sabato 27 aprile 2013

Pezzi Di Un Uomo



Oggi è sabato e il tempo è incerto. Dalla mia finestra guardo il sole che sta scemando lentamente dietro la collinetta e sono quasi ubriaco. Il telefono continua a squillare ma me ne sto fermo su questa sedia a cercare di afferrare il significato delle cose che seguitano a sfuggirmi. Così, senza accorgermene, finisco per scolarmi la bottiglia di vino da due euro al litro. Desidero andarmene da qualche parte, è da tempo che voglio cambiare aria perché a stare fermi le cose peggiorano di giorno in giorno. Tengo le palpebre strette, il capo reclinato e intanto penso che non ho mai fatto realmente parte di questa società e che il distacco tra me e il mondo si fa sempre più grande. Ma è solo colpa mia se adesso non riesco più a tenere a bada l’inquietudine. Ho i capelli arruffati e la faccia tirata. Mi alzo e vado in cucina a bere un bicchiere di acqua minerale. Qualcuno suona alla porta di casa, lo mando affanculo, che non mi rompa i coglioni chiunque esso sia. Per il momento ho voglia di dormire e che mi lasci a sudare e imprecare mentre qui da solo impazzisco.  

Cull'uocchie astritte e chino e suonno te resta 'o munno 'mmano e po' l'haje suppurtà cull'uocchie astritte e 'o viento attuorno te vieste e nun saje cchiù che cosa haje raccuntà' E nun ce sta piacere nun ce sta piacere nemmeno a ghi a fà' 'nculo pe' 'na sera (Nun ce stà piacere - Pino Daniele). 


“Deve fare il furbo per riuscire a farcela in questo mondo” mi ripete lo strizzacervelli della mutua. Per un attimo mi guardo allo specchio che sta sulla parete proprio di fronte a me. Il foulard di seta legato al collo è assai simile a quello che usavo quando avevo diciassette anni e di cui allora mi servivo per affrontare i miei primi giorni di pioggia. Ho ancora i capelli lunghi alla Jim Morrison, sono vestito di nero e porto scarpe a punta di camoscio, come quelle che aveva Bob Dylan in una foto scattatagli  durante gli anni sessanta. E mi sento spacciato. Con questa faccia da stupido che mi ritrovo dove vuoi che vada, penso. Forse ad inseguire la pazzia della notte per poi restarmene supino a guardare il soffitto mentre ascolto la pioggia cadere. Lo strizzacervelli mi scuote urlandomi sul viso: “Non c’è posto in questo mondo, se continua in questa maniera”. “Non c’è posto cerchi di capirlo per i sognatori, per chi si affaccia al balcone solo per sentire l’aria del mattino sulla pelle o il tepore del sole. Non c’è posto per chi vuole perdersi dentro un giorno senza tempo. Lei deve pensare a produrre e consumare, lo capisce questo, vero? Non c’è posto per un confuso come lei. Deve prendere posizione avere un leader politico, dibattere cosa è giusto o sbagliato. Anche se poi resta tutto uguale non importa. Deve pensare a migliorare la sua posizione sociale, farsi un abbonamento ad una tele e guardare le partite di calcio. Iscriversi a facebook, cinguettare, farsi una cultura. Leggere gli articoli preziosi e saggi di Severgnini, Aldo Grasso, Ezio Mauro, Concita De Gregorio, Massimo Franco, e Eugenio Scalfari. In estate andare in vacanza con gli amici in barca a vela. Non può continuare a starsene in silenzio e pensare che un goccio di vino rosso, per di più scadente, o una canzone, una frase, uno sguardo, un libro di Bukowski, una carezza, banalità del genere possano cambiarle l’umore e renderla felice. Si faccia coraggio, mister Tristezza, una volta per tutte e accetti la realtà prima di diventare totalmente pazzo”, mi chiosò il dottore.  

Giuro che non eri una mia ambizione. Avevo in mente come stemperarmi. Camminai verso il bar e ordinai. Poi presi fuori il ghiaccio, sedetti al sole caldo. Guardai intorno a questa terra nuova. E dopo, oh Cool Blue Long Dark, mi hai rubato il cuore. (Cool Blue Stole My Heart-Joan Armatrading). 
  


