domenica 26 gennaio 2014

Bollettino Delle Emozioni 5 (al bar da Gino)



La signora Fina mi telefonò che era fuori di sé nella tarda mattina di giovedì, infierendo contro Toni che da due giorni se ne stava chiuso nella stanza e non era uscito neanche per mangiare, ascoltava solo quella cazzo di musica a tutto volume. Disse proprio così: quella cazzo di musica. Cercai di calmarla, ma lei urlava come un ossessa e così, per non farla imbestialire ancora di più, mi tappai la bocca. Quando alle tre del pomeriggio suonai il campanello di casa, lei venne ad aprirmi con un espressione che diceva già tutto sul suo stato d’animo. La salutai quasi timoroso e mi diressi nella camera del poeta. Spaparanzato sul divano con le mutande nere e la canottiera bianca, si guardava il video con il volume altissimo di “Baby Did A Bad Bad Thing” una canzone di Chris Isaak. Era davvero mal ridotto e aveva una faccia da perfetta copertina dei Grateful Dead. Appena mi scorse fermo sull’uscio, iniziò a blaterare in maniera sconnessa di avere una relazione con Laetitia Casta, e che doveva smascherare un complotto contro di lui da parte del governo e della Asl, che bramavano di spedirlo in manicomio perché non volevano che la sposasse. Ci passava le sue giornate dentro gli ospedali psichiatrici Toni, e un po’ tonto a dire il vero lo stava diventando. Ma forse è normale che questo accada ad uno psicologo. Raccolsi una bottiglia di bourbon da terra e richiusi la porta, ma dal momento che ce n’era ancora un mezzo bicchiere, me lo scolai d’un fiato. Tanto per gradire. “Che cazzo succede, amico?” gli strillai. “Siamo alle solite?” “Non ti muovere essere blasfemo”, mi rispose, “il tuo cervello è sordido”, e si alzò in piedi sul divano restando immobile come fosse una statua di marmo, poi riprese: “sei solo un essere malridotto nella tua cupa scelleratezza”, e mentre parlava si ciucciò un sorso dalla bottiglia che teneva in mano. “Non fare alcun passo in avanti”, proseguì, guardandomi con gli occhi guerci. Il grande vate William Blake scrisse che “Se il matto persistesse nella sua follia, andrebbe incontro alla saggezza”. Era davvero in pieno sballo, ed era meglio, conoscendolo, non rompergli troppo le palle. Stava pronunciando qualche altra cosa ma all’improvviso cadde; come cadono alle volte quegli stronzi mattutini, in maniera strana, lenta, svenuto sul divano. 


