Quella notte sonnecchiavo il sonno che non avevo ed ero inquieto come lo sono sempre stato per cui mi alzai per non svegliare Patty che dormiva profondamente. Scesi al piano di sotto e accesi la tv. Girai svogliatamente i canali e ascoltai a volume bassissimo la replica di un tiggì che parlava della crisi economica, del governo, di pagliacci e di puttane, tutte vecchie storie sempre uguali. Ma ecco la novità: i ragazzi finalmente in strada a ribellarsi. Era ora.
Inghiottiti dal nulla del grande fratello si erano svegliati da quel torpore che li aveva avvolti per troppo tempo. Speriamo che duri pensai, il futuro è nelle loro mani. Mario se n’è andato sbattendo la porta, con la schiena dritta e il pugno alzato. Cazzo quel pugno alzato mi mette sempre i brividi come quando in un filmato d’epoca vidi i partigiani minuti magri come chiodi alzare il pugno davanti alla cinepresa. Mi inorgoglì e mi vennero i brividi. Gli stessi brividi.
Ero inquieto. Non che avessi un motivo. Niente, ero cosi e basta. Mi alzai dal divano ed andai al computer. Mentre aspettavo che s’accendesse presi la chitarra acustica e feci un paio di accordi. Adoravo quella chitarra, era quella che Woody Gutrie si portava a spasso per aprire le coscienze di chi era sordo e cieco. La macchina ammazza fascisti. “Torna Woody Gutrie torna da noi, ora “ (Steve Earle, Christmas in Washington). L’apparecchio si accese, rimisi la chitarra sul treppiedi e cliccai nei preferiti sullo Zambo Place, come facevo sempre ogni qualvolta che accendevo il computer. C’era un post nuovo, Mauro era stato negli States nelle terre del blues. Che bello pensai
“Quando il blues mi raggiunge /salterò sul treno e andrò via./Quando una donna è triste/china la testolina e piange./Quando un uomo è triste/ salta sul treno è parte.” L’ amato blues, la musica per eccellenza, il viaggio sognato che forse mai farò per la mia paura fottuta degli aerei . Leggo di quei posti che prima di essere un viaggio fisico sono luoghi dell’anima, di chi si è tinto di nero il cuore, di chi ama la penombra e il vento caldo che ti accarezza il viso. Nella mia visione quelli sono i luoghi di chi l’anima l’ha persa ed allora va giù dritto senza paracadute senza più nulla che lo trattenga. E non so perché mi viene in mente un ragazzo che col diavolo ha fatto a botte per tutta la sua breve vita e che nel blues ha trovato ristoro e comprensione per il suo mal d’animo .
Appena il tempo di un disco ubriaco di passione e d’amore come solo il blues può fare. Un disco ispirato dai fantasmi che ancora oggi aleggiano lì nel torrido Delta: Son House, Charlie Patton, Willie Brown, Frankie Lee Sims ,vi prego consolate ancora Jeffrey Lee Pierce.( Ramblin' Jeffrey Lee & Cypress Grove with Willie Love -1992-)
E’ il nostro stesso dolore, in fondo, che ci protegge dalle trappole e dalle tentazioni della vita, dalle nostre vigliacche aspirazioni alla felicità, dalla nostra triste e irragionevole voglia di sopravvivenza. E il sopravvivere peraltro è solo una questione fisica; l’anima si è già ritirata da un bel pezzo, è scesa in punta di piedi giù per lo stretto cammino dell’esistenza, si è persa per la troppa sofferenza, la troppa amarezza, soprattutto per la troppa lucidità. E per la tristezza. “Niente è più triste di un’anima smarrita”(Hugues Pagan-La notte che ho lasciato Alex-).