Esco dall’ambulatorio con l’inventario delle mie disgrazie, e decido di andarmene a zonzo per la città. Arrivato nei pressi del porto, un gran via vai di militari mi mette in allarme e, siccome sono assai allergico alle divise, nella confusione che si è creata tento di cambiare rotta ma, dopo un occhiata un po’ più attenta, capisco che non ho nulla da temere, che è solo una parata militare in memoria di non so che cosa. Ascolto la fanfara suonare l’inno nazionale, poi mi accendo una sigaretta e sputacchio di lato. Ci sarà sempre la guerra e ci sarà sempre gente pronta a scannarsi. E in quell’istante prendo nota che ho perso l’ultimo scampolo di fiducia, l’ho cacciata da qualche parte ma non ricordo più neanche dove. Forse l’ho spinta in fondo al corpo insieme alla speranza e l’ho mandata giù talmente in profondità che è finita nell’intestino insieme alla merda. “Non scoppierà mai la rivoluzione”, me lo disse il vecchio Charlie, ma io allora non gli credetti. La gente non è disposta a cambiare se stessa. La prima cosa che farebbe durante i tumulti si accapiglierebbe per rubare un televisore, la stessa feccia che li ha avvelenati. Sono un cane solitario, e su questo non ci piove. Uno che preferisce fare tutto da solo, anche ubriacarsi. Sulla strada di casa, da Angelo, il bottegaio che vende il vino sfuso, ne prendo a credito cinque litri e adesso, e solo adesso, nel brusio del mio cervello si apre un varco.

 Mostra qualche emozione. Metti un’espressione nei tuoi occhi. Accenditi se sei felice. Ma se ti senti male, fai scivolare via queste lacrime. Suvvia, prova ad imparare a sanguinare. Quando prendi una brutta caduta. Accenditi se tutto va bene. Ma se va male, lascia che queste lacrime scivolino via (Show some emotion  - Joan Armatrading).



Sly Stone, prima di diventare un divo del rock, lavorava per una stazione radiofonica da dove trasmetteva ogni genere di musica. Da Dylan a Hendrix e James Brown. Questo gli permise di abbattere qualsiasi barriera e di non fissarsi solo con un genere musicale, cosa che generalmente i musicisti fanno. Nel 1969 sale sul palco di Woodstock insieme ai Family Stone e davanti a quell’ immensa platea si esibisce con il set esaltante di I want to take you higher e Dance to the music. Sly Stewart è un tipo difficile, ha seri problemi con la droga (ma chi non li ha in questo mondo!), è stato in carcere ed è pazzo quanto basta. Sul palco è un istrione animalesco e alle volte capita anche che è troppo “fatto” per suonare decentemente. La sua è una sintesi anarchica di musica soul, psichedelica, gospel, i cui intrufola anche della musica latina e della fusion ante litteram. Nel 1971 pubblica There’s A Riot Goin’On, un album di rottura, dove rock, acido e soul la fanno da padroni. Con puro radicalismo e militanza politica si schiera dalla parte dei sopraffatti, ed è strano che accada, ma alle volte succede che raggiunge le vette delle classifiche di vendita. Ha testi duri, questo disco, che parlano di rivolta, della ribellione dei ghetti, della lotta per l’integrazione razziale, del potere nero e del separatismo. ”la mia sola arma è la penna. E mi sento capace di usarla. Sono uno scrittore, un poeta. Le cose che fotografo ogni giorno, le faccio ritrovare in ciò che dico (The Skin I’m In).  Ma tocca anche i temi della disgregazione familiare in Family Affair. Sly, dopo l’uccisione di Martin Luther King, diventa portavoce del suo popolo ed è con questo disco e queste canzoni che lancia un duro attacco all’ordine mondiale dei bianchi. Tutte cose che il pallido, pallidissimo, signor Obama, si sognerebbe di pronunciare anche in una conversazione privata. 



Nel corso della notte mi sono svegliato più volte con l’angoscia che mi attanagliava il cuore. E alla fine ho deciso di non dormire più, tanto i miei incubi avrebbero continuato a perseguitarmi e non me lo avrebbero permesso neppure se avessi voluto. Come chiunque, ho sempre fatto molti errori ma non ho mai cercato scuse o trucchi per difendermi. Forse non ho mai spiegato fino in fondo cosa mi accade dentro, ma è sempre stato troppo faticoso. Così, mi sono sequestrato da solo e sono rimasto in silenzio. Non ho rimpianti per questo, perché dovrei averli adesso che sono come una vecchia abat-jour posata sul comodino ad illuminare i ricordi. Adesso che intorno a me vedo solo i pezzi di un uomo sparpagliati per la stanza. La rivoluzione vi metterà al posto di guida. La rivoluzione non la daranno alla televisione, non la daranno alla televisione. Non la daranno alla televisione, non la daranno alla televisione. La rivoluzione non sarà una replica, fratelli. La rivoluzione sarà in diretta (The Revolution Will Not Be Televised - Gil Scott Heron). Mi sento davvero stanco in questo periodo, sarà che la primavera mi tiene l’umore basso. O, invece, è il fatto che più invecchi più capisci come vanno certe cose e  allora o t’incazzi, oppure ti ubriachi. Io ho scelto di ubriacarmi, anche se sotto la mia crosta il sangue ribolle. Sono circondato da disonesti, bidonari, gente che tesse la tela stando ben attenta che non si apra nessun buco. Tutto è già segnato scrupolosamente per i loro leccaculi, persone abituate all’ingrasso. E tutto se ne va alla deriva. Il mondo è buio e silenzioso. Sono fermo sul baratro quando dal brusio di una radio mi arriva una melodia che ho sepolto sotto cumuli di macerie.