            Spensi la musica che suonava distorta per come era forte il volume, e aprii la finestra per fare uscire il malo odore d’alcool e fumo di cui era impregnata la stanza. Però, ci sapeva fare con le donne il poeta, sapeva come imbambolarle con la sua filosofia da parole crociate. Ma che cultura ha quest’uomo!, ripetevano adoranti le signorine, senza sapere che quella era solo la sua tattica per scoparsele. Devo ammettere che il più delle volte ci riusciva. E lo dico senza invidia. Intanto che se ne stava inerme sul divano, in quel casino che aveva combinato cercai di rimettere un po’ d’ordine, soprattutto prima che spuntasse sua madre. Da sotto il tavolino raccattai la copertina di “Gremlins Have Pictures” di Rocky Erickson, uno dei miei tanti dischi che gli avevo prestato e che non aveva fatto più ritorno a casa. Il vinile, grazie a Dio, era sano e salvo sul piatto con la puntina franata sulla cover di Heroin, la canzone di Lou Reed che rese vietato nel 1966 trasmettere per le radio americane l’album The Velvet Underground and Nico. Lo levai dallo stereo e lo rimisi nella sua custodia. Nel posarlo sullo scaffale notai anche “Roy Orbison and Friends” - “A Black and White Night”, un altro dei miei fuggiaschi perduti. La stella di Roy Orbison aveva finito di brillare ormai da tempo quando nel 1986 il regista David Lynch utilizzo una sua canzone “In Dreams” in una scena del film “Velluto Blu”. Fu con questa botta di culo improvvisa che Roy, ormai dimenticato da tutti, si ritrovò nuovamente sul palcoscenico. Veniva dal mondo del bianco e nero del profondo degli anni cinquanta, questo signore gentile, dai modi garbati, che si presentava con occhiali scuri e un maglione nero, e che non era nato per fare la rockstar. Ma aveva una voce sconvolgente, bellissima e, a dispetto di tanti che si credono geni, sapeva scrivere canzoni. Ooby dooby, Dream Baby, Tryin’ To Get To You, Only The Loney (citata da Springsteen in Thunder Road), Dream Baby, Down The Line affidata all’amico Buddy Holly, Cryin’, Running Scared ed altre sono alcuni dei suoi successi sparsi lungo il tragitto. Poi toccò l’apice nel 1964 con Oh, Pretty Woman che gli valse un contratto con la Warner Brothers. Ma un destino crudele si accanisce contro di lui. Dapprima la moglie Claudette muore in seguito ad un incidente automobilistico e nel 1968 due dei suoi tre figli perdono la vita nell’incendio della sua casa di Nashville. Eventi che lo faranno ammalare di cuore e che, dopo una complicata operazione, lo inducono a ritirarsi. A Black and White Night viene pensato nel 1987 come uno speciale televisivo, un’occasione concessa a Orbison per consolidare la sua riesumazione. La “The Coconut Grove Band” fu formata appositamente per questo evento e furono chiamati: Elvis Costello, Bruce Springsteen, James Burton (ex Elvis Presley band), J.D.Shoutert, Tom Waits, T Bone Burnette e, ancora, Jackson Browne, K.D.Lang, Bonnie Raitt e Jennifer Warnes. Ma è come se non ci fossero, tutte queste star, sul palco. Non si sentono neppure, il proscenio è tutto suo. Adesso è molto facile reperire queste filmato, provate a guardarvi il momento in cui questo solitario cantante, intona Cryin’ e capirete di cosa era capace Orbison, e perché quei musicisti che lo attorniano lo adoravano. L’avvenimento colpì in pieno il pubblico e la sua carriera si rimise in moto. Insieme a George Harrison, Bob Dylan, Tom Petty e Jeffy Line, Orbison, forma i Traveling Wilburys, un supergruppo che nel 1988 fece uscire un album che andò a finire al terzo posto delle classifiche e sfornò singoli come Handle With Care e End Of The Line. Roy si rimise anche a scrivere canzoni per un nuovo disco, Mystery Girl, che fu pubblicato nel 1989 che ancora oggi suona affascinante e commovente. Lui però morì d’infarto due settimane prima della sua uscita.


           


            Il venerdì si presentò come una giornata lòfia, buia e piovosa. Toni si era ripreso dalla sbornia e sua madre si era calmata. La mattina prima di uscire ascoltai Del Shannon cantare Runaway, e lasciai la zia Amalia intenta a parlare al telefono con sua cugina Emma. Una conversazione che andava avanti da un pezzo, con uno scambio di: “cosa hai detto, eh.. ah..”, “non ho capito, ripeti per favore,.. ah”, “si, lo zio Alfio, come..? Parla più forte!” Avviai il motore, misi la marcia e non potei fare a meno di guardare una ragazza bionda che passava con due tette e un culo da capogiro. Meglio vivere giorno per giorno e cercare di non cadere a pezzi tutto in una volta, pensai mentre me ne andavo a cercare qualcosa da fare. Non avendo più un’occupazione stabile, mi arrangiavo con dei piccoli lavoretti che riuscivo a raccattare qua e là. La strada che percorrevo mi sembrò ancora più deprimente del solito, sarà stato per via della pioggia o di quella apatia che mi aveva avvolto da qualche tempo. Alle volte, però, per non farsi troppo del male converrebbe davvero gettare la spugna. Fissavo la pioggia, e le macchine mi strombazzavano da dietro perché tenevo un andatura lentissima, ma lo facevo apposta. Non avevo un cazzo da fare, e che se ne andassero tutti affanculo. Accesi la radio e, nel momento esatto in cui presi una sigaretta, il cellulare iniziò a trillare. Mi arrestai sul lato della strada e scrutai il numero. Era il poeta che con la sua voce tenue mi disse che stava andando a lavoro e, mentre mi parlava, captai nella sua macchina le note di “Papa’s Got A Brand New Bag“ di James Brown. Ci saremmo visti sabato sera al bar da Gino, perché c’era una novità. Di che tipo e natura non era dato saperlo. Io intanto ero rimasto fermo sotto la pioggia, e ci restai ascoltando Tom Waits cantare “Whistle Down the Wind”. Guardai l’orologio, erano ancora le 10,45, abbassai il finestrino e buttai via la sigaretta di fronte a me, guardando il bagliore rosso della cicca spegnersi nella pioggia. Mi riavviai e spensi la radio. Svoltai l’angolo e lo scroscio cessò. 


