lunedì 31 dicembre 2012

Bollettino Delle Emozioni 4 (Al Bar Da Gino)



Stanno giocando sempre con lo stesso mazzo di carte segnante, e quel professore è un baro. Bisogna dar fuoco alla casa per liberarci una volta per tutte da queste sanguisughe. Parlava come fosse Joe Strummer la zia Amalia mentre spegneva la tele. Era talmente incazzata che temevo le venisse un accidenti. Si leggeva chiaro dentro i suoi piccoli occhi semichiusi dalle cataratte l’odio che nutriva verso quei reazionari del potere.Sbraitando proseguì: sbucano dal teleschermo giocando al “guarda chi si rivede”, non hanno pudore queste facce di merda. Prima si sono mangiati il bue, adesso anche le corna vogliono sgranocchiarsi. Con i suoi seicentocinquanta euro al mese di pensione doveva pagarci l’IMU, è la colpa era quella di possedere un appartamentino nientediche, che i suoi genitori gli avevano lasciato in eredità. Quella casa con il suo lavoro non se la sarebbe mai potuta comprare neanche a vivere due volte. Mica era un boiardo di Stato qualsiasi, infilato senza nessun merito in un posto di rilievo dal suo padrino politico e dalla modesta paga di cinquanta mila euro al mese. Lei si era dovuta sempre arrangiare nella vita insieme al suo defunto marito, un ciabattino, un uomo integerrimo che aveva passione e amore per la sua attività. La zia, per far quadrare il loro magro bilancio economico, cuciva gli orli dei pantaloni e andava a fare le pulizie ad ore. Tutto in nero ovviamente (ma è meglio non farglielo sapere a quel boiardo di Stato, la braccherebbe per evasione fiscale). Insieme allo zio Iano, avevano tirato la carretta con modestia e dignità. “A che pro adesso chiedono a me i sacrifici questi vermi schifosi” concluse sbattendo la porta della cucina, ormai completamente fuori dai gangheri.



Quella domenica mattina mi alzai dal letto cercando di scrollarmi la sbornia della sera precedente Era il mio primo giorno di libertà, per cui mi sparai ad alto volume il cd di Slackeye Slim. El Santo Grial: La Pistola Piadosa. Un disco per bastardi che hanno attraversato l’America rurale imboccando le strade secondarie, quelle più dure e polverose. Musica all’apparenza sghemba e malandata, ma suonata con passione e abilità che sembra fuoriuscire da un grammofono dove un 78 giri magicamente scatarra rockabilly, western swing,  country e blues, che ti fa ruzzolare dentro una saga epica del 1800. Un viaggio duro e brutale nel selvaggio west. Slackeye Slim ha una voce sverniciata dall’alcool (Shan Mac Gowan docet) è un attitudine alla musica che partendo da Hank Williams (a cui assomiglia anche fisicamente) trascina con se tante passioni che vanno da Ennio Morricone a Link Wray al duo Nick Cave-Johnny Cash, finendo come tutti i romantici malinconici nelle braccia del più grande ballader della tarda notte, Tom Waits.



Al bar da Gino, la sera precedente, con Tony il poeta, avevamo discusso e al nostro solito alzato il gomito. Mi aveva raccontato che si era iscritto ad un concorso per nuove promesse letterarie. E da lì che era partita una discussione interminabile sui poeti vecchi e nuovi e su chi secondo noi sapesse scrivere la vera poesia. Citammo Borges, Dylan Thomas, Allen Ginsberg, T.S.Eliot, Salinas, Ungaretti e quel vecchio sporcaccione di Charles Bukowski. Poi, ad un certo punto, Tony, si lanciò in un iperbole ubriaco letteraria su Omero. Lo ascoltai con meraviglia affabularmi dell’Odissea guardandolo con occhi strabici e la testa penzoloni, senza capirci molto di quello che proferiva. Tutta colpa ovviamente di quel vino ambrato fatto in casa che andava giù nelle viscere che era una bellezza. Alla fine concordammo su un punto: i giganti se ne erano andati e non c’era stato nessuno a rimpiazzarli.Anche nel rock era avvenuta quasi la stessa cosa, accidentaccio.Questa mattina però, a mente fredda, mentre mandò giù un caffè lungo e amaro, gli avrei detto che c’è un poeta fortunatamente vivente che regge il passo con chiunque. Il suo nome è Bob Dylan.



