lunedì 26 dicembre 2011

Marcus Foster-Nameless Path-

                                                                              

domenica 25 dicembre 2011

I Believe In Rock&Roll - The Folk Survival Club-

                                                                                 

lunedì 21 novembre 2011

Tom Evanchuck And The Old Money


                                                                                 

sabato 19 novembre 2011

Last Train To Memphis- Bobby Charles & James Lee Burke-

                                                                           
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venerdì 18 novembre 2011

Bad Man's Blood-Ray Bonneville-


                                                                            

martedì 18 ottobre 2011

Angeli Blues (in fondo alla notte)




In fondo alla notte il buio mi guarda sospettoso. Mentre salgo le scale del mio alloggio, nelle orecchie mi ronzano ancora i rumori assordanti del giorno. Sono stato al chiaro di luna e mi sono sentito così solo che sarei potuto sparire e nessuno, ne sono certo, si sarebbe accorto di nulla. Da tempo, ho vestito il mio cuore di un blues cupo e malinconico, di quelli che suonava Charlie Patton quando la strada si faceva buia. Fermo nel mezzo della carreggiata ho ululato alla luna piantonando il nulla.

Scruto la punta delle mie scarpe, mi levo l’abituale giacca nera e mi rendo conto, sbuffandoci sopra, che ascolto tutti ma non sento più le parole di nessuno. Neppure le mie. Appartengo a quei tanti che tirano avanti alla meno peggio, sono uno d quelli che la crisi ha travolto, trascinandolo tra vento, pioggia, lacrime e tristezza.

Accendo la tv, volume a zero, infilo un cd e guardo un cumulo di disgraziati che porta la croce. Quanti angeli in giro per le città del mondo che dormono per strada che lottano, che fanno comunità! Mi sembrano come dei nuovi hippies e - che bello!, penso - quando la gente si aggrega ed è ancora capace di fare grandi cose, come combattere il potere delle banche e della politica corrotta e bugiarda che non prova nessuna vergogna per non aver saputo e voluto proteggere la mia gente.

Barbecue Bob reclama attenzione suonando i suoi arcigni e poderosi blues che a me sembrano tanto attuali, anche se provengono dalle viscere dei primi anni trenta. Mentre osservo quelle girandole umane che ancora in molti fanno finta di non vedere, quegli angeli abbandonati sull’orlo del burrone che, invece di tirarli via da li con un lieve impercettibile movimento dell’avambraccio sinistro, li hanno spinti giù in fondo al baratro. Mi sento vuoto e non avendo più nulla da chiedere a nessuno, nulla a cui aggrapparmi, mi domando perché stia accadendo tutto ciò, dato che c’è chi, ancora oggi ,fa una montagna di soldi, vivendo come un pascià e pisciando dritto sulla testa di tutti noi. Già cosi vanno le cose in questo mondo tutto al contrario, ma sono stanco – cazzo! - molto stanco di subire in silenzio.

Tiro un respiro profondo e mi trascino sul divano. Barbecue Bob gorgheggia con veemenza il blues dei santi: ”Camminiamo sulle orme di coloro che sono già andati, e saremo tutti riuniti in una nuova spiaggia soleggiata, Oh, quando i santi marceranno Oh, quando i santi marceranno Signore, come vorrei essere con loro Quando i santi marceranno E quando il sole si rifiuterà di splendere e quando il sole si rifiuterà di splendere, Signore, come vorrei essere con loro Quando il sole si rifiuterà di splendere E quando la luna si arrosserà di sangue e quando la luna si arrosserà di sangue Signore, come vorrei essere con loro Quando la luna si arrosserà di sangue Oh, quando la tromba suonerà il richiamo Oh, quando la tromba suonerà il richiamo,Signore, come vorrei essere con loro Quando la tromba suonerà il richiamo.Alcuni dicono che questo mondo tormentato sia l'unico a disposizione,ma io sto aspettando quel giorno, quando il nuovo mondo sarà rivelato.oh, quando il nuovo mondo sarà rivelato oh, quando il nuovo mondo sarà rivelato,Signore, come vorrei essere con loro Quando il nuovo mondo sarà rivelato Oh, quando i santi marceranno oh, quando i santi marceranno Signore, come vorrei essere con loro quando i santi marceranno (When the Saints Go Marching In )

Sono dentro un incubo, il mio peggiore incubo, il mio avvenire è compromesso e, malgrado abbia fatto sempre il mio dovere, ovunque mi giro mi vedo cadere giù. Ci sono molti modi per morire, per i poveri quello peggiore è l’indifferenza dei propri simili. “Non posso ragionare con il cuore ma con il portafoglio” questo mi aveva detto l’ultimo datore di lavoro mentre mi mostrava grafici e numeri di quelle belle statistiche dei miei coglioni e mi metteva alla porta.

Non credo più alla giustizia, non e' mai stata dalla mia parte, e continua a non esserlo. Hanno arrestato persone solo perché sono scese dal marciapiede, dove non era consentito scendere, hanno arrestato persone inermi che protestavano per avere indietro quello che ad ogni uomo non puoi toglierli: la dignità. Ma nessuno di quei poliziotti, di quei giudici ha arrestato quelli che ci hanno derubato del nostro futuro. Nessuno di loro pagherà il prezzo del loro sudiciume, della loro depravazione, nessuno di loro pagherà mai per tutto questo dolore che stanno causando, nessuno dei loro figli vedrà il padre disoccupato arrampicarsi su una torre o penzolare da un albero d’ ulivo.