            Abito qui fin dalla nascita, ma sognavo che un giorno me ne sarei andato. In un posto di ragazze dagli occhi blu. Chitarre rosse e fiumi puliti. Non sono niente di quello che volevo, sono sempre rimasto qui. Mi sono spinto fino a Mercy e Grand, una fifa boia. Non riesco a stare qui e ho paura di andare via (baciami però di tanto in tanto). Andrò all’inferno ma potrei anche rinunciare. Il bus all’angolo, l’orologio appeso al muro, mulini a vento in rovina. Non c’è un alito di vento. Ho urlato, ho bestemmiato, se rimango qui arrugginisco.  (Whistle Down the Wind - Tom Waits).


            Nessuno cambia idea, e nessuno ci mette mai del suo per farlo. Avevo posteggiato l’auto e camminavo senza un punto d'arrivo. Passai davanti al baracchino di fiori di Donna Concetta, che se ne stava seduta nel suo bugigattolo in attesa dell’arrivo di qualche cliente, e si raschiava nervosamente le unghie fino a farle sanguinare. Forse era anche quello un piacere. Faceva freddo ed ero solo. Allora contai le monete che avevo in tasca. Il primo grande hit di Al Green,  “Tired Of Begin Alone”, fu pubblicato nel 1971 e seguito da “Let’s Stay Together” e “I’m Still In Love With you”, oggi dei classici della soul music. Una vocalità da crooning, invocante e penetrante, quella di Al Green, un cantante che riuscì ad aprirsi al mercato dei bianchi, senza snaturare la sua identità. Complice anche la sua grandissima band, formata dai fratelli Hodges, Tennie, Charles e Leroy, e dal batterista Al Jackson, un vero talento che fu ucciso nella sua casa di Memphis e sostituito da Howard Grimes, un altro batterista dal grande senso del ritmo. Musicisti con le contropalle, che sapevano seguire le sue inflessioni vocali fino a scandagliargli l’animo, con tocchi musicali sempre appropriati. Ci vuole capacità per fare bene le cose, ma anche coraggio e forza. L’onestà? Quella non sempre è richiesta. Mi sentivo smarrito con quel fondo di amarezza che mi accompagnava e scendendo il viale sentii una malinconia dolce, come una melodia, come una canzone di Smokey Robinson and the Miracles affacciarsi


            Al bar da Gino il sabato arrivai che erano le nove passate, e già c’era un bel po’ di trambusto. Aveva organizzato un reading di musica e poesie quella sera Toni, era questa la sua bella sorpresa. Non appena mi vide si avvicinò spiegandomi che sarebbero intervenuti tanti autori tutti sconosciuti. I poeti dell’ombra, li aveva battezzati. Ma, in fin dei conti, cos’è un poeta? La radio del bar stava trasmettendo uno di quei cantautori con quell’inclinazione alla superiorità, che dà su i nervi, uno che stornella canzoni con correnti gravitazionali, ascensionali, ipocondriache. Abituato come sono a canzoni stridule, a chitarre dissonanti e a testi semplici, seppur drammatici, che nascono dalla paura che si tramuta in arte, queste canzoni non le riesco proprio a capire. E nessuno mi può sgozzare perché non le capisco. Ma costui è considerato un genio, un maestro, una fonte d’ispirazione. Ma in fin dei conti cos’è un poeta? Bevvi un paio di birre in compagnia di Pippo “Il Bandito” che era uscito da poco dal carcere e, quando il locale fu pieno zeppo di ubriaconi, operai, giocatori di briscola, senza tetto, vagabondi, canaglie, musicisti, scrittori, giocatori di biliardo, punk, visionari, prostitute, perdigiorno, sognatori, cameriere, badanti, sartine e pezzenti, si diede inizio. Toni interpretò la sua lirica a tarda notte, con il sottofondo di “Harlem Nocturne” di King Curtis, e fu un momento davvero toccante per l’intensità emotiva con cui recitò i suoi versi.  