Il primo incontro con il blues fu una raccolta intitolata “THE GREAT BLUES MEN” un disco doppio edito dalla Vanguard. Presentava brani di Sleepy John Estes, Muddy Waters Jesse Fuller, Son House, Skip James, J.B.Hutto, Rev Gary Davis, John Lee Hooker, Big Bil Broozy ed altri ancora , di cui con il tempo ho approfondito la conoscenza. Il blues è un modo di essere come disse Leadbelly “Quando la notte sei sdraiato a letto e comunque ti rigiri stai scomodo, allora vuol dire che t’ha preso il blues”, e come ebbe a dire Dylan “Più ti allontani dal blues più la musica diventa altro”. Per questo motivo non ho mai amato i Beatles ma gli Stones. “Prego lasciate che mi presenti sono un uomo ricco e di gusto sono stato in giro per molto tempo Ho rubato molte anime e ho sottratto molta fede agli uomini” (Sympathy for the Devil - Rolling Stones – 1968).. Esiste un Unplugged contenente outtakes in studio dei Rolling, dal 1968 al 1973, in tutto 14 brani che vanno da HorCocksucker Blues a Sister Morphine, da Dear Doctor a You Gotta Move, da You got The Silver a Dead Flowers, Wild Horses ed altri ancora. Gli Stones suonano sinceri e fluidi c’è la polvere e il cuore l’armonica sbuffa come un vecchio treno, e le chitarre ti fermano i battiti. Mick canta come un vero cantante di blues e il blues magicamente prende forma. Non mi posso sbagliare è a Tupelo che sono diretto stanotte. “Mi devo muovere mi devo muovere c’è un demonio sulle mie tracce”(Robert Johnson)
Ero inquieto quella notte, spensi il computer e presi nuovamente la mia chitarra, suonai nella mia mente per non svegliare nessuno una canzone che avevo scritto anni fa “ Lunghe notti li da solo/sulla strada 51/il cuore esplodeva e finalmente/ con la polvere negli occhi/i buchi nelle scarpe/in un freddo maledetto/io mi trovo qui/ Memphis Tennessee/Menphis Tennesse.(Memphis Tennessee ).
Siccome ero entrato in uno stato tra il sognare ad occhi aperti e il dormire in piedi mi sentìì come l’Elvis delle Sun Sessions. Davanti a me si materializzarono Scotty Moore, Billy Black e Jimmie Fontana. Che disco le Sun Sessions! Se oggi il blues ha una visibilità mondiale lo deve anche a questo ragazzo di Memphis. Scotty ricorda: ”I microfoni erano spenti. Elvis era in relax. Cosi prese in mano la chitarra e incominciò il brano quasi per caso. Io gli stetti dietro e cosi fece anche Billy Black con il basso. Sam, dalla stanza attigua, si precipitò chiedendo cosa diavolo stessimo suonando. “Non lo sappiamo” risposi “Cercate di non perdere il motivo” disse “Dobbiamo assolutamente inciderlo”. La canzone era “It’s Alright Mama” di Arthur Big Boy Crudup (Elvis Presley -The Complete Sun Sessions 1976). Quel giorno del 1953 “Il blues ha avuto un figlio e lo hanno chiamato rock’n’roll” (Muddy Waters).
MEMPHIS TENNESSEE
Nella penombra i miei fantasmi sono venuti a bussare, si sono fatti largo e hanno preso a danzare come fossero ballerini. Lì davanti a me, mi hanno chiesto perché mai li avessi disturbati, mentre lo scirocco ha preso a soffiare. Ho spento la luce, mi sono addossato al muro ed ho sentito dodici battute, ho sentito dodici battute lì nel vento. Ho preso a respirare piano non volevo disturbare. Toc Toc .”Ecco che viene Blind Lemon Jefferson/toc toc fa col suo bastone/la sua ultima fossa sta sulla strada dei patimenti/per metà piena di pioggia” (Nick Cave). “The first born is Dead” di Nick Cave del 1985 è un disco che profuma di sud, di Elvis di John Lee Hooker, di Johnny Cash e di un bluesman chiamato Bob Dylan. “Ricercato in ogni bordello/ricercato in un milione di saloon/ricercato è uno spettro in centinaia di case un’ombra in migliaia di stanze”(Wanted man-Bob Dylan).
Sposto la tenda rossa dalla finestra per guardare fuori. Il vento è salito d’intensità e i rami delle palme si piegano in maniera innaturale, la mimosa non ha retto alla furia e si è spezzata. Il mio furgone ondeggia ma tiene duro. Ci aspetta ancora molta strada da fare. “Devo restare in movimento/ devo restare in movimento/i blues calano come grandine/i blues calano come grandine.”(Hellhound on my trail -Robert Johnson). Mike se ne andava in giro solo soletto. Nella Città del vento, faceva un freddo cane, si alzò il bavero del cappotto ed anche se la Gibson Les Paul pesava un accidente, aumentò l’andatura. Doveva far presto se non voleva arrivare in ritardo. Era diretto nelle zona South, un quartiere malfamato e molto pericoloso specie per un ragazzino bianco. Ma nulla lo spaventava, e per niente al mondo si sarebbe perso il cantante di quella sera. Il suo amico Howlin’ Wolf.