Ci vuole un bel bagaglio di fortuna per affrontare la vita e la mia come quella di molti altri è cattiva da tempo. Ma vale sempre la pena provare ad andare avanti per tentare di esplorare quei coni d’ombra che con ci fanno mai vedere il sole. Intanto che  zia Amalia era andata in gita, non so dove con il suo esercito della salvezza, ne approfittai anche  per organizzarmi delle seratine a tema di sesso e rock’n’roll. La pollastrella che mi ero portato a casa l’avevo conosciuta al bar da Gino. avevamo scambiato quattro chiacchiere bevendo del gin tonic che lei mandava giù come fosse acqua minerale è già questo mi piaceva e ci accomunava. Poi, tra una cosa e un’altra era scoccata la scintilla. Un po’ brilli, non  appena fummo fuori dalla porta del bar cominciammo a palpeggiarci nelle parti intime. Salimmo in casa che eravamo eccitati come due ragazzini alle prime armi. Lei era bella soffice e con la lingua ci sapeva fare, altroché se ci sapeva fare. Tra gemiti e sospiri godemmo alla grande. Quella sera venne fuori una scopata coi fiocchi. Ad un tratto però accadde quello che non ti aspetti e che ti fa vedere una persona con altri occhi. “Senti” mi fa la tipa accartocciata tra le lenzuola nel momento in cui i Rolling  Stones ci davano dentro con It’s Only Rock and Roll “non è che per caso possiedi Miracle, di Willy De Ville”. Lì per lì restai sorpreso della richiesta perché non mi era mai capitata una femminuccia che conoscesse il gitano. 



Mi alzai dal letto e dallo scaffale dove tenevo i vinili tirai fuori quel disco uscito nel lontano 1987, dove per la prima volta Willy usa il suo nome al posto di Mink. Un disco anomalo nella sua discografia causa la produzione che Mark Knopfler leader dei Dire Straits gli riserva. De Ville non è per niente contento di quel suono che Mark gli ha confezionato. Perché lo fa assomigliare troppo ad un disco degli Straits  più che a se stesso. Willy è uno tosto che proviene dai bassifondi e i suoi dischi fino a quel momento hanno sempre puzzato di blues e di rock’n’roll anni cinquanta. La faccenda è talmente seria per uno che non prendeva mai sottogamba il suo lavoro e la sua musica che, alla fine del giro, interromperà con Knopfler qualsiasi rapporto umano. Ma le canzoni che scrive per Miracle sono belle fino allo sfinimento. Canzoni che vengono buone quando vi affacciate nei baratri dell’ombra. Canzoni  assassine che si insinuano sottopelle e che riescono  ad arrivare a quei ricordi rintanati nell’oblio per farvi un sopralluogo a raggi X del cuore. Cantate come sempre da una voce unica e inimitabile, una voce che ha cuore e anima e che nessun soul lover ha dimenticato. Il tempo fuori non era un granché. Ci stringemmo tra le lenzuola mentre la melodia di Nightfalls imprigionava la notte. Ed allora le chiesi a bassa voce e con tutta la grazia di cui disponevo: “Come ti chiami baby”. Lei guardandomi per un attimo dritto negli occhi mi rispose altrettanto sommessamente: “Toot, ma credo di avertelo già detto, tesoro”.



La mattina mentre aspettavo l’autobus per andare a lavoro incappai in Rino il pianista, uno che suona l’organo Hammond B3 da Dio. Non appena mi vide fermo sotto la grondaia stampò una frenata che solo per fortuna non causò un incidente a catena e, dietro gli strali degli altri conducenti, saltai velocemente sulla sua macchina. Durante il tragitto, a gengive stirate, mi raccontò che aveva sempre diffidato dei grandi quotidiani come il Corriere Della Sera,La Repubblica, La Stampa, il Giornale (non li cito tutti se no facciamo notte). La loro pseudo informazione, sosteneva, non ha mai toccato i potentati e mai, mai, ripeteva con ossessione, è stata dalla parte dei cittadini. Rispondono solo a quei politici massoni che li sostengono finanziariamente e che fanno parte dei loro consigli d’ amministrazione. Servono per coprire i loro sporchi giochini. Sono organizzati come i mafiosi questi signori attenti a non calpestarsi i piedi a non invadere l’altrui terreno. Alle volte danno l’impressione di alzare un polverone per dare giusto l’idea che loro sono i cani da guardia della libertà d’espressione, di verità e giustizia, ma stanno fingendo, soffiano solo un po’ di fumo sugli occhi dell’opinione pubblica. Il problema è che c’è chi ancora ci crede in questi ciarlatani, dove il più pulito dei loro giornalisti ha la rogna.