 Lei mi manda lettere d’amore blu fin dalla lontana Filadelfia per ricordare l’anniversario di qualcuno che io non sono più e mi fanno sentire come se ci fosse una taglia per il mio arresto. Mi sono rivisto com’ero anni fa. Adesso sono sempre in fuga e mi sposto in continuazione. Ecco perché ho cambiato nome. E non pensavo mi avresti mai trovato qui (Blue Valentine - Tom Waits).



Nel Bronx un gruppo di ragazzi sta in mezzo alla strada. Hanno l’aria aggressiva. Un uomo nero vestito di nero porta un cappellino di lana e occhiali a specchio. Sta  attraversando con passo veloce il marciapiede. I cugini Bramante lo osservano, seduti su una decapottabile bianca, toccandosi il  cazzo e passandosi uno spinello che è lungo come una tromba. L’uomo nero è un sobillatore, poeta, musicista,  scrittore. Un genio. Uno che non ha mai alzato la bandiera dei vincitori. Chiude gli occhi per un istante. E’ un circo d’anime questa strada. Il jazz è John Coltrane. Il blues e a Jackson, Tennessee. Occhi che tornano a guardare. La poesia è Gil Scott Heron. Un pallido sorriso è lo spettro di un sorriso. Reflection è del 1981 e chi non lo hai mai ascoltato può solo farsene una colpa. C’è polvere e sangue, odio e amore. C’è la rivoluzione, i ghetti pieni di droga, i diritti civili e l’angoscia, quell’angoscia di non farcela. La vita scorre e pulsa, anche dove si spengono i lampioni e non passa più nessuno. E’ come una cicatrice profonda sulla pelle del popolo americano, questa voce. 

 Mattino come principio di un nuovo giorno con tutta la sua luminosa promessa splende prima pallido poi brilla sullo Zimbabwe su El Salvador sulla Namibia sulla Polonia ovunque un uomo osa protestare per un cambiamento. Siamo nati alla mezzanotte del periodo più scuro  ma sicuramente il primo minuto di un nuovo giorno offre… nuova forza (Morning Thoughts - Gil Scott Heron). 



Cammino su e giù per la stanza e tutto mi sembra una fregatura. In cosa si sono trasformati i miei sogni non lo so più. Certo ci sono un sacco di persone sbronze come me a quest’ora della sera. Da dove comincio allora? Forse da quel libro che devo scrivere. Mi riempio il bicchiere mentre una fredda tristezza mi attraversa il cuore. L’ho imparato su me stesso che quando si cammina dal lato infernale non si torna più indietro. È una notte molto buia e sento le sirene nella strada. Credo che lascerò dondolando questa città. 

Come sogni mezzi dimenticati, come una pietruzza nella scarpa. Mentre cammino per queste strade e il fantasma del tuo ricordo e una spina dentro un bacio e il ladro che spezza il gambo di una rosa (Blue Valentine - Tom Waits).