            Tirammo l’alba, ma prima che andassimo via un ragazzo cantò accompagnandosi con una chitarra acustica “Dead Radio”, una canzone di Rowland S. Howard, con una passione e un’intensità, che mi spezzò il cuore.


            Hai sempre paura di ciò che non conosci. E il buio fa paura a molti. Come la poesia. Noi uomini marciamo su questa terra come fossimo al supermercato e, pronti col numerino in mano, restiamo in attesa del’eternità, rincorrendo la giovinezza. Ma in fin dei conti, cos’è sta giovinezza? Forse è lo sconvolgersi? O forse farebbe più giovane se tutti quanti riuscissimo ad amare tutti? Questo sarebbe sconvolgente, nuovo, rivoluzionario. Dovremmo perdere per strada le spregevoli menzogne di cui ci nutriamo. Ma, invece, guai se proviamo a rifilare le nostre angosce, o le nostre poesie, a quelli che vengono a trovarci! Ci saremmo belli è fregati l’esistenza, resteremmo da soli a tormentarci. Finisce allora che nascondiamo tutto dentro e ci consumiamo nella notte, dove sostiamo esitanti insieme al diavolo, perché possiede, lui sì, tutti i trucchi per ammaliarci.


            E venne il grande giorno dell’ira. E c’è fango nel tuo grande occhio rosso. Il poker è sul fuoco. E le locuste guadagnano il cielo. E la terra è morta urlando. (Earth Died Screaming - Tom Waits)







Bartolo Federico

martedì 21 gennaio 2014

Polvere & Diamanti(e qualche stella del rock’n’roll)



Quasi estate. Il giorno con il passare delle ore si era fatto sempre più caldo. Cercavo di starmene tranquillo seduto su quella veranda da dove potevo osservare il mare. Rimisi il libro sul tavolino e rientrai in casa, stappai una birra e sistemai un disco sul piatto dello stereo. “Glamour Girl” di “T-Bone Walker” mi esaminò con attenzione, mentre guardavo gli ultimi raggi di sole pieghettare le onde. La mia mente vagava senza sosta nel tentativo di rimettere insieme il filo degli ultimi eventi. Il mare era piatto e lucido e non c’era un alito di vento. La notte stava giungendo e tutte quelle stelle sparse nel cielo dicevano che la bella stagione era ormai approdata. Anche se stavo attraversando un momento difficile, mi ripetevo che non dovevo farmi prendere la mano, che quei sogni strani che mi scuotevano e mi turbavano fin nel profondo sarebbero andati via, prima o poi. Come ogni cosa. Era da mesi che durante il sonno mi svegliavo di continuo e, quando non riuscivo a riaddormentarmi, aspettavo con gli occhi sbarrati l’alba. Quella notte, però, aveva ringhiato da subito le sue intenzioni e continuò a tormentami la mente. Non c’è la feci più a rivoltarmi tra le lenzuola, mi alzai, infilai le ciabatte blu, la camicia di jeans, e andai in cucina. Tirai fuori dal frigo la bottiglia del latte, ne versai un bicchiere abbondante, ci misi dentro due cucchiaini di zucchero e mi accomodai sulla veranda.Era una notte strana, impregnata d’immagini chiare e inumidita da bagliori solitari. Guardai per un pezzo il mare e il cielo, e anche quella luna che sembrava arrivata lì per caso. Era come un urlo quel brandello di memoria che non voleva andar via. Di fronte a me avevo case scolorite dal sole e dalla penombra, e c’era poca gente intorno. Soffiava una leggera brezza, afferrai la Martin DX1 piena di cicatrici che era appoggiata sul muro del terrazzino, e strimpellai.

A volte sei felice. A volte piangi. Metà di me è come l’oceano e metà è cielo. Tu hai un cuore davvero grande che potrebbe schiacciare questa città. Ed io non posso arrendermi sempre. Tutti i muri cadono. Talune cose sono già finite. Altre cose vanno avanti. Tu porti una parte di me, una una parte è già andata via  (Walls - Tom Petty)



            Non puoi farci niente. Le cose accadono e il mondo continua ad andare avanti, che tu lo voglia o meno. Tanto vale prendere la vita con distacco. L’esatto opposto del rock’n’roll. Non avevo programmi a breve termine, ma non serviva farne, in modo da non alimentarmi di altre delusioni. Mi ero rintanato in quella casetta che mi avevano lasciato i miei genitori e che fino ad ieri non avevo mai sfruttato a dovere. Ma volevo fare tabula rasa di molte cose e quello era di sicuro il luogo più adatto. 