Le elezioni sono alle porte continuò e sono tutti in azione a difendere l’indifendibile come hanno sempre fatto. Incominciare a non comprarli più questi giornali da circo equestre, spegnere la tele e non votare più quella gente che proteggono, sarebbe un primo vero atto rivoluzionario di quest’italietta clericale che mai si ribella, sempre accondiscendente con chi la bastona e la depreda. Poi nell’autoradio inserì una casetta (uno degli ultimi nostalgici Rino eh!) di Van Morrison e le note magiche di Redwood Tree ci mandarono in paradiso. Una canzone contenuta in un disco uscito nel 1972, dal titolo Saint Dominic’s Preview, uno di quei dischi dove si sono abbeverati per suonare il loro rock stradaiolo personaggi come Springsteen, Bob Seger, e lo stesso De Ville. Musica che è come una goccia di pioggia che, man mano che scivola sul vetro, traccia nuovi percorsi e poi esitando si biforca e devia ancora, mentre le altre gocce la rincorrono, e infine  si unisce ed esplode in una botta di vita senza limiti, con cui si potrebbe fare il giro del mondo correndo come dei novelli Forrest Gump. Così quella mattina Van Morrison mi cambiò l’umore, che si era fatto nero di rabbia per la discussione aperta da Rino. E per un po’ dimenticai anche gli strani avvenimenti della mia scombinata esistenza.



Tra non molto, come accade ogni fine anno, assisteremo a quella kermesse che è lo scegliere i migliori dischi, i migliori film, i migliori libri, i migliori concerti, i migliori vestiti, le migliori attrici, insomma chi più ne ha più ne metta. Certamente ognuno è libero di  divertirsi come meglio crede. A me non è mai piaciuto parteciparvi perché non sono mai riuscito a catalogare le mie emozioni, e quando ho provato a farlo me ne sono subito pentito. Ma se proprio ci tenete a saperlo, visto che sono in tema di confidenze e ancora un po’ alticcio, vi dirò che i migliori sono tutti quelli che stanno lottando senza tutele per un posto di lavoro, e sono in tanti, tantissimi. Gli esodati, i minatori del Sulcis e tutti quelli che come loro hanno tenuto la schiena dritta, succeda quel che succeda. Gli imprenditori che si sono uccisi perché questo Stato sordo e muto è bravo solo a ramazzarti e a pretendere. Uomini dalla troppa dignità per sentirsi umiliati, vilipesi e svergognati da chi invece li doveva con ogni mezzo sorreggere. Gli abitanti dell’Aquila che resistono e dell’Emilia che si sono prontamente rialzati e quelli di Taranto che invece subiscono. E chi non voterà la balena bianca. Un pensierino ai peggiori. Quelli che scendono, salgono, e si posteggiano per sempre in politica evocando l’alto senso civico del loro gesto. Un sonoro vaffanculo a tutti loro.