Bartolo Federico 




domenica 14 aprile 2013

Qui Intorno Non Mi Voglio Spegnere



Seduto nella vecchia cucina economica che ormai cadeva a pezzi, bevve un sorso di whisky. Quella casa pareva abbandonata per com’era ridotta. Le finestre con le sue tende scure erano arrugginite e le porte stridevano sui perni. Sul tetto le tegole rotte facevano penetrare l’acqua piovana ed era tutto eroso e consumato dal tempo che passa, come la sua anima, pensò alzandosi dalla sedia. Non aveva più voglia di sorridere, ma aveva anche il terrore di smettere per sempre di farlo. Era pallido e si sentiva piuttosto stanco. Per un attimo strinse gli occhi per vedere meglio nell’oscurità. Non si sentiva alcun rumore in quella casa ed era già come darsi una risposta. Si versò un altro po’ di whisky dalla bottiglia mezza vuota e lo tirò giù di un fiato. Era sempre stato un tipo attento a non urtare i sentimenti di nessuno, ma era anche giunta l’ora di smetterla di preoccuparsi degli altri. Perché,adesso, aveva di che preoccuparsi di sè. Quando la mattina uscì di casa, prese a camminare con il tepore del sole alle spalle. Camminava e camminava, e gli pareva di essere fermo sempre nello stesso punto. Giunto alla ferrovia, scrutò i viaggiatori in attesa di partire. Grassi, magri, belli, brutti, stronzi, gente comune che gli passava accanto e si scansava da lui. Immaginò che era diventato trasparente e chiunque potesse vedere fin dentro le sue viscere l’inferno che si portava appresso.

 Esco dalla porta sul davanti come un fantasma nella nebbia, dove nessuno fa caso al contrasto del bianco sul bianco. E fra la luna e te. Gli angeli hanno una visuale migliore su quella che è la vacillante differenza fra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Cammino nell’aria in mezzo alla pioggia, dentro me stesso e poi ancora indietro. Dove? Non lo so. Maria dice che sta morendo, la sento piangere dietro la porta. Perché? Non lo so.. qui intorno noi stiamo sempre dritti in piedi  (Round Here -  Counting Crows). 



Negli ultimi tempi lo aveva anche sfiorato il pensiero di farla finita magari buttandosi giù da un viadotto o tagliandosi le vene. Ma per chi era stato un guerriero nella vita, l’unica via per realizzare quel gesto inconsulto, era che qualcuno gli sparasse un colpo secco al cuore. Continuò a camminare verso nord, poi verso sud, poi di nuovo verso nord, senza che riuscisse a trovare un varco, una via d’uscita. Il suo cervello montava tutto, pezzo per pezzo, punto per punto, poi tornava a smantellare ogni cosa come se non accettasse nessuna spiegazione che si dava e girava, girava incredulo e smarrito, intorno alle cose. Aveva sempre fatto tutto con parsimonia ed aveva sempre avuto paura nella vita. Una paura collegata a qualcosa come al rischio di non potere pagare la casa o le bollette e si rendeva conto che era stato un infelice. Ma adesso doveva dare alle sue paure un valido motivo, trovando ad ogni costo una buona ragione per andare avanti. Non mi voglio spegnere oh non mi voglio spegnere. Dimmi cosa posso fare,.cosa posso dire perché, tesoro, non mi voglio spegnere (Fade Away - Bruce Springsteen). Lei gli sorrise dolcemente e lo cinse con un braccio stringendosi a lui. Poi si baciarono appassionatamente lì in mezzo alla strada. Dobbiamo dirci sempre la verità, continuò, e non lasciare mai che io resti indietro anche soltanto ad un passo da te. Ascoltò involontariamente il dialogo di quei due amanti seduto su quel sedile a guardare il mare e ripensò a quel legame che sembrava solido e inscalfibile con Maria, a quell’amore che fermava la pioggia e il dolore, ora che quell’amore era una strada nera e vuota.


 Non vedo niente, qui intorno. Tu mi afferri quando cado, mi afferri quando cado. Mi afferrerai? Perché sto cadendo qui intorno. Sono sotto il tiro della pistola, qui intorno. Sono innocente, sono sotto il tiro della pistola, qui intorno. Non vedo niente,niente, qui intorno (Round Here - Counting Crows).