Quando entrò nel club il concerto era appena iniziato. Quell’omone sul palco già ululava i suoi blues e la gente sembrava in trance. Con gli occhi cercò Charlie e lo vide appoggiato al pilastro proprio sotto il palco. Lo raggiunse a fatica e lo salutò nel trambusto. Charlie non gli rispose neppure, era sconvolto da quella musica palpitante e aggressiva .Howlin’ prese a suonare l’’armonica ed un suono brutale ne usci, il collo si gonfiò tanto che sembrava che gli stesse per esplodere. Il pubblico era totalmente impazzito. Wolf ad un certo punto vide Mike e gli sorrise, Charlie restò esterrefatto quando con quello stesso sorriso lo invitò a salire sul palco.( Mike Bloomfield, Analine, 1977. Live at Bill Graham’s Fillmore West, 1969. Charlie Musselwhite, Stand Back, 1967).
Tempi duri.
“Seppellisci pure il mio corpo/uh là sull’orlo dell’autostrada/cosi che il mio spiritaccio maligno/si pigli un bus Greyhound e se ne vada” (Robert Johnson, Me and the Devil).
Nel ventre della notte mi preparo una tazza di caffè e mentre lo sorseggio penso che se mai un giorno andrò negli States é con il Levriero che vorrò vedere l’America. Il mezzo di trasporto dei poveri. Può darsi che sia solo un inguaribile romantico ma è sempre chi non ha nulla che ti tende la mano e che è pronto a soccorrerti. Sono sempre gli emarginati, i dimenticati che divideranno con te un pezzo della loro esistenza. Perché la loro storia c’è l’hanno scritta tutta negli occhi, se solo li si guardasse, almeno una volta. ”I tempi duri sono qui e dappertutto/i tempi sono più duri di quanto non siano stati mai/la gente si trascina di porta in porta./No,un paradiso non si trova”(Skip James, Hard Time illin’FloorBLUES)
I poeti del Delta si laceravano l’anima per il fatto di suonare questa musica, perché loro al diavolo ci credevano davvero. Con voci espressive e chitarre sull’orlo di una crisi di nervi aprirono le porte della percezione.”Il suonatore di armonica ululava e guaiva attraverso il suo strumento come un cane che segue la traccia. Il suonatore di mandolino non pizzicava delicatamente il suo strumento, ma tirava giù cascate di accordi argentei che rischiaravano la caccia dell’armonica come il plenilunio delle torride notti estive del Sud. Un secondo chitarrista eseguiva la linea di basso sul ritmo che batteva col piedone da contadino, trasformando l’intero edificio in un enorme tamburo africano. Al centro di tutto questo stava Son House, trasfigurato, un uomo posseduto dal canto, accecato dalla musica e dalla poesia. In lui il dolore del blues non era superficiale, timido o ironico. Tutto il corpo di Son piangeva mentre, a occhi chiusi, i tendini tesi sul collo per la violenza dell’emozione e la faccia bruna congestionata, cantava con voce straordinariamente drammatica “Death Letter Blues”, La Terra Del Blues, Alan Lomax).
Che il blues fosse speciale se ne accorse da subito anche un giovane cantautore che ha cambiato le vite di tanti con le sue canzoni che dai blues si sono abbeverate e sono figlie. Un uomo di blues a tutti gli effetti Bob Dylan che sin dal suo disco d’esordio non lascia dubbi sulle sue radici (Bob Dylan, 1962): Bukka White, Blind Lemon Jefferson, Blind Willie Johnson, Furry Lewis, Fred Mc Dowell. E’ con le loro canzoni che si presenta al mondo fiero e orgoglioso di cantarle.