Con il web in questi ultimi anni ho avuto modo di ascoltare molta musica che prima mi sarei solo sognato. Ma mi rendo conto che è anche troppa e alle volte ci perdo pure quel gusto che la ricerca di accaparrarmi un disco mi infondeva. Allora, quando ne venivo in possesso lo sorseggiavo come se fosse stato un bicchiere di bourbon e l’ascolto durava mesi, alle volte anni. Adesso è tutto più veloce si consuma nel giro di qualche giorno e si dimentica in fretta. Ma è anche vero che il web dopo i Clash è l’unica vera rivoluzione che abbiamo vissuto. Ci ha aperto mille possibilità come quella di farci un blog e di scrivere di noi. Che in un informazione ovattata come quella che abbiamo non è poca cosa. Oggi di dischi se ne vendono sempre meno e comunque il download gli ha dato il colpo di grazia. Ma con quello che costano se tieni famiglia e un lavoro malamente retribuito a conti fatti non ti puoi permettere l’acquisto neppure di un cd (che comunque per il sottoscritto, resta un supporto orribile). Qualcuno dirà che anche un tempo l’acquisto dei dischi era caro e salato ed era relegato per lo più a chi era benestante e colui che non poteva comprarsi i dischi si faceva registrare le musicassette da un amico. Quindi, alla fine dei conti, è la stessa cosa che scaricare gratuitamente quello che bramiamo. 



Vero anche questo. Ma sapete come vanno certe cose, sarà che il tempo passa e quello passato ci sembra sempre migliore, anche quando forse non lo è stato per niente. Non posso non pensare a quando, con quei soldi che riuscivo in qualche modo a racimolare, passato quasi un mese dall’ordine mi arrivava il pacco postale contenente i vinili desiderati. C’era trepidazione in me nel toccare quelle copertine, e sentire anche solo l’odore del cartone era inebriante. Con gli occhi sbarrati dallo stupore,  poggiavo sul piatto quei dischi come fossero una reliquia. Perché quello che avevo appena aperto era  davvero come un forziere dei pirati, non sapendo mai fino in fondo cosa mi aspettasse di ascoltare. Ma questi sono solo ricordi, nostalgie brucianti, considerazioni di un vecchio rocker, che il tempo ha fatto fuori irrimediabilmente e che citando Bruce, ha imparato molto di più dai quei dischi che dai libri di scuola (o  da professori arroganti in loden blu).



Stavo ascoltando a tutto volume Carmagnola #3, un brano scritto da Giorgio Canali e i Rossofuoco e cantavo rabbioso insieme a lui: ma non se ne va con i "per favore"non se ne va chi ha troppo da lasciare non se ne va, con le buone Simon dice: "rivoluzione!" quando il citofono iniziò ripetutamente e nervosamente a suonare tanto che pensai che la zia Amalia fosse già di ritorno dalla sua gita. Spensi in tutta fretta  lo stereo e andai a rispondere. Con la sua vocina leggera che sembra che ti prenda per il culo mi rispose il poeta: che aspetti ad aprirmi sta venendo giù il cielo. girai lo sguardo fuori dalla finestra ed effettivamente la pioggia scendeva copiosa. Non ci avevo fatto caso, preso com’ero dalla musica. Entrò in casa spavaldo con una bottiglia del nostro vecchio amico Jack Daniels in mano, riportandomi un cd che gli avevo prestato e che finalmente dopo tempo immemore ritornava all’ovile. Ci versammo da bere e subito  prese a recitarmi quella poesia che aveva scelto per il concorso letterario. L’intensità che promulgò mi fece rivedere in lui il Robin Williams del film l’Attimo Fuggente.  



In una stanza senza armadi c’è un tavolo senza cassetti, una sedia e un appendiabito vuoto, una torcia elettrica e una bottiglia di whiskey, mozziconi di sigaretta, una chitarra acustica e un armonica in tonalità di mi maggiore. Un pacco di dischi, dei libri, e una lettera d’amore. Alle volte succede che sono le canzoni che cantano gli uomini e le loro gesta e non viceversa. In Public Domain, un disco pubblicato da Dave Alvin nell’anno 2000, accadde proprio questo. Canzoni con radici nel “sentiero delle lacrime”, che come spiriti hanno viaggiato nelle polvere del tempo e di porta in porta, di bocca in bocca, si sono depositate nel cuore delle persone, ritornarono vestite di tutto punto per il ballo della festa, lucidate e rimesse a nuovo pronte nuovamente a risplendere di una nuova luce. Canzoni che sono un patrimonio dell’umanità. Che fanno parte di tutti noi e che per questo vanno difese e celebrate. Canzoni alle volte anche ingenue suonate su tre semplici accordi, quegli stessi accordi sempre uguali, che hanno fatto poi grande il rock’n’roll. Che sono passate tra le dita e il grande cuore di Woody Gutrie, Doc Watson, Tommy Johnson, Johnny Cash, Bob Dylan, Carter Family, Blind Willie Mc Tell solo per citarne alcuni. Canzoni che parlano di ferrovie, vendette, omicidi, di cuori impavidi, inseguimenti e gelosie, di speranza e sopravvivenza. Di persone lasciate sole. Di te e di me.



