sabato 25 ottobre 2014

Portami A Ballare




Intanto che la radio strimpellava una canzone, fumavo standomene seduto con i piedi appoggiati sul cassetto più basso della scrivania. Aspirai profondamente e tirai fuori il fumo, facendogli fare le nuvolette indiane. Mi sentivo come anchilosato su quella sedia, ma non avevo altro da fare. Girai lo sguardo nella stanza, toccandomi la gamba intorpidita. Sul divano di pelle ormai scrostato, c’era appoggiata la mia Gibson J45. Sulla parete rivestita con carta da parati a fiori rosa, erano appese delle foto in bianco e nero che ritraevano la mia famiglia al gran completo. Spensi la radio e con uno scatto repentino mi alzai, restando fermo in piedi. Lo avevo imparato nel corso del tempo, che solo certi uomini ottengono quello che vogliono. E mi ricordai di come avevo immaginavo che sarebbe stato il mio mondo. Di come avevo sognato che mi sarebbero andate le cose. Ma alla fine tutto era rimasto solo nei miei deliri. Niente di particolare.
  
Syd Barrett era un musicista che sconfinava in territori inconsueti. Un tipo fuori dal coro, che però sapeva guardarsi dentro con onestà. Disegnava ombre con la musica, e fu il genio creativo del primo album dei Pink Floyd. Tutti però credevano che fosse solo un pazzo, e  anche tonto. The Piper At The Gates Of Dawn vide la luce nel 1967, ed è un disco ripudiato da tutti quei fan audiofili dei Pink Floyd appassionati di dischi come Dark Side Of The Moon, o Wish You Were Here. Colori acidi e rumori, immagini, campanelli, sveglie a cucù. Un flusso di sensazioni che servivano per aprire le porte della percezione. Musica che andava oltre lo specchio. E’ in questi solchi che si è consumata una generazione di cantautori, che hanno colto il lato poetico e visionario, di un viaggiatore dell’anima. Robin Hitchcock fra tutti. Spensi la sigaretta schiacciandola nel posacenere. Un'ombra furtiva si accartocciò sul divano e s’infilò nella buca della chitarra. Mi versai una tazza di caffè dal thermos, e mi rimisi a sedere. Non avevo mai pensato che Syd fosse pazzo. No. Niente affatto. 

Lucifer Sam, gatto siamese siede sempre al tuo fianco Sempre al tuo fianco Quel gatto è qualcosa che non so spiegare Jennifer Gentle sei la strega Tu sei il lato sinistro Lui è il lato destro Oh, no Quel gatto è qualcosa che non so spiegare.(Lucifer Sam)


Lo uccisero le cattive abitudini a Lester Bangs, un figlio di puttana che scriveva di musica. Un critico scomodo, polemico, e controcorrente, per la grande industria del rock degli anni settanta. Uno che voleva emulare fin troppo le cattive abitudini di Lou Reed. “Il più grande bastardo autodistruttivo che conosceva”. Innamorato com’era del rock’n’roll, incise anche un disco amatoriale nel 1981 a nome di Lester Bangs and the Delinquents. Morì nel 1982 a soli trentatre anni, per un overdose di Valium e Darvon, mentre ascoltava Dare degli Human League. Certo che fu davvero sfigato a crepare accompagnato dalla musica di quell’album, che suonava del pop elettronico commerciale. Se solo lo avesse saputo, si sarebbe  ascoltato  Rock’N’Roll Animal. 


Quando mi era mancato il lavoro avevo cominciato ad arrangiarmi con i risparmi che avevo raccolto. Ma ben presto mi ritrovai con le spalle al muro, e fui costretto a tornare da mia madre nella casa che mio padre le aveva lasciato. All’inizio la nostra convivenza fu alquanto difficile. Poi quando smussammo certe asperità, le cose presero ad andare molto meglio. Per non sentirmi troppo di peso  facevo la spesa, il bucato, e preparavo da mangiare. Lei si ritrovò più tempo da dedicare ai suoi gatti, alle amiche, e alla tivù. Il sabato sera andava a ballare con il gruppo dei parrocchiani, e rientrava sul tardi, quasi sempre un po’ brilla. Le persone più infelici probabilmente sono quelle che hanno ottenuto quello che hanno voluto. La gente s’incazza e si lamenta, ma a me non me ne importa più nulla. Ho imbracciato la chitarra, e suonato St. Charles dei Jefferson Starship. Lascia che ti racconti un sogno, Tu sai che nel sogno l'ho vista. Oh, San Carlo canta, e canta l'amore. San Carlo parlami stanotte, vorresti parlarmi d'amore?” Dopo ho acceso lo stereo e la luce della lampada sopra la scrivania. 


Se per un qualunque motivo fosse necessario definire il rock Who’s Next degli Who è perfetto per capire cosa significhi suonare questa musica. Daltrey, Entwistle, Moon e Townshend nel 1971 hanno firmato uno dei migliori dischi di sempre. Una cosa che mette quasi in imbarazzo per la bellezza sconvolgente, e impetuosa, che possiedono ancora queste canzoni a distanza di quaranta anni. Quando le ascolti capisci che non sai un cazzo. Ecco forse basterebbe ripartire da qui, perché il rock riconquisti un nuovo interesse. Una volta erano molte le cose che mi facevano paura. Molte più di adesso.