Rientrò in casa, apparecchiò la tavola, si preparò del riso con un po’ di burro e mangiò senza pensare a niente. Dopo, accese la moka e rimase in attesa che uscisse  il caffè. Ne versò una tazza abbondante e andò a sdraiarsi sul divano indugiando prima di berlo perchè si freddasse un pò. Da quando aveva perso il lavoro, Maria non faceva altro che lamentarsi di tutto, di quella casa, della sua vita, di come non poteva più comprarsi un paio di scarpe e del suo immobilismo. “Voglio lavorare!”, gli gridava come se fosse lui ad impedirglielo. “Voglio lavorare!”, urlava, e velenosamente gli ripeteva: “visto che tu non porti più i soldi necessari”. Si sentiva sempre nel giusto, lei, anche con l’unico figlio che avevano avuto, si era presa la briga di decidere da sola qualunque cosa lo riguardasse. Tanto fu predominante nelle sue scelte, da escluderlo e, alla fine, anche come padre era stato un vero fallimento. Lui l’aveva lasciata fare per non ferirla, per non toccare i suoi sentimenti di madre protettiva. Ma adesso si rendeva conto che aveva sbagliato tutto. Adesso che era troppo tardi capiva che in tutti quegli anni i loro mondi forse non si erano mai incontrati davvero ed erano rimasti distanti mille miglia l’uno dall’altro. Hai preso una parte di me che mi manca realmente continuo a chiedermi per quanto ancora può andare avanti così hai mentito a te stessa; d'accordo cara, ho mentito a me stesso anch'io cerco di avvicinarmi ma sono ancora a un milione di miglia da te (Million Miles - Bob Dylan). Scostò la tenda e si mise a guardare fuori dalla finestra le persone che passavano. Si nascondevano dentro quell’aria di niente. Tutti quelli che passavano sembravano pronti a chiacchierare, a condividere la tua vita, ad ascoltarti. Invece no, le cose non andavano mai in questo modo, tutti erano pronti a farti la guerra con tutto quello che trovavano, che raccoglievano lungo la strada. miserie, odi, rancori. C’era un grande casino nella sua testa, talmente grande che sembrava gli volesse scoppiare da un momento all’altro. Senza un vero motivo, con le nocche delle dita picchiettò sul vetro. 

Ti decidi e scegli l’occasione da sfruttare,guidi fin dove la strada termina e inizia il deserto. Fuori, in strada, guidi fino a che fa giorno. Impari a dormire di notte con il prezzo che paghi (The Price You Pa y- Bruce Springsteen).



Era finita per lui l’era delle incazzature, dei calci, dei ceffoni sul viso. Era finita quell’epoca, voleva starsene tranquillo da qualche parte anche se non sapeva dove. Intanto che la pioggia si era messa a schizzare sui vetri, avviò lo stereo. Era da tanto tempo che non lo faceva più. Azionò il tasto del play e fece partire il disco. La musica s’infilò nella stanza, rimbalzò sulle pareti, montò sul soffitto e scese nel suo cuore. Ancora una volta. E come se dovessi dire “appena sarà amore…” ma non è tutto così facile, e forse dovrei metterla in un retino per farfalle, appenderla in un album di fotografie (Anna Begins - Counting Crows ). Si passò una mano sulla fronte e riempì nuovamente il bicchiere. Si era fatto scuro tutto in una volta nella stanza, la musica andava graffiando i suoi pensieri. Bisognava lottare, gli aveva detto qualcuno, bisognava reagire, tutte frasi già fatte, buone per la settimana enigmistica, ripetute milioni di volte, frasi di cui nessuno sa che farsene. La verità era che lui non aveva più voglia di lottare e di stare a sentire chiunque fosse. Volevo così tanto qualcun’altro oltre me che mi fissasse ma tu eri andata, andata, andata. io volevo vederti camminare a ritroso ed avere la sensazione che tornassi a casa. e volevo vederti andare via da me senza la sensazione che mi stessi lasciando solo (Time And Time Again - Counting Crows). Adesso l’organo era impetuoso, travolgente, ed altre immagini si materializzarono davanti ai suoi occhi. Non si può restare troppo tempo in un posto. Non si può, perché alla fine le cose, le persone, marciscono e iniziano a puzzare insieme a te.


 Si svegliò l’indomani nel tardo pomeriggio. Nella notte i suoi fantasmi erano andati a trovarlo con passi da lupo. Quando i ricordi ti inseguono ed hanno più gambe e fiato di te, è questo il prezzo da pagare per tutto il dolore che raccogliamo e ci portiamo dentro. Così, il resto della nostra vita diventa solo un incubo. Adesso però, che non c’era più nessuno, non aveva alcuna fretta. Ma poi a che serve avere fretta? Forse quando si è giovani, è spiegata con quella voglia di andare avanti. Quella voglia di arrivare al traguardo a tutti i costi, anche a testa bassa, spingendo, urlando, bestemmiando.  Ma ora che le cose sono diventate vuote e non ricordi quasi neppure il tuo nome, ora che devi fare l’acrobata sul trapezio e che cerchi l’ispirazione per vivere, per quale ragione devi accelerare? Forse perché in fondo alla strada c’è sempre un campanello da suonare o una luce d’accendere? forse è per questo? Ho ciondolato in questa città, in un angolo. Ho vagabondato per questa città troppo a lungo. Ho ciondolato in questa città, in un angolo. Ho vagabondato per questa vecchia città troppo a lungo. (Hanginaround - Counting Crows). Camminava con passi svelti, il buio si prendeva quel che restava del giorno con un abbraccio frontale, quasi fosse un danzatore di tango. Camminava,  camminava, e davanti a lui c’era solo l’ombra di se stesso. Quando finalmente fu sotto la luce della piccola lampadina del vagone, i suoi occhi marroni e sagaci apparvero spaventosamente spenti. Ce l’aveva fatta a saltare sul treno delle diciannove e quaranta. Sul quel treno diretto chissà dove. Ce l’aveva fatta per un pelo a saltarci su. Anche senza un saluto.  