I blues suonano liberi dentro la stanza. Era già tutto scritto, i poeti del Delta avevano cantato con parole semplici e suoni acuti lo squallore del potere. Scappando davanti al vento, lungo la loro strada in salita, attraverso le ombre della loro dura esistenza, avevano appuntato tutto. E noi, che non abbiamo occhi dietro, la schiena dobbiamo avere un coraggio infinito per ricominciare daccapo.

Bartolo Federico




sabato 15 ottobre 2011

Soli Come Mai




Anni ’70

Ero solo un bambino, mi ricordo, quando mio zio Pippo smise di lavorare per sopraggiunti limiti di età.


Dopo aver prestato servizio come cuoco nei ruoli di uno dei ministeri della Repubblica Italiana, ebbe il tempo di riposarsi il culo prima che il Cielo lo precettasse senza deroghe. Nella sua sobria e luminosa sala da pranzo, quand’egli ancora godeva del riposo lavorativo e trascorreva le sue semplici giornate tra nipoti e canarini e sembrava esser sempre primavera, assai spesso guardavo, appesa ad una parete, una piccola pergamena che gli era stata consegnata al termine della sua onesta carriera e che, bellamente incorniciata, recitava: “Al Signor Giuseppe Dei Tali, per oltre trent’anni di fedele servizio. Il Ministro Vattelappesca”. Non ne ho mai parlato con lo zio Pippo - troppo giovane, io, per capire - ma sono certo, con l’esperienza di chi, oggi, ha già qualche ruga di troppo, che ne doveva essere orgoglioso. Una frase essenziale (e, forse, mal celatamente ipocrita) aveva affrancato dall’anonima moltitudine un dipendente pubblico. Un’asserzione che lo autorizzava, se così si può dire, alla fierezza del suo ruolo di pensionato dello stato, una specie di medaglia appuntata al muro e non al petto, che impreziosiva, alla stregua di un gesto di riconoscenza, una pensione povera ma dignitosa quanto bastava.


Giorni nostri

“Non fate un cazzo da mattina a sera, ogni volta che vado in un bar vi trovo lì a tracannare caffè!” Ahimè, quante volte negli ultimi anni ho sentito queste parole o parole come queste! Le ho sentite dall’uomo della strada, dall’utente della pubblica amministrazione e, perfino, da qualche amico. Dico da qualche e non da tutti, perché è probabile che gli amici che non hanno usato queste parole se ne siano astenuti proprio perchè tali. Io penso di sapere chi l’ha messa in giro. Il buon operato di un impiegato pubblico non è compatibile con l’assunzione di un caffè. Sei ore al chiuso, in estate come inverno, e basta. Però, se al bar troviamo il Dottor Facciocontielifacciobene (soprattutto in tasca agli altri e mai a se stesso), che prende il caffé col medico Professor Tagliabudella che ci ha appena fatto in studio privato, a prezzo triplo, un’ecografia che dalle sue stesse mani, all’ospedale pubblico, non sarebbe stata possibile prima di dieci mesi, allora sì!, sì che questo caffé e meritato e degno di rispetto, soprattutto se questi signori, egregi e rispettabili, hanno la erre moscia e la camicia con le iniziali a vista che sanno di chic. E poi, dulcis in fundo, tipi come questi il caffé lo gustano, mica lo tracannano come faccio io, rozzo e smodato.


Disoccupazione, sottoccupazione, falsa disoccupazione, falsa occupazione, precarietà, il meccanico e l’elettrauto e l’idraulico ed il carrozziere ed il falegname ed il carpentiere e l’elettricista ed il tecnico, che ti ripara un frigorifero che non necessita di alcuna riparazione (se fosse un medico lo chiamerebbero accanimento terapeutico), e dio sa chi altri che non hanno mai rilasciato fatture e sono poveri, ma sposano i figli dotandoli di appartamento arredato, l’economia sommersa e l’evasione fiscale hanno un solo colpevole ed una sola soluzione: l’impiegato pubblico, il mostro fantozziano, il para…fulmine umano.

Torno da una breve e poco dispendiosa vacanza e scopro che (se ho capito bene) i miei ventitremila euro lordi annui saranno tassati fino al trenta e non più al ventisette per cento, che una voce stipendiale accessoria (se ho capito bene) sta per essere annullata, che il reddito da lavoro dipendente (se ho capito bene) perderà parte della sua detraibilità, che meno detraibili saranno (se ho capito bene) i figli a carico, che (se ho capito bene) non so quante decine di voci relative ad agevolazioni fiscali per spese di ristrutturazione, polizze assicurative ed altro, non esisteranno più, che il mio stipendio non avrà aumenti sino a tutto (se ho capito bene) il duemilaquattordici. E non oso sperare di aver capito male, perché potrebbe esserci dell’altro in arrivo.

Io fannullone, io rubastipendi, io terrone pubblico sono certo di avere una percentuale di presenza sul posto di lavoro superiore di quella di chissà quanti dei supergeni che legiferano a partire dalle mie tasche.

Io che mi sento dire: “Milletrecento euro di stipendio! Ma come fai a vivere?” esattamente da chi ha badato bene a salvare le apparenze ed è più in canna di me, ma solo ai fini fiscali, e mi telefona dalla barca.

Io, alto centosettantasette centimetri, ho dovuto scoprire di essere più ricco di tanti avvocati, commercianti, ristoratori ed estetisti. Nani, per giunta!

