Seduto in un bar qualsiasi bevo caffè e fumo di tanto in tanto qualche mozzicone. Me ne sto con le tempeste sonore di Bob Dylan nelle orecchie e sono davvero su di giri. Ho la stessa eccitazione che si prova quando si fa una cosa che non si può fare. O come quando cerchi delle risposte e non le trovi neanche a spremerti il cervello come un limone. “Dici che sono un giocatore d’azzardo, dici che sono un magnaccia. Ma non sono nessuno dei due. Ascolta il fischio di Duquesne che soffia” (Duquesne Whistle). Qualche giorno fa sono andato per l’ennesima volta all’ufficio di collocamento. Un nuovo impiegato, simpatico come un becchino delle pompe funebri, mi ha detto che non c’era trippa per gatti, per cui facevo meglio a ripassare tra qualche mese o tra qualche anno, tanto era lo stesso. Nel frattempo frusciai ad alta voce: “vengo a mangiare da lei”. Il tizio ha fatto finta di non capire. Mi incamminai a testa bassa rovistando nei pensieri più infimi verso i bassifondi della città, che poi non sono altro che il quartiere dove sono nato e cresciuto. Ho molti amici da queste parti è un lavoretto più o meno lecito sarebbe venuto fuori.
Avevo sempre sognato di scivolare nel ventre della notte per perdermi nella sua anima. Ma anche di andarmene da qualche parte dove il sole splende sempre. Avrei voluto fare un sacco di cose, anche amare qualcuno, ma non facevo un cazzo di niente. Mi ero laureato in giurisprudenza con il massimo dei voti. I miei genitori avevano tirato la cinghia e anche qualcos’altro per farmi studiare perché sin da piccolo promettevo bene e il loro sogno era quello di avere un figlio da chiamare dottore. Quasi fossi una roulette, avevano puntato tutto su di me. Indubbiamente, avevo fatto la mia parte fino in fondo, se lo meritavano, ma a dire il vero anche allora alle volte avrei voluto dileguarmi come un fuggiasco nella notte. A cosa sono serviti tutti quei sacrifici, pensai ingoiando un sorso di caffè, se sono uno dei tanti che rimpingua la fila dei disoccupati? Mi do da fare, svolgo mille lavoretti, anche cose odiose come il venditore porta a porta. Però, in questo cazzo di paese, vendere è l’unica prospettiva che ti viene data. Alla fine qualcosa vendo e qualcosa riscuoto, ma sempre troppo poco per tirare avanti. Insomma, mi sento bello e inguaiato e non ho un piano B. In fondo la questione è una sola: c’è chi ha le possibilità e chi no. In quale categoria rientro l’avrete capito da soli, immagino. Mi tocca ancora aspettare, pensai, tirando una lunga boccata di fumo velenoso. Mi alzai e andai via dal bar. Ero davvero stufo di tutto questo. Il tempo non aspetta nessuno, figuratevi uno come me.
Il tempo non aspetta nessun uomo e non mi aspetta. Si il tempo non aspetta nessuno e non aspetta me. Sfrutta la tua estate, raccogli il grano. I sogni di una notte svaniranno all’alba. E il tempo non aspetta nessuno. (Time Waits For No One – The Rolling Stones).
Il tempo non aspetta nessun uomo e non mi aspetta. Si il tempo non aspetta nessuno e non aspetta me. Sfrutta la tua estate, raccogli il grano. I sogni di una notte svaniranno all’alba. E il tempo non aspetta nessuno. (Time Waits For No One – The Rolling Stones).
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“Il tempo può tirar giù un palazzo o distruggere il viso di una donna. le ore sono come diamanti non sciupatele. Il tempo non aspetta nessuno non regala niente. Il tempo non aspetta nessuno. E non vuole aspettarmi”. (Time Waits For No One – The Rolling Stones).