La notte era buia ma il cielo era blu. Il treno di ghiaccio correva lungo la valle. Il rumore di un urto e qualcuno che urla. Tu potresti avere udito ciò che io ho appena visto. Chi ami, tu? Chi ami, tu? (Who do yo love? - B. Diddley)



            Il “simpatico contafrottole” (questo è più o meno il significato in slang del nome) Bo Diddley è uno di quei personaggi che ha seminato molto ottenendo il minimo sindacale. Di lui non si ricorda quasi mai nessuno, perfino i testi di musica lo bistrattano e lo liquidano frettolosamente. Come fosse una rogna. Probabilmente paga per avere cambiato spesso panni e identità musicale, e non si sa come catalogarlo. Ma, questo è certo,  la storia del rock senza le sue canzoni avrebbe avuto un altro corso. E tra il 1955 e il 1962 che Ellas McDaniel in arte Bo Diddley, nome impostogli da Leonard Chess quando incise il suo primo 45 giri , scrive tutti i suoi capolavori caratterizzati da un ritmo primitivo, ma anche brutalmente gioioso. I’m a Man, Road Runner, Mona, Story Of Bo Diddley, Cracking Up, Nursey Rhyme, Diddley Daddy , Who Do You Love sono canzoni che verranno riprese da Jimi Hendrix, Muddy Waters, John Fogerty, Stones, Quicksilver, Doors, e un'altra miriade di artisti. Il creolo Diddley, nato nel Mississippi nel 1929, fu adottato dalla famiglia McDaniel all’età di cinque anni. E come è successo a quasi tutti quelli baciati dal talento, la chitarra che gli fu regalata dalla sorella quando compì dieci anni la imparò a suonare da solo. E a tredici era già all’angolo della Langley Avenue con un suo complessino.



            La mattina mentre andavo al supermercato notai i tanti bar che avevano aperto nella zona e le case di legno dei contadini diventate ormai grigie per effetto della salsedine. Comprai della pasta, uova, biscotti artigianali, del latte, un pacco triplo di caffè e delle verdure. Presi anche qualche birra e una bottiglia di vino. Il J&B lo presi anche ma poi lo riposai nel suo scaffale. Rientrai e mi feci una doccia, restandomene un bel quarto d’ora seduto sotto una cascata di acqua tiepida. Mi lavai i denti e mi rasai abbastanza velocemente. Dopo, mentre mi rivestivo, osservai dalla finestra del salone la spiaggia ancora vuota. Preparai il caffè, ascoltando una cassetta degli Zeppelin che avevo registrato anni prima per portarmela in macchina. “Polvere e Diamanti” lo avevo chiamato quel nastro, perché a quel tempo avevo l’abitudine di dargli un titolo, ai miei nastri. Questa è la sequenza dei brani sul lato A: “Travelling Riverside Blues", “Ramble On”, “Immigrant Song”, ”Going To California”, “When The Levee Breaks”, “The Rain Song”, “Battle Of Evermore”, ”Over The Hill And Far Away”, “Misty Mountain Hop”, “Babe I'm Gonna Leave You”. Dovevo cercare la regolarità, pensare dei pensieri normali, non potevo seguitare a essere un disadattato, un cavaliere errante, uno che rincorreva ancora quegli spiriti furiosi che mi danzavano nella testa. Uscii di casa e feci una lunga passeggiata sulla spiaggia che tra non molto si sarebbe animata da decine di famiglie con bambini e ombrellone a seguito. Mal sopportavo l’ipocrisia della gente e quelli che non si volevano annoiare mai. Conoscevo l’iniquità dell’animo umano, e la normalità mi aveva fatto sempre paura.