Io con settanta chili scarsi di trippe, ho dovuto ripiegare sul Padre Nostro alla sera, perché non mi riesce di storpiare l’inno nazionale, sono ed incarno il male sociale, la sorgente del dissesto e, miracolosamente, vengo elevato al ruolo di fonte del risanamento economico.

Io, che vado in auto perché col bus potrei non tornare più a casa, ho revocato la trattenuta sindacale perché non mi è parso di ascoltare grandi voci di protesta a mia difesa.

Io, che ho i capelli ingrigiti (pochi ma miei!), non mi sento più protetto nel mio bisogno elementare che è quello dell’orgoglio di essere un ingranaggio attivo ed apprezzato, della partecipazione, del rispetto preso e del rispetto dato, dell’incolpevolezza certa, se è vero che, sino ad ora, non ho stuprato o rubato o evaso il fisco o attraversato l’incrocio col rosso o fatto inversione in autostrada o, peggio, pipì in piscina. Io, ancora, non mi sento colpevole e non capisco perché tutti quelli che vestono in giacca e cravatta, che lasciano continuamente interviste alle televisioni (ma solo dopo mezzogiorno, dato che si alzano tardi), si ricordano di me nel momento di stringere la cinghia e puntare il dito.

Io, che per fare trecentouno cavalli devo metter su quattro auto, ossia vivere altri cinquant’anni, quanta strada potrò ancora percorrere con la mia utilitaria? Intanto, perché l’arte della sopravvivenza bisogna pur impararla, coi quindici euro recuperati dal contributo al sindacato mi pago (udite, udite!) qualcosa come nove litri di benzina al mese, che non sono molti ma è sempre un inizio.

Io, io non mi sento utile. Ho sviluppato una sorta di sindrome di Stoccolma e sono bisognoso che qualcuno mi imprigioni nello spazio e nel tempo, che mi dica che ho sbagliato, anche se ho fatto tutto per benino.

Io, che conosco quel po’ di inglese bastevole a comprendere le istruzioni degli elettrodomestici, mi sono perso davanti a chi parlava di Beauty Farm, Spa e Resort.

Io, che ho appena pagato una salata assicurazione auto, mi sono sentito dire, or ora, che il costo della benzina è aumentato rispetto a tre capoversi fa e sono più prigioniero di due capoversi fa.

Io sono, effettivamente, inutile a me stesso. Viva Stoccolma!

Lo zio Pippo non si sentiva inutile, nemmeno quand’era in pensione.

Sì, sì, d’accordo, lo so, sicuro, chiunque vanta almeno una ragione per avercela su con me. Però son stufo.




Toni il Poeta -2011-

mercoledì 15 giugno 2011

Piccoli Criminali- in edizione tascabile-

Short People got no reason
Short People got no reason
Short People got no reason
To live
They got little hands
Little eyes
They walk around
Tellin' great big lies
They got little noses
And tiny little teeth
They wear platform shoes
On their nasty little feet
Well, I don't want no Short People
Don't want no Short People
Don't want no Short People
`Round here
Short People are just the same
As you and I
(A Fool Such As I)
All men are brothers
Until the day they die
(It's A Wonderful World) Short People got nobody
Short People got nobody
Short People got nobody
To love
They got little baby legs
That stand so low
You got to pick 'em up
Just to say hello
They got little cars
That go beep, beep, beep
They got little voices
Goin' peep, peep, peep
They got grubby little fingers
And dirty little minds
They're gonna get you every time
Well, I don't want no Short People
Don't want no Short People
Don't want no Short People
'Round here





sabato 11 giugno 2011

Bollettino Delle emozioni 2 (al bar da Gino)



Ora vi racconto….
Per le troppe birre che mi ero tracannato, stavo sdraiato sul letto in uno stato di semicoscienza quando, lì per sprofondare nelle braccia di Morfeo, ecco squillare il telefono, che per come era forte quella cazzo di suoneria, mi stava per pigliare un accidente. Intontito dal sonno, cercai di agguantare la cornetta e la cosa mi riuscì solo dopo aver fatto cadere la lampada dal comò e la radio sveglia che si ruppe in mille pezzi. C’aveva ragione zia Amalia a dire che ormai il mondo era una grande pattumiera di oggetti cinesi scadenti. Con una voce che sembrava provenire da chissà quale galassia dissi:
-Pronto chi è?
-Sono Tony- rispose con voce raffinata e calma il poeta -che fai stai dormendo?-
Che per come lo disse mi sembrò che mi stesse a prendere per il culo. Allora stetti al gioco.
-No, ero davanti alla tele che mi facevo le seghe- gli risposi assonnato ma lesto. -Dimmi Tony, come mai mi chiami a quest’ora? Forse la tua nuova ganza non ti ha lasciato scopare ed hai voglia di raccontarmi le tue pene d’amore, oppure non riesci a dormire ed hai pensato di sderinarmi i coglioni, o hai voglia di parlarle con mia zia Amalia. vuoi che te la passi? Vuoi che ti faccia adottare, vuoi uscire con lei per una cena o un tette a tette? Dimmi pure proseguii acido.
-No, no- fece lui -niente di tutto questo. E’ che ho appena scritto una poesia e ti volevo recitare i versi.
A quel punto nel bel mezzo della notte feci un rutto che per quanto era forte svegliai tutto il vicinato e corsi pure il rischio di morire soffocato, che se non era che gli volevo un bene della Madonna gli avrei staccato la cornetta in faccia e poi i suoi ciliegi con la pinza.
-Ah, mi vuoi recitare i versi- esclamai sarcastico, quasi gridando -Domani al bar da Gino non andava bene o dopodomani o fra una settimana, no eh! Alle due della notte devi recitarmi questi cazzo di versi.
-Sai Bart com’è quando mi prende quest’urgenza creativa- disse imperturbabile.
-No non lo so com’è.
E facendo il finto tonto continuò: -Ti ricordi quel libro che mi regalasti di Borges? Beh ormai è fisso sul mio comò ed ogni sera prima di dormire me lo leggo e lo rileggo, alle volte mi ispira il cuore, la mente e anche l’organo.
-Ok Tony risparmiami i dettagli- feci ,sbadigliando che quasi le mandibole non si richiudevano più -E leggimi sti cazzo di versi.
Con una voce impostata, alla Carmelo Bene, il poeta prese a declamare quella poesia che poi era bella assai, sentita e ispirata. Ma per ripicca quella sera non glielo dissi.

