sapere/Come chi è forte diventa debole/E il ricco diventa povero/Stai correndo con me/Non toccare la terra/Siamo quelli dai cuori senza riposo/Non quelli in catene. (Slave To Love – Bryan Ferry)
A Paolo Vites, con stima.
Bartolo Federico - Gennaio 2012
grazie amico
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