            I Quicksilver Messanger Service nacquero per volontà di Dino Valenti, un folk singer già affermato della bay-area. John Cipollina e Terry Dolan lo incontrarono nel 1963. Valenti innamorato della musica dei Jefferson Airplane, Beatles e Grateful Dead, si era stancato di suonare da solo e stava cercando di mettere su una rock-band. Dal momento che era alla ricerca di musicisti, quei due tipi davvero bizzarri facevano al caso suo. Dino spiegò quale era la sua idea al gruppo, che voleva includere anche due ragazze al tamburino e che si dovevano anche vestire in maniera eccentrica. Stabilirono di iniziare il giorno dopo. Johnny e Terry si portarono appresso Jimmy Murray e Gary Duncan, due loro amici. Quando arrivarono, tutto era pronto, gli strumenti, il manager, la sala. Mentre aspettavano che arrivasse Dino, si fecero una pasticca di lsd. Dopo una lunga attesa, finalmente, arrivò una ragazza che disse che Dino era stato arrestato, che lo avevano beccato mentre fumava marijuana, ma che sarebbe stato rilasciato tra qualche giorno. Passarono i mesi e Dino non arrivava, dato che era ancora in prigione. Nel frattempo i ragazzi conobbero David Freiberg, un amico di Valenti, anche lui uscito da poco di prigione e che suonava la dodici corde in modo eccellente. Ma dal momento che David voleva suonare il basso dopo varie e animate discussioni fu accontentato. I Quicksilver erano nati. Dino Valenti uscì dal carcere dopo un anno e mezzo, ma ormai non c’era più posto nella band. Nel marzo del 1969 esce Happy Trails. Il disco, eccetto “Maiden Of The Cancer Moon”, è il risultato di alcune registrazioni live fatte nel 1968 nei due teatri Fillmore East e West di San Francisco, ed è la prova di quanto fosse emozionante e travolgente la Quicksilver Messanger Service dal vivo. La prima facciata è composta da una lunga suite di venticinque minuti che prende spunto da Who Do You Love di Bo Diddley per poi diventare, strada facendo, qualcos’altro, in un impasto musicale fantastico. La seconda facciata si apre con Mona sempre di Bo Diddley e, passando per la strumentale Maiden Of The Cancer Moon, si finisce con Calvary, un pezzo scritto da Gary Duncan. C’è di tutto intinto in questo disco, svisate, arpeggi, chitarre distorte e laceranti, tocchi di acustica e improvvisazione. Un vero autentico trip sonoro. Uno dei momenti migliori del rock californiano degli anni sessanta.



            Stavo cercando di adattarmi alla situazione ma ero sempre animato da una profonda sfiducia verso il genere umano. Mi sedetti in un bar sotto un pergolato e ordinai da bere. Dal cestino poggiato sul tavolino presi dei fazzolettini e mi asciugai il sudore sulla fronte. Mentre aspettavo osservai dei ragazzini che indisturbati giocavano al videopoker. Il cameriere mi allungò il bicchier gelato con la vodka alla pesca che mandai giù in un botto, solo per il gusto di sentirmi le budella bruciare. Non mi andava d’ingannare nessuno, ma ogni domanda che mi facevo restava senza risposta, e questo non era un buon modo per andare avanti. Pensieri cupi si accavallarono nella mente mentre rientravo a casa. Mi fermai sotto una palma ormai morta, perché attaccata dal punteruolo rosso, un insetto che al suo interno compie tutto il suo ciclo vitale, e mi accesi una sigaretta. Il nome The Byrds in americano non ha alcun significato razionale, invece il suono dei Byrds rimane ancora oggi un mistero. Innovatori, eccentrici, geni, alieni chi lo sa. Forse solo musicisti. 

“Se vuoi diventare una stella del rock&roll, ascolta quello che devo dirti, prendi per un po’ una chitarra elettrica ed impara a suonarla, e quando i tuoi capelli sono lunghi abbastanza e hai i blue jeans ben attillati, allora sei a buon punto ed è tempo che tu vada giù in città dove troverai un agente. Vendi la tua anima alla compagnia discografica che aspetta di vendere la sua merce di plastica. In una settimana o due, se c’è la farai, le ragazze ti prenderanno da parte, il prezzo che tu hai pagato per la tua ricchezza e la tua fama è un gioco strano. Sei un po’ pazzo, il denaro che ti arriva e l’urlo della folla..non scordare chi sei: tu sei una stella del rock & roll.”(So you want to be a rock and roll star),



            Nell’estate del 1964 Jim McGuinn stava suonando al Troubadour di Los Angeles e si stava divertendo improvvisando imitazioni delle canzoni dei Beatles. Seduto tra la folla c’era Gene Clark, un ragazzo apache del Missouri a cui quell’esibizione fece venir voglia di formare una rock’n’roll band. The Jet Set, con al basso David Crosby, incisero due brani sulla raccolta Early L.A., pubblicata dalla casa discografica Elektra.