Scendono e poi risalgono, le piume che cadono nella notte. Hai visto l’alba dell’Ohio? E’ durata quattro giorni e quattro notti. Tutto quel che voglio è qualcosa di bello. E’ sempre più difficile ogni volta. Lei dorme lontano da qui. Fai un respiro prenditi il tuo tempo apri le ali e sorgi (Four Days - Counting Crows).



Bartolo Federico    





domenica 7 aprile 2013

Sulle Strade Secondarie (prigioniero del blues)



Guidare mi era sempre piaciuto, specie quando non avevo mete da raggiungere e potevo tenere gli occhi incollati sull’asfalto e naufragare dentro le mie rovine interiori. Ma era anche un modo per staccarmi da me stesso e da quello che mi circondava innalzando le mie barriere di protezione. In quel pomeriggio dai colori opachi provavo quella sensazione. Guidavo con la radio spenta, accompagnato dal rumore della pioggia che era arrivata fredda e inaspettata picchiando con foga sul parabrezza dell’auto. Facevo strada e mi chiedevo perché mai le cose che mi riguardavano avessero preso da molto tempo ormai quella brutta piega. Certo non ero mai stato un tipo accomodante, di quelli che si mettono seduti in silenzio dopo un buffetto sulla guancia. No, non  ero mai stato quel genere di persona. Anzi, a guardarmi col senno del poi, ero stato anche fin troppo ribelle ma anche un ingenuo. Tanto che, per non impazzire del tutto, avevo dovuto saltare la staccionata infilandomi dritto dritto su quelle strade secondarie, intrise dalla polvere e battute da un venticello muto e solitario. Quelle strade ignorate, dimenticate dai più. Troppo scomode per percorrerle, se sei un turista, con quell’asfalto abraso dal tempo ma proprio per questo suggestive e struggenti. Quelle strade che ti restano incollate al cuore, fatte apposta per tutti quei pazzi allo stato brado che in questo mondo si sentono soffocare. 


La stanza dove alloggiavo aveva i muri screpolati e grandi chiazze di umidità negli angoli. Le tende di poliestere una volta bianche erano ingiallite e quasi trasparenti. Il copriletto di colore beige con grandi fiori rossi era una vera sciccheria che neanche a girare in un mercatino dell’usato  lo avresti trovato più. Un tavolinetto da picnic, una sedia pieghevole e un piccolo televisore in bianco e nero che non funzionava facevano l’arredamento. Una stanza senza troppi fronzoli, a modo suo anche rivoluzionaria,  nella sua semplicità. Una stanza che aveva visto alloggiare un’umanità di diseredati, di persone che dalla vita non pretendevano più nulla se non di starsene in santa pace con se stessi. Uomini soli che cercavano il modo per non finire omologati e di conseguenza anche di esistere. Tutto il tuo denaro riuscirà a comprare il perdono, a tenerti lontano dalla malattia o dal freddo? Tutto il tuo denaro ti proteggerà dalla follia? Ti terrà lontano dalla tristezza quando sei giù in fondo al buco?(Down In The Hole - Rolling Stones)
 

In quella camera con le pareti disegnate, scarabocchiate, imbrattate di frasi celebri, ma anche di espressioni senza senso apparente, respiravo le storie di quegli uomini che si erano dispersi nell’immaginario di un mondo troppo vasto, ma anche troppo crudele. Uomini bruciatisi in fretta, sovrastati dalla malinconia dei loro stessi sogni. Quella solitudine profonda che regnava in quelle quattro mura metteva a nudo quelle anime che ci potevo quasi parlare. Mi addormentai senza mangiare con la faccia rivolta alla finestra mentre gocce di pioggia entravano dall’infisso bagnandomi il viso. L’indomani un sole sparato filtrò dalla persiana svegliandomi. E quando schiusi gli occhi lessi quella frase che la sera nella penombra  mi era sfuggita. Qualcuno l’aveva scritta con una biro nera e con mano tremante ”ogni obbedienza è un’abdicazione”(Bakunin). Mi alzai dal letto di scatto ché ero pronto ad andare. Alle volte bisogna accontentarsi e prendere quel che capita per tirare avanti.