Quale luce poteva ancora ferire quelle liquide fessure che il tempo scolorì fino a spegnere, memori di se stesse e del loro infinito viaggiare nell’umano sapere e nell’inaudita memoria, comandate e comandanti tra il genio e la penna? Luis, Jorge, padre saggio e paziente, dove sei governi pur oggi l’emozione terribile, ma la mano mi tendi,- Oh! Adesso sei solo! - perché di ogni buio il solo che temesti fu quello che t’accecò di morte”. (Il genio e la penna - di Tony Lo Presti -) “


All’indomani avevo finito il mio turno alla ditta di pulizie dopo una giornata in cui mi era riuscito di litigare con il mondo intero, perfino con il gatto nero di donna Elvira, la proprietaria della ditta dove lavoravo. Il micio stava appallottolato davanti alla porta dove tenevamo gli arnesi da lavoro e non ne voleva sapere di spostarsi. Allora io, vendicativo e incazzato per il sonno perso, dopo aver dato un occhiata in giro per accertarmi che non ci fosse nessuno nei paraggi, gli mollai un calcio nel culo che volò in aria per due metri che non appena ricadde in terra ballonzolò come una palla da tennis è se la svignò fuori miagolando per il dolore che mi dispiacque un po’ . Non era da me comportarmi cosi, ma ero talmente furioso che non c’è la feci per nulla a trattenermi. Quando Tony finì di recitare la poesia e mi diede sornione la buonanotte il sonno mi era passato del tutto. Mi ritrovai con due pupille spalancate che pareva mi avessero messo l’atropina e non feci altro che girarmi e rigirarmi nel letto e, proprio quando nella mattinata stavo per riaddormentarmi, ecco che nella stanza fece la sua comparsa zia Amalia che, con il suo solito garbo, accendendo la luce del lampadario che è una specie di candelabro con otto lampadine, mi invitava ad alzarmi per andare a lavorare. Era meglio tenerselo stretto quel lavoro di merda con i tempi che corrono, che solo al pensiero di dovere stare a sentirla se mi avessero licenziato….


Mi alzai di botto, tanto che mi girò la testa, e caddi in terra sbattendo il ginocchio sullo stipite del comò, che porca puttana mi fa ancora male. Era da un po’ che la buona sorte mi aveva abbandonato le cose mi giravano male e soccombevo agli eventi senza ribellarmi. Era strano il mio atteggiamento, del tutto inaspettato. Per questo motivo stavo tentando di conoscere questo mio nuovo lato. Mi ero quasi trasformato in Indiana Jones alla ricerca dell’io perduto. Mentre camminavo, radente al muro, diretto al bar da Gino con sti pensieri che mi frullavano nella capoccia, ripensai anche a quello che avevo letto poco prima nella sala d’attesa del medico di famiglia. Ci ero andato per conto di zia Amalia che si doveva far scrivere delle medicine. Quando vi giunsi, la saletta era piena di anziani che lamentavano i malanni più disparati. Presi il mio numerino e mi sedetti vicino ad una vecchietta che si era addormentata per la lunga attesa, ma a quanto pare questo non le impediva di tanto in tanto di liberare un puzzo silenzioso. La cosa più pazzesca è che ogni volta che lo faceva si svegliava guardandosi intorno, facendo finta di essere sdegnata per quel mal odore e gli riusciva talmente bene quella scenetta che ad un certo punto i presenti cominciarono a guardarmi come se fossi io l’autore del misfatto. Sentendomi un attimino in imbarazzo, per distogliere i loro sguardi cercai una via di fuga. Presi delle riviste dal tavolo, di quelle che vendono migliaia di copie, e mi misi a leggere, o meglio a guardare le modelle della pubblicità. Mentre scartabellavo svogliatamente le pagine incappai nell’intervista a un musicista, un certo Michael Franti che fino a quel pomeriggio non sapevo neanche chi fosse. La cosa che mi fece sobbalzare dalla poltroncina e che mi provocò quasi un attacco di dissenteria acuta (ed allora altro che puzzole della vecchietta) fu quando alla domanda del giornalista di cosa pensasse di Jovanotti, con il quale il tizio aveva collaborato, risponde, e lo cito in maniera testuale, “E’ un po’ come Bob Dylan “. D’accordo hanno affibbiato il nome di Dylan più o meno a migliaia di musicisti che si rifacevano alla sua musica, ma paragonarlo al nulla assoluto (e non me ne voglia il Jovanotti interessato) per me è davvero troppo. Sto Franti continua asserendo che Jovanotti non ha una gran voce proprio come Dylan (si è dimenticato a questo punto di dire che non sa suonare la chitarra proprio come Dylan) ma è un grande comunicatore. Che si fumasse un paio di canne e si rilassasse un pochino il bellimbusto sotto il sole di Bali dove soggiorna e che non rompesse i gabbasisi con ste’ cazzate! Già li sento protestare i politicamente corretti che in democrazia si può dire ciò che si vuole. D’accordo ,ma a tutto c’è un limite e bisogna mettere un freno ogni tanto alle parole visto che già facciamo una fatica boia a sopportare le cazzate che il nostro primo ministro e i suoi seguaci producono in quantità industriale, i vari La Russa, Maroni, Alfano, Sacconi, Brunetta,Tremonti, Santanchè e compagnia bella che solo a scrivere i loro nomi mi sbellico dalle risate, sarebbero stati ottimi comici (altro che Grillo) se a qualcuno non gli veniva l’idea di farli ministri. Ma nel nostro paese fanno le crociate contro il nulla, ovvero le donnine della tv, i senza talento che questa politica del “fotti, fotti che prima o poi ti sistemi” ha portato fin lì, quando il vero scandalo è in quelli che lo comandano sto bellissimo paese, a partire da quei furbetti o furboni fate voi della Lega Nord. A sentirli questi signori dovevano essere i nuovi moralizzatori, gli sceriffi del parlamento ladrone, i portatori di una nuova politica, si fa per dire, vicina ai bisogni dei cittadini del Nord, ma poi, pur di accalappiarsi il potere (c’è niente da fare dagli un cappello e anche il più umile dei posteggiatori si sentirà un generale) si sono piegati ai voleri e ai piaceri del Cummenda“gnocca fresca”, votando le sue leggi ad personam e fottendosene allegramente di quegli ignoranti e pecoroni, come loro credono che siano i cittadini. Sono stati serviti i vari Salvini, Borghezio, Cota, Bossi, Calderoli,(guardateli in faccia e pensate in che mani è questo paese) alle ultime amministrative i loro elettori gli hanno fatto un bel cucù di ringraziamento. 