            I nostri politici sono dei pazzi invasati. Finanziano i conflitti solo per la loro avidità di denaro. Ma li avete mai visti combattere una guerra a questi cacasotto? Mi sono nascosto nel buio ascoltando “You Don’t Love Me Yet” cantata da Rocky Erickson. Per non sentire la fredda indifferenza che avvolge la morte.  McGuinn, Clark e Crosby, giusto per affinare l’intesa, si esibirono in qualche locale dove reclutarono un virtuoso del mandolino, un certo Chris Hillman, e un batterista alla sua prima esperienza, Michael Clarke. Dopo un periodo in cui si chiamarono The Beefeaters, il gruppo prese il nome di The Byrds. Con la produzione di Jim Dickson incisero ai World Pacific Studios l’album Preflyte, che vedeva composizioni scritte da Clark McGuinn e Crosby. Per la prima volta una band di rock eseguiva canzoni di musica folk e questo cambiò le cose per sempre nel rock’n’roll. “Mr Tambourine Man” è il brano di Dylan che li avrebbe, da lì a breve, catapultati nel mondo delle rockstar. La notte del 20 agosto 1965 la FM’s di L.A., San Francisco e San Diego iniziarono a trasmettere le loro canzoni due volte ogni ora. Ho avuto sempre un debole per Clark,  uno  che voleva starsene lontano dal caos e che non voleva essere una rock’n’roll star. La sua Here Without You è una delle mie canzoni preferite. 

Il giorno serve a farmi sentire solo. Di notte non posso far altro che sognarti. Ragazza, sei ogni istante nella mia mente. E’ così difficile starmene qui senza di te. Parole nella mia testa continuano a ripetere quello che hai detto quando stavo con te. Mi chiedo se sia vero che tu provi le stesse cose. E’ così difficile, qui, senza di te, stare qui, senza di te.”



            Il pomeriggio la strada sterrata vicino casa era inondata da un sole incredibilmente luminoso. Il ventilatore sul tre piedi ruotava cigolando. Quando ci stavano i miei genitori era una casa aperta a tutti. Per questo loro ci tenevano così tanto. Gli era costato molto economicamente, ma ne era valsa la pena. Io ero stato il prescelto dei tre figli, perché a mano mia non sarebbe mai stata venduta. In tutte le stanze c’era ancora qualcosa che parlava di loro. Quella notte avevo dormito molto e mi sentivo migliore. Era un pomeriggio caldo e senza particolari pretese. La vita non mi aveva fabbricato felice.  E in qualche modo sarei sopravvissuto.



Bartolo Federico


venerdì 10 gennaio 2014

Mick Jagger & The Doors- Me & the Devil Blues-

Aspirai avidamente un paio di boccate,tenendo la sigaretta tra le dita come fosse un amante.Mentre il fumo mi scendeva nei polmoni un pensierò mi attraversò.C'è come una fossa dentro di noi ,ma se il dolore svanisce,sbiadisce anche il ricordo che lo mantiene vivo.Guardai la mia ombra e le sorrisi.



John Campbell - One Believer -

Non temo l'inferno,adesso i morti  mi fanno meno paura dei vivi. Ho acceso la lampada sullo scrittoio ma i suoi contorni continuavano a sfumare.La luna era cosi' piccola in quel cielo nero, che l'avrei potuta raccogliere dentro il palmo della mia mano.Qualcosa da dentro lo specchio mi guardava. Poi un rantolo rauco, mi ricordò chi ero. Con sufficiente precisione.

The winter trees stand naked. It's almost dark.
One man walks slowly, alone in the park.
His mind is full of visions only he can see,
And Lord, Lord, Lord, he sure looks a lot like me.


One Believer
That's all he's praying for.
One Believer
To open just one door.


He goes down by the lake. It's solid ice.
Pigeons gather round, he throws them some rice.
He's got a picture running technicolor through his mind.
He sees his name in lights and damned if it ain't the same as mine.


He goes back to his room. He writes a bit.
He's sure as always, this one will be a hit.
He switches of the lamp so his loneliness won't show,
And that prayer inside his head, that's one I know.