Anche lui, come loro, ha una voce sgraziata è una chitarra spigolosa, ma è bianco e scriverà canzoni da favola che a raccontarle tutte ci vorrebbero mesi. Poi, come loro, elettrificherà gli strumenti e inciderà prima due dischi di blues, apocalittici e maestosi che dovrebbero essere ascoltati come se fossero un doppio album perché l’uno e complementare all’altro: “Bringing it all back home”, 1965 e “Highway 61 Revisited”, 1965. Poi chiuderà il ciclo, con il culmine della sua inventiva “Blonde on Blonde, 1966. Che doppio, invece, lo è di suo: “Shakespeare, è nel vicolo con le sue scarpe a punta e le sue campane. Sta parlando ad una prostituta che dice di conoscermi bene. Ed io vorrei spedire un messaggio per scoprire se ha parlato Ma l'ufficio postale è stato rubato e la cassetta postale è chiusa. Oh, Mama, può essere veramente la fine, essere di nuovo bloccato a Mobile col blues di Memphis “STUCK INSIDE OF MOBILE WITH THE MEMPHIS BLUES AGAIN, Bob Dylan.
Risento le dodici battute mentre lo scirocco continua a soffiare imperterrito. Spengo la luce e una sagoma nell’oscurità prende forma. Con i suoi lunghi boccoli e lo sguardo torvo il re della tenebre è arrivato. Imbraccia la sua luccicante chitarra National ed ha un piglio luciferino, mentre attacca a suonare “Saddle Up My Money”. La voce rauca e greve sembra che provenga dagli Inferi. Il suono è dirompente e minaccioso e la tensione sale al culmine quando usa la lama di un coltello come slide. Ho la pelle d’oca.John chiude gli occhi mentre il vento ha smesso di soffiare anche lui ipnotizzato da quelle note (John Campbell, One Believer, 1991; Howlin Mercy, 1993”. Ci vuole un uomo con il blues per cantare il blues”(Leadbelly).
Quella notte d’estate giacevo sul letto con la finestra spalancata che dava sulla strada. Da quella posizione riuscivo anche a vedere il cielo che era pieno di stelle, ed era un bel cielo. Quella notte illuminata dalle stelle, con le cicale che frignavano sugli alberi, sembrava tranquilla e senza pericoli. Ascoltavo la radiolina messa vicino all’orecchio, e sognavo. Ad un tratto la notte fu squarciata da un urlo sovrumano, un urlo che proveniva dalla strada. In linea d’aria era proprio sotto la mia finestra. Mi paralizzai nel letto, le gambe s’irrigidirono e la radiolina mi cadde dalle mani frantumandosi sul pavimento. Ero terrorizzato, mentre l’urlo continuava sempre più forte fino a quando si trasformò in un gemito che a me sembrò un ululato. Fu allora che mi venne in mente Don Nanni.
Don Nanni viveva in una baracca di lamiera e cartone sul greto del torrente era alcolizzato e fumava l’impossibile. Alfa senza filtro e Sax. Quando tossiva potevi sentire i polmoni che si squarciavano e tanto era lo sforzo a cui era sottoposto che cadeva in terra contorcendosi e dimenandosi come fosse posseduto da forze demoniache. Da tempo aveva perso tutto quello che di umano c’era in lui. Che fosse estate o inverno portava quel che restava dei brandelli di un cappotto sudicio. Quando l’alcool lo possedeva era rissoso e violento e puzzava come un cane bagnato. Ma si sa nei ragazzini la cattiveria abbonda. Quando ci capitava di incontrarlo volavano sfottò e insulti. Lui tentava di rincorrerci bestemmiando, ma era impossibile prenderci. Camminava strascicandosi e si reggeva a malapena in piedi. La sua unica arma di difesa era il suo bastone e le pietre che ci tirava. Quando morì la notizia rimbalzò subito nel Villaggio. Lo ricordo bene quel giorno. Corsi a perdifiato sul greto del torrente fino alla baracca, c’era già la polizia e il personale sanitario, ma feci in tempo a vederlo lì in terra, immobile, avvolto in quel cappotto che lì per lì mi sembrò un sudario e gli chiesi perdono per tutte le angherie che gli avevamo fatto. Si diceva che fosse un lupo mannaro e che per questo era stato cacciato di casa.