Ma ecco che il mal di stomaco aumenta esageratamente, e non è colpa del nuovo batterio tedesco, diventa addirittura più violento, tanto che devo stringere le gambe per i dolori addominali leggendo le dichiarazioni che quell’ipocrita della signora Marcegaglia presidente degli industriali italiani ha rilasciato. La tipa ha il coraggio di asserire che vincendo il SI per il referendum sull’acqua il paese torna indietro di 20 anni. Nessuno prova più vergogna a parlare, ma proprio nessuno! Questo paese lo hanno mortificato, lei e i suoi colleghi, prima applaudendo ed acclamando il “Reuccio di Arcore” ,poi delocalizzando la produzione manifatturiera all’estero con la scusa che il costo del lavoro in Italia era insostenibile. Hanno licenziato migliaia di lavoratori, maestranze preparate e competenti, hanno ridotto il paese alla fame e gonfiato i loro conti in Svizzera creando precariato e disoccupazione solo per una questione di profitti, di altissimi profitti. Hanno immesso sul mercato prodotti scadenti, di bassissima qualità, che tutti noi paghiamo a carissimo prezzo e che hanno ulteriormente gonfiato i loro conti correnti. Adesso si accorgono che la produzione è ferma, che l’Italia industriale (ancora esiste l’Italia industriale) per sviluppo è dietro l’India e la Corea Del Sud. E vuoi vedere che la colpa è di quelli che vanno a votare per il referendum, della Fiom, degli operai, del rock’n’roll, dei cassintegrati, dei precari, dei giovani ricercatori, di chi ancora si fa un mazzo a 800/1000 euro al mese, quando gli va bene, sopportando le loro ingiustizie le loro meschinità, le loro cazzate per cercare di dare un futuro a questo paese e a se stessi. E sono sempre più avviliti e demoralizzati. E’ sempre colpa degli altri, ormai lo abbiamo imparato molto bene questo motivetto, non scordiamoci che anche la sinistra ci ha messo del suo perché tutto ciò accadesse. 

Ho davvero bisogno di un paio di buone birre ghiacciate per togliermi quest’amaro che mi è salito in bocca tutto ad un tratto e anche di quella pioggia che Robert de Niro sperava che arrivasse in “Taxi Driver” per ripulire dall’immondizia queste strade. Quando arrivo al bar da Gino, Tony sta giocando a carambola con Ciccio Juke-box e tra un tiro e l’altro parlano dei referendum. Per la prima volta li vedo andare d’amore e d’accordo su qualcosa, ovvero votare “SI” per i quattro quesiti referendari. Tony è veramente ispirato tanto che ad un bel momento, sarà stata la birra che si è ingollato, sale sulla sedia e inizia a parlare.

-Ragazzi- fà rivolto a tutti i presenti che si girano verso di lui -Bisogna imparare a combattere, a non mollare, anche quando davanti è tutto buio, non dobbiamo arrenderci perché è quello che loro sperano, lo si capisce dai discorsi che fanno, dai loro sorrisi, da quelle facce di plastica che mettono in campo, dobbiamo imparare a combattere anche per niente, ne va della nostra stessa vita, della nostra dignità. Andiamo a votare, e se non vi sentite motivati dai quesiti, andate solo perché loro non vogliono che ci andiate.