One Believer
That's all he's praying for.
One Believer
To open just one door

The Rolling Stones - Dancing With Mr D-

Questa mattina, presto quando hai bussato alla mia porta.Questa mattina,presto quando hai bussato alla mia porta ho detto:Buon giorno Satana credo sia ora di andare.(Me And The Devil Blues-Robert Johnson)


Down in the graveyard where we have our tryst
The air smells sweet, the air smells sick
He never smiles, his mouth merely twists
The breath in my lungs feels clinging and thick
But I know his name, he's called Mr. D.
And one of these days he's gonna set you free
Human skulls is hangin' right 'round his neck
The palms of my hands is clammy and wet

Lord, I was dancin', dancin', dancin' so free
Dancin', dancin', dancin' so free
Dancin', Lord, keep your hand off me
Dancin' with Mr. D., with Mr. D., with Mr. D.

Will it be poison put in my glass
Will it be slow or will it be fast?
The bite of a snake, the sting of a spider
A drink of Belladonna on a Toussaint night
Hiding in a corner in New York City
Lookin' down a fourty-four in West Virginia

I was dancin', dancin', dancin' so free
Dancin', dancin', dancin' so free
Dancin', Lord, keep your hand off me
Dancin' with Mr. D., with Mr. D., with Mr. D.

One night I was dancin' with a lady in black
Wearin' black silk gloves and a black silk hat
She looked at me longin' with black velvet eyes
She gazed at me strange all cunning and wise
Then I saw the flesh just fall off her bones
The eyes in her skull was burning like coals
Lord, have mercy, fire and brimstone
I was dancin' with Mrs. D.

Lord, I was dancin', dancin', dancin' so free
I was dancin', dancin', dancin' so free
Dancin', dancin', dancin' so free

Dancin', dancin' 

giovedì 9 gennaio 2014

Green On Red - Deliverance-

Bene possiamo anche cominciare.Allungai una mano nella mia borsa da viaggio, e mi riempii il bicchiere. Ho poche cose con me. Una chitarra, una camicia,un paio di libri, una bottiglia di whiskey, e un grande disco di rock'n'roll.


Radio Birdman-Love Kills-

La maggior parte di noi è in fuga da qualcosa, incapaci di adattarci. Per un pò abbiamo ballato, era calda e sinuosa. Si muoveva bene. Era una notte tranquilla, non avevo fretta, ma di solito non ne ho. Di certo non mi annoiavo.

She smokes long cigarettes
Ashes on her jeans
Came out of Chicago
Looking cold and mean
She said nothing's there
Nothing left to try
Drinking down at the old Town Bar
I told her when I lied

Drove out to her sister's place
Out on Island Park Drive

Love kills your mind
Love kills your time
Love kills the film on your eyes

Sinking in her grey eyes
Singing 'We Will Fall'
Staring out the hotel window
At the pictures in the hall
Driving out to Detroit Metro
The snow driving on the wind
The sky was grey and white
The road was to the end

Ice was flying through my eyes
My heart was cold as sin

Love kills your mind
Love kills your time
Love kills the film on your eyes 

mercoledì 8 gennaio 2014

Blue Oyster Cult - (Don't Fear) The Reaper

All our times have come
Here but now they're gone
Seasons don't fear the reaper
Nor do the wind, the sun or the rain
We can be like they are

Come on baby... Don't fear the Reaper
Baby take my hand... Don't fear the Reaper
We'll be able to fly... Don't fear the Reaper
Baby I'm your man...

Valentine is done
Here but now they're gone
Romeo and Juliet
Are together in eternity...
Romeo and Juliet

40,000 men and women everyday... Like Romeo and
Juliet
40,000 men and women everyday... Redefine
happiness
Another 40,000 coming everyday...We can be like
they are

Come on baby... Don't fear the Reaper
Baby take my hand... Don't fear the Reaper
We'll be able to fly... Don't fear the Reaper
Baby I'm your man...

Love of two is one
Here but now they're gone
Came the last night of sadness
And it was clear she couldn't go on
The door was open and the wind appeared
The candles blew and then disappeared
The curtains flew then he appeared
Saying don't be afraid

Come on baby... And she had no fear
And she ran to him... Then she started to fly
she looked backward and said goodbye
she had become like they are
she had taken his hand
she had become like they are

Come on baby...don't fear the reaper