Uscito dal paese, proseguii diritto per un paio di chilometri, poi svoltai a destra e subito dopo a sinistra. Seguendo le indicazioni che un uomo fermo sul ciglio della strada mi aveva dato, mi ritrovai lungo quella via polverosa, stretta e tortuosa. Una stradina piena di buche e avvallamenti, affiancata da un ruscello ormai in secca. Una stradina davvero solitaria. Fu allora che ripensai a quella frase che avevo letto sulla parete della stanza, quella frase di Bakunin l’anarchico, che avevo scritto anch’io da ragazzino cerchiando una A sulla pagina interna della mia copia di On The Road. E non so spiegare perché mi venne in mente il villaggio dov’ero cresciuto io, mio nonno Sebastiano e tutti i miei amici del quartiere. Mi ricordai di quel senso del vicinato che avevano le nostre famiglie, del sentirci una comunità che ci rendeva davvero la vita speciale. La nostalgia arrivò e stringò il cielo limpido proprio dove due uccelli stavano svolazzavano e, intanto che riaprivo la pellicola dei ricordi sui visi di quelle persone, accesi la radio. Ebbene, sono così stanco di piangere. Ma sono di nuovo fuori in strada. Sono di nuovo in strada. Ebbene, sono così stanco di piangere. Ma sono di nuovo fuori in strada. Sono di nuovo in strada.(On The Road Again - Canned Heat)


Ascoltai un giornale radio e, mio malgrado, le previsioni del tempo. Dopo presi a seguire un dibattito politico sullo stallo governativo che si era verificato in seguito alle votazioni politiche. Ma tutto quello sbattimento mi suonava alquanto anomalo. Mio nonno e mio padre erano di pasta antica e da loro avevo appreso che una volta che stringi un patto, caschi il mondo, lo devi onorare. Un paese dalla memoria corta, il nostro. Tutto è concesso ai signori del potere e, abituati come siamo al vassallaggio, non ci si scandalizza dei loro misfatti. Il dibattito si fece sempre più rovente e basato sul nulla. Eravamo davvero un paese diviso, lacerato nel profondo, un paese di tifosi che sapevano farsi egregiamente del male, ma la partita che si giocava riguardava un’orda di persone senza lavoro e senza alcuna protezione sociale. Gente lasciata sola al proprio destino che, insieme ad un marea di giovani, era la, vittima sacrificale di quelle politiche, orrende e disumane, che i belzebù europei avevano dettato e che i politici senza scrupoli avevano messo in vigore. Ma adesso, come non era mai accaduto prima, una massa di disperati premeva sull’uscio del grande portone e questa volta si percepiva che qualcosa sarebbe accaduto. In un modo o nell’altro. E indispensabile che la gente sia ispirata ad ideali universali,che essi abbiano una generale idea dei loro diritti e una profonda appassionata fede nella validità di questi diritti. Quando quest’idea e questa fede popolare si uniscono alla miseria che porta alla disperazione,allora la Rivoluzione Sociale è vicina ed inevitabile e nessuna forza al mondo può fermarla.(Michail Bakunin)


Guidai per ore con la mente impegnata a mettere insieme i tasselli degli ultimi avvenimenti, accompagnato da qualche nuvola vagabonda e dalla musica di uno strepitoso John Mayall dell’album The Turning Point. Un disco senza batteria ridotto strumentalmente ai minimi termini e registrato al Fillmore di New York il 12 luglio 1969, insieme a Jon Mark, chitarra acustica, Steve Thompson, basso, e Johnny Almond, sax e flauto. Come un vero beatnik, Mayall da vita ad un set formidabile, suonando un blues fantasioso e pieno d’anima, mescolando jazz, strada e poesia che il tempo non ha corroso. Quel sentiero ad un tratto prese a salire. Il percorso era pieno di gobbe e curve a gomito. Nello specchietto retrovisore cumuli di polvere si alzavano al mio passaggio. Cosa hanno fatto loro per la terra? Cosa hanno fatto per la nostra sorella sempre giusta? Devastata, saccheggiata, strappata e colpita. Bloccata con pugnali dalla parte dove nasce il sole e bloccata da recinti e trascinata nella desolazione. (When The Music Is Over - The Doors)