E fu a quel punto che anche il vecchio Peppe Briscola, U Baruni, Mezza Cicca, l’Americanu, Nino Muddica, u Vasa Vasa, Mimmo U Pulici, si alzarono in piedi ad applaudire, e il bar si trasformò in uno stadio, come per un gol dell’Italia ai mondiali di calcio (ma senza il nazifascista Buffon che, toccato nel suo mondo dorato, asserisce che l’Italia è sempre quella di piazzale Loreto. Cartellino rosso e squalifica a vita). Tutti ad abbracciarci.
-Tutti a bere, tanto questo giro offro io- grida Gino e tutti d’accordo che questa è l’ora buona per farci sentire una volta per tutte. Alla salute. 

Quando uscimmo dal bar era mezzanotte passata, l’indomani era domenica e potevamo tirar tardi. Con Tony ci allungammo lentamente verso casa abbracciati dalle nostre ombre. Avevo con me i due cd che voleva doppiare e che mi aveva chiesto la sera prima al telefono. Con molta fatica glieli passai pregandolo di far presto.“Prodigal Son At the Main Point” è un bootleg di Springsteen registrato nel febbraio del 1975 e rimasterizzato. Quello show fu trasmesso sul canale WMMR è durava due ora e mezza, un’eternità per un concerto di rock’n’roll , ed è stato per anni un bootleg su vinile, ma io ne sono venuto in possesso da poco tempo. E’roba speciale, canzoni spaziali, di quelle che oggi non scrive più nessuno. C’è una prima versione di Thunder Road chiamata Wings for Wheels, una cover con piano,violino e fisa di I Want You di sua maestà Dylan che è un gioiello e capolavori come Incident on 57th Street, It Hard To Be a Saint In The City , Rosalita, Spirit In The Night, For You, New York City Serenade, ecc.. In quel periodo Bruce stava scrivendo e registrando Born To Run e qui si ascoltano le prime versioni di Jungleland , She’s The One , la stessa Born To Run, canzoni che faranno dell’uomo di Asbury Park una stella planetaria. Questo è lo Springsteen che ho amato perdutamente, quello che si sapeva donare senza veli, perso e stralunato, il Jesse James del rock’n’roll, che ha lacerato l’anima ad una generazione di sognatori che sfrecciavano lungo le highway ”come lampadine bruciate di una ruota del luna park”(Tom Waits). Se poi le cose per lui con il tempo hanno preso un'altra piega pazienza. Volenti o nolenti resta l’uomo che ci ha fatto credere nella musica come fonte di redenzione, il fratello maggiore che non abbiamo mai avuto e siccome sono invecchiato e mi commuovo facilmente qui ci metto un punto.

In questi giorni turbolenti mi son stretto alla malinconia delle canzoni di Jeffrey Foucault di Horse Latitudes, un disco che entra in circolo man mano che lo si ascolta e, non so perché, ho come l’impressione di trovarmi vicino ad un piccolo capolavoro di quelli che resteranno sconosciuti ai più, canzoni per chi vaga sperduto in quei territori che i viaggiatori dell’anima conoscono bene. Storie per tutti gli squinternati di vita usciti a tarda notte da un cinema di periferia che non trovando più la strada di casa nella penombra bluastra, timidi e fragili come ombre tremanti, si nascondono. Uomini che sono caduti fino all’ultimo gradino ma che hanno ancora un soprassalto di delicatezza, piccoli eroi che non vede nessuno. Macchioline scure sotto le luci al neon. 

Tony era arrivato ma io non avevo voglia di rientrare a casa ed allora proseguii da solo contando i miei passi nei dintorni della città. Il cielo era diventato di piombo e mi sentivo come se la vita mi nascondesse qualcosa, mi prendesse qualcosa. Ma cosa?

Bartolo Federico 

lunedì 14 marzo 2011

Acque Fangose


                                                 Verso Sud


domenica 6 febbraio 2011

Cartolina Per un Sogno.


Da quando è venuto al mondo, il rock’n’roll ha sempre rappresentato, nell’immaginario collettivo, qualcosa che sfugge alle regole. Si è assunto l’onore di rappresentare migliaia di giovani che si ribellavano al potere e che sognavano il cambiamento mediante la rivoluzione culturale, come alternativa a quella politica, travalicando la musica stessa, fino a diventare uno stile di vita.
Il rock ha rappresentato il futuro, l’avanguardia, l’evoluzione. Oggi questa cultura sembra svanita.  

Il rock ha perso parte della sua forza sovversiva e si è istituzionalizzato. Chiunque, anche il più pop dei cantanti, viene definito rock. Questo, a mio modo di vedere, ha causato una perdita d’identità per cui vale l’equazione: “tutto è rock, nulla è rock”. Nell’immaginario giovanile il rap, l’hip hop, hanno preso il suo posto, perché con il loro linguaggio parlano ai ragazzi che si riconoscono in quei gesti, in quelle parole, in quella musica.

Il rock è diventato roba per vecchi, fatto da vecchi che si trastullano a ricordare i vecchi tempi andati, che hanno perso il gusto della scoperta, che guardano il mondo dal loro limbo dorato, dalle certezze acquisite, auto compiacendosi per l’equilibrio raggiunto. Ma, come per il blues, anche per il rock vale la stessa regola: devi stare scomodo per suonare vero e sincero.


Il rock ha sempre rappresentato la voglia di vivere, di respirare, di urlare, di mettersi in gioco, cosa che al momento sembra non essere. E questo mi mette tristezza, perché non vedo vie d’uscita. Il rock sembra destinato a scomparire, a meno che non succeda una nuova rivoluzione come quella che l’avvento del punk produsse.