Me ne torno nel mio stambugio, afflitto e più tenebroso che mai. Non me la sono sentita di speculare ancora sulla sua bontà, sul suo garbo. Adesso è tempo di mettere le cose in chiaro con me stesso. Nella solitudine il divino se ne va via e sparisce per sempre. Eccola, già pronta una nuova angoscia da accudire. “A Scarlet Town la fine è vicina. Le Sette Meraviglie del mondo sono qui. Il bene e il male convivono fianco a fianco. Tutte le forme umane paiono glorificate. Metti il tuo cuore su un vassoio e vediamo chi lo morderà. Vediamo chi ti stringerà e ti darà il bacio della buona notte.”(Scarlet Town - Bob Dylan). Incontrai Rickie Lee Jones per caso, mentre giù dal cielo i sogni piovevano a grappoli sulla mia testa. Camminavo sonnolento e anche un po’ brillo alle porte della notte, quando ad un tratto da una macchina ferma con l’autoradio accesa sentii quella canzone.
It's your last chance To check under the hood Last chance She ain't soundin' too good, Your last chance To trust the man with the star You've found the last chance Texaco Well, he tried to be Standard He tries to be Mobil He tried living in a world And in a shell There was this block-busted blonde He loved her - free parts and labor But she broke down and died And threw all the rods he gave her. (The Last Chance Texaco).
It's your last chance To check under the hood Last chance She ain't soundin' too good, Your last chance To trust the man with the star You've found the last chance Texaco Well, he tried to be Standard He tries to be Mobil He tried living in a world And in a shell There was this block-busted blonde He loved her - free parts and labor But she broke down and died And threw all the rods he gave her. (The Last Chance Texaco).
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Ma i sogni che attraversano troppe cose, lasciano sempre e comunque una scia di rimpianti e nuvole. I primi due album di Rickie Lee Jones, l’omonimo e Pirates, sono stati un toccasana per tutti gli innamorati della notte, per chi è annegato nei sentimenti. Rickie Lee Jones è stata la duchessa incontrastata di chi si è fatto fregare dalla luna e dal randagio di Pomona e ciondolava scompigliato nell’animo appresso a quelle canzoni, come se anch’esso si trovasse con i suoi esecutori in una discarica di oggetti usati che nessuno voleva più. Cicche di sigarette, gabbie e barattoli, poltrone di pelle coi sedili sfondati, riviste ingiallite, un ventilatore arrugginito, la canna del gas, veleno per topi in bustina, una tromba di plastica, la carcassa di un cane, libri strappati, bottiglie vuote, pezzi di ferro, un caminetto, una lampada ad olio ed ancora cicche di sigarette, una tenda bruciata, un trenino elettrico. Tre seggiole e un tavolino.
Sin da quando nei primi anni settanta si esibiva nei bar, Rickie Lee Jones amava fare cover. Nella sua discografia sono state una costante. Dotata di una voce che sa scavare in profondità, le sue interpretazioni riescono a tirare fuori quella parte di sfumature che precedentemente ci era sfuggita, rivelando significati nascosti e trasformando la canzone in una sua creatura. Girl At Her Volcano, il mini lp uscito nel 1983, ne è un esempio lampante. "Il Diavolo Che Tu Sai" ci racconta del suo lungo viaggio attraverso la musica. E’ un album così intimo che si possono sentire i battiti del suo cuore e vedere le cicatrici che l’hanno segnata. C’è profondità ed emozione, c’è il blues dentro queste canzoni che rappresentano tutti i suoi amori musicali. Per citarne uno su tutti, il Van Morrison stellare di Astral Weeks. Una produzione attenta, affidata a Ben Harper, risulta essere perfetta, mai ingombrante, talmente delicata da farci percepire in pieno questa intimità. Rickie Lee Jones canta nella sua splendida solitudine canzoni musicalmente ridotte all’essenziale che sono già belle di loro ma che, attraverso la sua voce che li scortica fin dentro le ossa, sembrano essere tutte nuove. E come se lei ci facesse l’amore con questi pezzi, li accarezza senza violenza, senza cinismo, con una tenerezza e una sensibilità di cui tutti noi ci siamo dimenticati.
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Si la stella passava dolcemente, la corrente continuava a scorrere. Si eravamo tranquilli e rilassati. E la guardavamo volare. E il tempo non aspetta nessuno. E non vuole aspettarmi. E il tempo non aspetta nessuno. E non vuole aspettarmi. (Time Waits For No One – The Rolling Stones).
Bartolo Federico
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