Con Sal ci andavamo spesso sul monte Navajo. Così avevamo battezzato quel luogo da dove potevamo osservare dall’alto la città. Da quel punto sembrava che potessimo afferrarla e stringerla nel palmo della mano per poi farla sparire. Ci inerpicavamo in sella alla moto di suo fratello che utilizzavamo di nascosto quando lui era a lavoro e ci sentivamo liberi, con il vento che ci tagliava in due il viso, accelerando per quei tornanti e urlando con quanto fiato avevamo in gola: We want the world and we want it ..Now Now Now! Era il nostro urlo di liberazione intanto che bruciavamo e la pazzia iniziava a serpeggiare dentro di noi mentre ci “aprivamo come ragni tra le stelle(Jack Kerouac).

In quale inferno puoi andare lontano dalle cose che conosci, lontano dalle distese di cemento che continuano a serpeggiare mille miglia al giorno? Guardati ancora una volta alle spalle, dedica ciò alla memoria e ricorda: che non ti manchi questo deserto, questo luogo tremendo. Quando te ne vai lascia il cuore fuori dalle maniche. (Motherland - Natalie Merchant).



Io e Lucilla eravamo andati a vivere in un monolocale che avevamo affittato nella zona nord della città dove i prezzi erano più abbordabili per due squattrinati come noi. Entrambi eravamo studenti alla facoltà di scienze politiche e per mantenerci quell’alcova ci arrangiavamo con dei lavoretti nei fine settimana o dando lezioni private ad ore. Ma era pur vero che la madre di Lucilla veniva in nostro aiuto puntualmente ogni fine mese. I primi tempi le cose tra di noi andarono a gonfie vele, addirittura pensavo fosse la donna della mia vita. Poi, con il passare dei giorni, i nostri rapporti si incrinarono e divennero sempre più difficoltosi, a tal punto che quando ci si parlava non ci ascoltavamo. Una sera al mio rientro, trovai la tavola apparecchiata con la cena già pronta e un solo posto. Mi tolsi il giubbino e lo appoggiai sulla sedia, poi andai nella camera da letto. Lei era  sotto le coperte girata di fianco e non si voltò. Le chiesi se stava bene. Di rimando mi bofonchiò qualcosa del tipo che era tutto a posto.  Tornai in cucina e cenai. Mangiai molto lentamente e bevvi la bottiglia di vino per intero. Poi fumai una sigaretta. Mi guardai intorno e mi sentii un estraneo in quella casa. Ero dentro un mondo che non era il mio che non mi apparteneva più. Cercai un appiglio a cui aggrapparmi, non  trovai nulla. Davvero, non c’era niente che mi appartenesse in quel posto. Continuai a sbandare e sentii la testa girarmi, ma fu solo per un attimo. Mi accesi un’altra sigaretta. Ad un tratto lei apparve sull’uscio, mi guardò con gli occhi gonfi di lacrime e la faccia stravolta e disse “ci sono mille ragioni per odiare uno come te, ma anche per amarti. Ancora non ho ben capito quale delle due sovrasta l’altra”. Girò le spalle e ritornò a letto. Fu tutto. Non le risposi, non dissi nulla. Racimolai le mie cose ed uscii da quell’appartamento senza fare rumore. Senza farmi più sentire. Correvamo verso i sobborghi stringendo tra i denti la fede, dormivamo sulla spiaggia, in quella vecchia casa abbandonata, distrutti dal caldo, e ci nascondevamo nelle strade secondarie. Con un amore così difficile e pieno di sconfitte. Correvamo nella notte per salvare la vita, per quelle strade secondarie (Backstreets - Bruce Springsteen).


Mi sistemai a un tavolino che dava sulla strada ordinai un toast e un birra grande. Tirai fuori un libro dalla sacca e lessi qualche riga. Lo riposi quasi subito perché non riuscivo a concentrarmi. Bevvi altre due birre, pagai il conto ed andai via. Quali tracce di me stavo seguendo, mi chiesi mentre raggiungevo l’automobile.  Perché tutto era sempre così complicato?  Era proprio vero, per alcuni la vita non cambia mai di foglio. Quando ripartii, sgommando, erano le sei del pomeriggio e mi sembrò di essere come un ladro del mio tempo. Accesi la radio e la slide di Johnny Shines, un perdente pieno di dignità, mi colpì come un pugno nello stomaco. La sua voce tonante chiamò il buio e la disperazione, e mi ritrovai all’incrocio tra due strade, solitario e mesto. Come sempre prigioniero del blues.
 

Bartolo Federico