Già il punk . Quella musica bistrattata dai più, quella musica che restituiva energia, entusiasmo eccitazione. Quella musica che riportava il rock’n’roll nei piccoli club, dove non esistevano distanze siderali (come per i concerti negli stadi) tra il pubblico e la band, dove l’espressività contava molto più della tecnica. Dove tutti imparavano qualcosa. E tutto accadeva in presa diretta.


Con l’avvento del punk, aveva luogo un’altra grande rivoluzione: le donne assumevano un ruolo centrale nella musica. Basti pensare a Patti Smith, Debbie Harry, Siouxsie Sioux. Si formavano band di sole donne: le Slits, le Runnaways, le Raincoats. Tutte loro facevano parte del movimento ed erano protagoniste, non per il loro sex appeal, ma come musiciste.

Oggi fa musica solo chi è supportato dai mezzi d’informazione che contano, chi può andare negli stadi e riempirli.Chi fa cassa.Tutto il resto non conta. L’importante per l'industria è consumare l'evento, aspettando insaziabili il prossimo  su cui attaccarsi, come vampiri . E intanto il rock langue.



Bartolo Federico Febbraio 2011

sabato 29 gennaio 2011

Fratelli Bastardi

Quella mattina mi svegliai molto presto, bevvi un caffè, mi infilai i pantaloncini, le scarpe da footing, una t-shirt ed uscii di casa che ancora era buio. L’aria era fresca e secca. Lentamente presi a correre in salita. Nei primi due chilometri mantenni un’andatura costante per permettere ai muscoli di scaldarsi, poi aumentai gradualmente. Mi piaceva correre in salita, provavo quel gusto sottile della sfida con me stesso che in qualche modo placava la mia aggressività. Mentre arrancavo, sentii l’odore della terra e dell’erba arata da poco. Continuai ad arrampicarmi con veemenza. Poi la strada scollinò e ci diedi dentro per qualche chilometro, fin quando da dietro una curva sbucarono delle mucche che mi guardavano con superiorità. Mi portai a ridosso del guardrail e continuai la mia corsa solitaria. Mentre correvo, riuscivo a mettere ordine alle cose e a scarabocchiare i ricordi. Quando arrivai in cima grondavo di sudore, avevo i polmoni che mi bruciavano, mentre il sole si alzava da dietro la montagna e filtrava sulle chiome degli alberi. In quel momento mi sentii appagato e vivo come non mai. 

Vivo, talmente vivo, come solo certo rock’n’roll sapeva esserlo, prima che lo mandassero in pensione tra galline e maiali, fienili e sterco di vacca. Il rock sta diventando noioso. Quel rock che è nato e germogliato per la strada, nelle cantine umide e gocciolanti di pioggia, grezzo e volgare, diretto come un pugno allo stomaco, quel rock che era rivolta dei giovani contro i vecchi é finito in fattorie con parquet, svuotato della sua vera natura di ribelle dissacrante. Un combattente che sta invecchiando malamente da non essere più così importante nella vita della gente, perché semplicemente non lotta più, non rompe più i coglioni al potere.

Il rock è stato affidato all’industria, ai suoi manager, a certi produttori e non vive più senza limiti e confini. Ma quel rock sta rintanato da qualche parte e chiede, ne sono certo, di essere nuovamente suonato senza compromessi, integro e puro. Di farsi nuovamente portatore della rabbia di una generazione. Il rock come è stato per Jim Carroll. Il “Catholic Boy” drogato e omosessuale, dimenticato dai più, che ha dedicato la sua vita alla causa suonando duro e usando parole taglienti e poesia da strada. Portavoce di una generazione di sbandati con un ago in vena. Benedetto da Jack Kerouac, William Burroughs e Allen Ginsberg per la sua prosa. Un rocker che faceva ballare e inginocchiare gli angeli ha ricevuto indietro meno di nulla se non quella sensazione di appagamento per avere fatto ciò che ha sempre voluto, con una dignità che non ha uguali, senza trucchi, senza inganni, schietto e diretto, in una società umiliata dal qualunquismo e incapace di ribellarsi. Dove, usando le sue parole, presente e futuro diventano cenere, e forse fulgida fiamma. 
I miei fratelli bastardi. Sono stati loro a prendersi cura di me, quando tutto mi precipitava addosso, quando rincorrevo la vita e nascondevo l’inferno sotto la camicia. Ma andavo dritto, come un bisonte impazzito, per la mia strada, per ritrovarmi alla fine solo, all’alba di un nuovo giorno, a vagare appeso alle canzoni dei Senders di “Return a’l’Envoyeur”. Quattro gatti randagi delle banlieue francesi, terra di rock per antonomasia, di una generazione perduta nei sogni di rock’n roll. Veri e autentici i The Senders! Delinquenti prestati al rock per salvarsi la pelle; una meteora di quelle che non ricorda nessuno ma, chi in quei giorni li ha incrociati sa che suonavano canzoni ispirate da Willy “il gatto blu”, canzoni che erano come battiti del cuore.


Willy mi manca maledettamente. Saperlo in giro mi rassicurava. Non tutto era perduto. Un musicista a 360 gradi come non ne esistono più. Uomo dal cuore immenso che ha vissuto il rock come pochi altri, una stella per chi è cresciuto nelle ultime file e ha dovuto sgomitare per farsi largo. Un artista che non si è mai piegato di fronte a nessuno, un esempio per tutti. 