Don Nanni viveva in una baracca di lamiera e cartone sul greto del torrente era alcolizzato e fumava l’impossibile. Alfa senza filtro e Sax. Quando tossiva potevi sentire i polmoni che si squarciavano e tanto era lo sforzo a cui era sottoposto che cadeva in terra contorcendosi e dimenandosi come fosse posseduto da forze demoniache. Da tempo aveva perso tutto quello che di umano c’era in lui. Che fosse estate o inverno portava quel che restava dei brandelli di un cappotto sudicio. Quando l’alcool lo possedeva era rissoso e violento e puzzava come un cane bagnato. Ma si sa nei ragazzini la cattiveria abbonda. Quando ci capitava di incontrarlo volavano sfottò e insulti. Lui tentava di rincorrerci bestemmiando, ma era impossibile prenderci. Camminava strascicandosi e si reggeva a malapena in piedi. La sua unica arma di difesa era il suo bastone e le pietre che ci tirava. Quando morì la notizia rimbalzò subito nel Villaggio. Lo ricordo bene quel giorno. Corsi a perdifiato sul greto del torrente fino alla baracca, c’era già la polizia e il personale sanitario, ma feci in tempo a vederlo lì in terra, immobile, avvolto in quel cappotto che lì per lì mi sembrò un sudario e gli chiesi perdono per tutte le angherie che gli avevamo fatto. Si diceva che fosse un lupo mannaro e che per questo era stato cacciato di casa.
LUPI MANNARI
“LOUP GAROU BAL GOULA, LOUP GAROU BAL GOULA, LOUP GAROU BAL GOULA.” Il vento ha ripreso a soffiare penso a quali formidabili jam suoneranno, John e Willy, li dove si trovano. ”Il blues è un dannato brivido, un freddo che ti fa tremare/io non l’ho avuto mai, spero di non doverlo mai provare…”. Greg tornò a casa con una chitarra acustica comprata dal rigattiere aveva sentito il vicino di casa, suonare un pezzo country e gli era venuta voglia d’ imparare. D’altronde il padre, assassinato da un autostoppista, cantava e suonava la chitarra. Con le dita che gli facevano un male cane, provava e riprovava i primi accordi. Un giorno suo fratello maggiore, Duane, gli chiese se poteva insegnargli qualche accordo. Ma Duane, con meraviglia di tutti, si scopri un vero talento. In poco tempo la sei corde non ebbe segreti nelle sue mani. Lasciò la scuola e si dedicò anima e corpo allo strumento. Ma non prese mai lezioni formali. Una volta padrone della situazione volle suonare una chitarra elettrica, cosi barattò i rottami di una Harley Davidson 165 per una Gibson Les Paul jr, e si immerse nei dischi di Robert Johnson, Blind Willie Johnson, T-Bone Walker, Albert King. Ma solo dopo aver sentito Ry Cooder suonare "Stateboro Blues" di Blind Willie McTell, assieme a Taj Mahal in un locale di Los Angeles decise di suonare la slide. Prima di questo evento usava suonare in slide per imitare i licks d’armonica di Slim Harpo e Sonny Boy Williamson. Fu soprannominato Skydog per quel modo acuto di suonare il blues e per ottenerlo usava una bottiglietta di vetro di Coricidin (un farmaco). Queste bottigliette hanno un’estremità chiusa e Duane suonava spesso con la giuntura della bottiglia, in contatto con le corde, che metteva sull’anulare della mano sinistra. La mano del diavolo. Duane e stato il più grande chitarrista bianco di blues. E’ in assoluto il più grande slide-man di tutti i tempi. (Duane Allman, An Anthology, vol.1&2, 1972-1974).
Qualche anno fa incontrai un mio vecchio amico, di quelli con cui ho condiviso l’infanzia, e tra un ricordo e l’ altro gli raccontai di quella notte , in cui pensai di sentire Don Nanni trasformato in lupo mannaro. Mi ascoltò silenziosamente, poi con un espressione malinconica mi spiegò che anche lui, quella notte, senti quell’urlo, ma al contrario di me, scese in strada. E le cose che vide non stavano per come le avevo immaginate. Percorse la scorciatoia che usavamo quando dovevamo scappare e nascondendosi dietro il muretto, che conoscevo bene, si affacciò sulla strada. Lì vide la madre di Francesco in ginocchio in mezzo alla strada nel punto esatto dove Francesco cadde con la moto e morì. Era sconvolta dal dolore e urlava tutto il suo strazio. Restò lì a lungo, poi qualcuno venne a prenderla. Ascoltai attonito quella rivelazione, poi sommessamente aggiunse: “ Da quella notte non fui più lo stesso.” Il vuoto è senza fine, freddo come l’argilla. Puoi sempre tornare indietro, ma non puoi mai tornare indietro completamente.”(Mississippi, Bob Dylan).
BARTOLO FEDERICO DICEMBRE 2010
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