Un sabato sera accompagnai mia madre a ballare, aveva talmente insistito che mi sembrò scortese rifiutare. Quando arrivammo la sala era già piena. Sulla pista affollata le persone sembravano divertirsi. Lei con il suo arzillo accompagnatore, si mise subito in moto. Restai un po’ a guardarli poi mi accomodai al bar, ordinando un doppio whiskey liscio. Come ballerino non ero mai stato un granché’. “Che ci fai qui?” mi disse Leandra, sorridendo e aggiustandosi gli occhiali sul naso. Stava ritta davanti al mio tavolino. Mi alzai e l’abbracciai invitandola a sedersi. Era prevedibile che tornando in quei luoghi avrei finito per incontrarla.  Eravamo amici dalle scuole medie, e avevamo avuto una storia d’amore alquanto complicata. Era ancora una bella donna, con un bel portamento, e un modo di fare che ti metteva a tuo agio. “Ho finito per trasferirmi nuovamente qui, quando ho perso il lavoro, la casa, e anche l’equilibrio. Questo è tutto", conclusi. Lei mi guardò stranamente. “Quello che però non hai perso è la tua maschera”. “Hai sempre l’aria di chi non si fida di nessuno”. “Anche questo è vero", annuii”. Ordinai da bere per entrambi, e quando il barista ci portò i bicchieri, ci alzammo e andammo sul terrazzo a fumare. L’avevo amata abbastanza, pensai, da poterla ancora rimpiangere. “E’ cambiato tutto dentro di me Bart. Una volta ero davvero tosta, e credo di non essere impazzita perché il mio lavoro mi ha assorbito in tutto e per tutto. Ma anche questo alla fine è stato un errore. "Ti ho pensato in questi anni, ma mi sembrava un'umiliazione cercarti”. Le sorrisi amaro. Stavamo seduti a chiacchierare con un bicchiere in mano, a rinvangare tristezze. Quando tocchi il fondo tutto ti sembra uguale, ma non sentivo alcun dolore a stare li' con lei. Dopo mi guardò come per chiedermi qualcosa, ma non sapendo cosa, non dissi nulla. Appoggiò il bicchiere sul tavolino e se ne andò a ballare. 


Tornai a casa a piedi, attraversando la notte che si era arrotolata nel cielo, cupa e scontrosa. Ero nella parte nord della città, la parte più ricca. Le case erano nuove, e ben fatte. C’erano centri commerciali, e il vialone era tutto illuminato. Un tempo quella zona era solo campi, e alberi di agrumi. Ci venivo con lei a bordo della mia R4 per farci l’amore. Camminai a lungo fino alla casa di mia madre, e pensai a mio padre. Volevo una vita normale, non mi sembrava di chiedere chissà cosa. Solo una vita normale. Quando rientrai ero ancora da solo. Non avevo voglia di dormire e fumando una sigaretta dietro l’altra, pensai a lei.

Avevo bisogno di musica notturna, semplice, e senza grossi strappi. Qualcosa che mi permettesse di stare con me stesso. Recuperai l’album di esordio dei Dire Straits, e accesi lo stereo. La musica nel suo morbido battere si insinuò sotto pelle. Una volta avevo una donna che potevo dire mia, una volta avevo una donna, la donna è fuggita dove una volta c’era il fiume. Adesso c’è pietra. E' brutto, sai, quando si è soli (Water Of Love). Era il tiro giusto per tastare le mie cicatrici, e per rispondere ai miei quesiti. Quel languido tocco di chitarra mi rendeva meno cattivo. In passato non avevo avuto molta pazienza. Certo potevo fare di più, sapevo anche questo. Ma delle cose a cui tenevo ne parlavo poco, anche a me stesso. Non mi piaceva inventarmi nuove smorfie, solo per stare con gli altri. Cercare scuse, e fare trucchi, che non sarebbero serviti a nulla. Non mi apparteneva quel modo di fare. Quello che avevo conservato erano solo le canzoni, loro sì, che mi avevano aiutato a mantenere quella parte di me che non voleva cedere. 


La mia vita aveva preso una brutta piega, ma era pur sempre la mia vita, e qualcosa significava. Prima o poi, avrei ricominciato di nuovo a respirare. Sentii la porta chiudersi. Spensi lo stereo, e anche la sigaretta. Era stata una notte strana e dura, e non avevo più voglia di arrovellarmi il cuore. Il frigo ronzava, e la luce dei lampioni arrivava fin dentro la stanza. Attesi per vedere se mia madre avesse bussato alla mia porta, e quando non lo fece capi' che era piu' ubriaca del solito. Leandra era ancora dentro di me, perchè negarlo. Fu cosi' che nel tardo mattino mi assopii.


Bartolo Federico

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