   
Ebbi la fortuna di incrociarlo l’hanno prima che morisse in un festival blues a Mascalucia in provincia di Catania, un paesino sotto le pendici del grande vulcano. C’era un atmosfera magica che colpi molto anche lo stesso Willy ,e lo disse biascicando le parole in una pallottola di fumo. Quando sbucò da dietro il palco, accompagnato dalle note di un blues secco come un chiodo, con i suoi lunghi capelli, mi parve uno dei cavaliere della tavola rotonda. Lo guardavo ipnotizzato, avevo la bocca asciutta per l’emozione. Lui invece era rilassato e a suo agio. Non ricordo null’altro se non che quando imbracciò la Fender e si piazzò davanti al microfono e parti Savoir Affair mi fiondai sotto il palco e non capi più nulla. Mi sentii come se fossimo al CBGB’s e mi ricordai dei miei giorni disperati, di quando ero debole ed indifeso mentre lui mi cullava tra le sue braccia, insieme ad altri fratelli nati alla periferia dell’impero.

I “nati perdenti”, con la strada sempre in salita. E quando arrivava la notte ci si scaldava con quell’urlo disperato che era Born To Lose di Johnny Thunders, un altro che macinava rock’n roll a mille. Un “Keith Richard dei poveri” che non si è fatto mancare nulla nella sua esistenza fino ad auto distruggersi; troppo innamorato del rock per capire che la sua non era finzione. E dopo tutta quell’energia si restava da soli, perché alla fine si resta sempre soli, e ci si accarezzava il cuore con “Devon Song” degli Only Ones di Peter Perrett, un cantante che sembrava un incrocio tra Dylan e Lou Reed. Saliti e subito scesi dal podio grazie ad una canzone “Another Place, Another Planet “che ancora oggi resta bella e malata, figlia di quei fiori selvaggi, di quel bianco calore che erano i sogni di velluto. Musica schietta, sincera, cosi sincera da farti male, molto male se avevi il cuore a pezzi e gli occhi gonfi. 

E’ stata la musica che mi ha protetto dalla pazzia ed è venuta a stanarmi fin dentro la mia stanza anonima della mia anonima casa di periferia. Quella che bussava alla porta era una generazione cresciuta ascoltando Hendrix, Jim Morrison, Stones, Velvet , Mott The Hopple, Who, Kinks. Una generazione che prendeva in prestito la poesia di Baudelaire e di Rimbaud e la trasformava in energia, in rock’n’roll. E tutti prendevamo coscienza, per emanciparci, per crescere. La sacerdotessa del rito è stata lei, Patti Smith, la prima cantante donna che non doveva niente a nessuno, che risplendeva come una divinità anche se era vestita tutta di nero. Quando arrivò Horses le regole furono infrante, l’anarchia in musica prese per la prima volta forma e il rock ‘n roll fu libero da qualunque legame, come non era riuscito di fare neanche a Jim Morrison .

Poi a Londra accadde il miracolo. Inaspettatamente, tutto in una notte. Potevi ascoltare una miriade di gruppi punk nati dopo aver visto i Sex Pistols. Gente come i Vibrators , Stranglers, Ian Dury, i Damned, Slaughther &the Dogs, ragazzi emarginati, senza prospettive, senza futuro: unica certezza il rock’n’roll. Quei giovani proletari erano come migliaia di altri ragazzi sparsi per il mondo. Con le loro canzoni denunciavano il vuoto esistenziale e la sofferenza di un’intera generazione. Ed arrivò Joe Strummer e i Clash, e fu come vedere la luce. Finalmente uno che lottava contro la miseria e l’alienazione, uno che aveva la morale comunista e lo spirito socialista. Il mio “Che Guevara”. Finalmente qualcuno che ti faceva sentire orgoglioso di essere un proletario, che ti spingeva ad uscire dal guscio, che ti parlava sostenendo che era possibile farcela, anche se non avevi opportunità. Quelle te le dovevi prendere, ti toccavano in un modo o nell’altro. Eri un Sandinista, un guerriero di strada, un indomabile. Anche se avevi perso la tua battaglia andava bene lo stesso, avevi lottato, avevi dato tutto te stesso. Perché, da quel momento in poi, non saresti stato più un ribelle senza causa. Troppo comodo, aveva fatto questa storia del ribelle senza causa al Potere. Ora avevi un identità ben precisa e una Band che ti sosteneva. E’ grazie ai Clash che molti di noi non sono finiti a rubare autoradio per comprarsi la dose. E’ grazie a loro, ed anche agli Stiff Little Fingers, che abbiamo imparato che la musica non é solo divertimento, ma può essere anche qualcos’altro. Grazie anche ai fratelli Severini (l’unica vera Gang italiana ) che nel tempo hanno mantenuto quella fiamma sempre accesa; gli unici e soli che possono andare ad Hyde Park e cantare “London Calling” con i pugni alzati e il fazzoletto rosso al collo.

Adesso lo sento questo vento che sta cambiando. La gente che torna ad occupare le strade, a chiedere giustizia e libertà, pane e lavoro . E il sogno di un nuovo ordine mondiale continua. I ragazzi hanno riattaccato la spina. Gli amplificatori ronzano e le cantine sono piene di gente che scrive, che parla, che lotta. Il rock, come per magia, si è rimesso in sesto ed è arzillo è vivo nuovamente. Pronto per una nuova rivoluzione. Contiamoci, siamo in tanti. Fratelli Bastardi.
BARTOLO FEDERICO-