Tony si era addormentato accovacciandosi sul divano. Erano quasi le quattro del mattino e la pioggia continuava a cadere. Non gli avevo raccontato che ero rimasto stregato da Toot e neanche che ero stato licenziato dalla ditta di pulizie dove lavoravo. La signora Elvira, finita la giornata, con le lacrime agli occhi mi aveva chiamato e dato la paga. Poi abbracciandomi mi spiegò che aveva tenuto duro finché le era stato possibile, ma questa crisi feroce e inutile l’aveva sovrastata. Non possedeva più i soldi per andare avanti e la banca gli aveva revocato il fido e chiuso il conto. Ancora una volta tutto quello che toccavo era andato in malora. Mentre aspettavo l’alba di un nuovo giorno provai una stretta al cuore e pensai a mio padre e a Sal, alle loro anime, e cercai coraggio. Nonostante tutto continuai a scrivere, fumando e bevendo troppo. Ma questo voi lo sapete già. Buon Anno a tutti.



Bartolo Federico




7 commenti:

  1. Veramente vale sempre la pena provare ad andare avanti, per scoprire coni d'ombra ...
    Cerchiamo di fare in modo che sia un affermazione e mai una domanda.
    Ben vengano un nuovo anno e vecchia musica.

    Un augurio di felicità.

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  2. Leggere un tuo scritto è come compiere un tragitto in buona compagnia:)
    Ciao, Bartolo! Auguri di cuore:)

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  3. grazie davvero di tutto cuore.un abbraccio.

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  4. ricambio Black, speriamo bene per il 2013 ma io non sono molto ottimista.un abbraccio

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  5. A Berlino mi è già capitato di confrontarmi con persone per le quali i l'Italia è il Paese dell'arte e del cibo. E della disoccupazione. Ma è vero? mi chiedevano. Sì, è vero. Lavoro e studio non vanno mai di pari passo, uno dura sempre più dell'altro (lo studio, di solito), e in Italia conosco pochissime persone che fanno il lavoro per il quale hanno studiato. Questo succede ai giovani, perché i genitori, sempre pronti ad aiutarli, nel frattempo invecchiano, e i soldi messi da parte non servono più per il futuro dei figli, ma per la cura degli anziani di casa. C'è quell'età di mezzo in cui si lavora: per il mutuo, non per la musica, non per i libri, nemmeno i voli low cost ci salvano da una vita che assomiglia sempre più a quella dei nostri nonni che nascevano e morivano in miniera, senza vedere mai la luce del sole. C'è internet, è vero: contribuisce all'appiattimento, ma a un livello più alto, quello dell'illusione visiva di avere una vita diversa. Ma i migliori sono quelli di cui non si ha notizia, che fanno cose grandi nel loro piccolo: sopravvivono.
    Su internet tutti sanno tutto su tutto, informazione, cultura, divertimento, io ultimamente non ce la faccio più a seguire, il troppo e il troppo veloce mi stordiscono, e hai ragione, non c'è più l'entusiasmo dell'acquisto sudato, delle monete messe da parte - queste non si toccano, piuttosto scrocco la benzina per andare al lavoro - per comprare un disco (o, nel mio caso, un libro) in lista da mesi. E l'ingresso nel negozio, o l'arrivo di un pacco, erano momenti ineguagliabili. Il libro preso in biblioteca o la musicassetta registrata non mi facevano lo stesso effetto (a parte che nessuno mi scriveva mai i titoli).
    Il mio 2013 è iniziato bene: ho ricevuto un libro di seconda mano come pagamento di un lavoro di cucito che ho fatto. Mi è sembrata una cosa bellissima. Per queste piccolezze, nonostante tutto, non riesco a non pensare che la mia vita stia migliorando. Lentamente.
    Buon 2013

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  6. Non cambiare mai da come sei Elle.Continua a camminare dentro i tuoi sogni.Lentamente.

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