venerdì 30 novembre 2012

BARZIN Notes To An Absent Lover (2009)

Notes to an Absent Lover
 


Desperate in my sleep
Like I'd lost something
When I woke I found
It was just a dream
Dusk was coming down
The house makes no sound
Funny how a dream
It can make you weak

So I became the king
The king of all things weak
And I wrote a song
About all things I need
Will I have a house?
Will I be a star?
What would people think
If I didn't make it far?


Funny how a dream
It can make you weak
Just a simple dream
It can make you weak

Come back home Suzanne
Cos it's getting bleak
Your boy has become
The king of all things weak
Come back home Suzanne
Come and make it ok
It was simple dream I know
But it won't go away
It was simple dream I know
 But it won't go away.   
                                                                       

mercoledì 28 novembre 2012

Soffia Vento Soffia (la luna è nel rigagnolo)




E’ davvero piacevole un posto nuovo. Ci vuole un po’ perché la gente impari a conoscerti. Ed è di questo lasso di tempo che conviene approfittare per godersi un po’ la vita, perché dopo, statene certi, si daranno da fare per trovare un modo per fottervi. Gira e rigira, scopriranno la via da dove è più facile ferirvi. Il motel sulla strada 61 era messo, male sembrava cadesse a pezzi per come era ridotto. Ma ero troppo stanco per proseguire. Nel buio pesto della notte posteggiai l’auto ed entrai. Il proprietario, seduto dietro un bancone scalcinato, mi osservò attentamente e con fare indisponente mi chiese i documenti. “Dall’aspetto mi sembri un musicista”, disse, “sei venuto nel sud per il blues, vero?” e prosegui “quella tiritera è una rottura di coglioni, dopo due tre pezzi diventa noiosa sia ascoltarla, che suonarla. Lasciatelo dire da uno che se ne intende. Tutto il mondo adora i Beatles anche quel pazzo di Charles Manson, quella sì che è musica!” Doveva appartenere al Ku Klux Klan meditai, per cui restai in silenzio. Dalla sacca da viaggio estrassi il portafoglio e mi avvicinai al bancone. Sotto la luce fioca della lampadina gli tesi un documento e lo scrutai. Era sulla cinquantina di corporatura media. Portava capelli lunghi incanutiti, divisi da una riga nel mezzo, che gli ornavano degli occhietti chiari ed un naso acuminato. Il suo abbigliamento era anonimo come quello di un impiegato delle poste o del catasto, ma aveva dipinta sul volto un’espressione che esprimeva tutta la sua ostilità. Quella faccia mi ricordava qualcuno che avevo intravisto di sguincio tempo addietro in una piccola foto. Qualcuno che, come lui, allora avevo catalogato come una vera faccia di cazzo. Firmai il foglio delle generalità e agguantai la chiave della camera. Quando girai le spalle il tizio mi mormorò qualcosa dietro.Ero talmente stanco che avevo solo voglia di dormire e feci finta di nulla. 

In un pericoloso e pittoresco quartiere chiamato Deep Ellum a Dallas in Texas nel 1920, accompagnato da un adolescente T-Bone Walker che gli regge la lattina per le offerte e custodisce gli incassi, si aggira suonando agli angoli delle strade il cieco bluesman Lemon Jefferson. Non temete gente avvicinatevi ad ascoltare quest’uomo. Non vi restituirà lo sguardo i suoi occhi sono solo bulbi, ma è con il cuore che vi parlerà. La sua tazza ogni giorno si riempie di elemosina, straripa di soldi, fa buoni affari quest’uomo rissoso, puttaniere e ubriacone. E’ lui il primo cantautore della storia del blues. Ed è dotato anche di una grande abilità nel suonare la chitarra. Disegna fraseggi irregolari dilatando l’assetto ritmico della canzoni e costruisce complicate strutture armoniche. Sa anche improvvisare, arricchendo il suo blues con accenni jazzistici. La sua voce, poi, è alta e chiara, ha vigore, proviene direttamente da quei binari dell’anima raschiati dal dolore.  O la sua strada è oscura e solitaria. non guida nessuna Cadillac. O la sua strada è oscura e sacra. Non guida nessuna Cadillac. Se quel cielo gli serve come occhio. Allora la luna è una cataratta (Nick Cave - Blind Lemon Jefferson). 

Quando non hai più niente da perdere puoi incominciare da dove vuoi. La strada è lì che  aspetta. Memphis Slim lo aveva cantato che ”devi piangere un poco, morire un poco” per capire cos’è il blues. Colpi di pistola, bottiglie di bourbon, case abbandonate, desolazione, vecchi bar, cocci di vetro, viali alberati, muri scrostati. Polvere e cielo. Chitarre da due soldi, melodie soffocate in un lamento notturno. Due monetine, una è per te, una è per i sogni. Tre anni bastarono a Lemon Jefferson per diventare uno dei musicisti più importanti del country blues. Un centinaio di titoli, registrati tra il 1926 e il 1929, lo fecero assurgere a cantante di successo nell’America dei neri insieme alle regine di quel tempo Bessie Smith, Gertrude Rainey e Ida Cox. Fu anche  il primo, insieme a Gertrude Rainey, a figurare sull’etichetta dei suoi dischi. Pur cieco, Lemon Jefferson trovò sempre la strada di casa, ma non la notte in cui si perse in una tormenta di neve e mori. Di lui ci restano le sue canzoni e quell’unica foto arrivata fino ai nostri giorni che ci mostra un uomo robusto di età indefinibile con gli occhialini da vista su due pupille agghiacciate dal buio
.
 La sera dopo il mio arrivo me ne sono andato per come  sono arrivato, da quel motel e dal signor Charles, un vero uomo bianco del sud, uno con una voce tremenda, che ogni volta che apriva bocca sparava cazzate. Glielo dissi sull’uscio della porta prima di sparire. “Quando ti viene il blues è il cuore che parla;  veda di trovarlo da qualche parte, il suo, signor Charles! Perché io questa notte ho una stella nel cielo che mi segue, che brilla. E, nascosti da qualche parte nell’oscurità, ci sono pure due  occhi che mi guardano e mi fanno luce. E se la luna è nel rigagnolo, io non ho paura, signor Charles! No, non ho paura, c’è il cieco Lemon Jefferson accanto a  me”. Sorse il gran vecchio sole del mattino. lunghe erano le ombre degli alberi. Proprio dal ramo a cui avevo appeso la chitarra (Blind Lemon Jefferson - Nick Cave).

Sono dentro un sole accecante, in un giorno vestito d’estate, anche se sono i primi di maggio. Mi ero riempito gli occhi e l’anima di vento e polvere e avevo guidato tutto il tempo, accompagnato dal blues suonato da un bianco. Un vocalist, ma anche bassista e armonicista un certo Paul Williams. Il tizio possedeva un buon pedigree, aveva suonato con Alexis Korner e Georgie Fame prima di far parte dei Wes Minster Five, un gruppo che suonava R&B. Nel 1964 fece parte della Big Roll Band guidata da Zoot Mooney con cui registra due album. Poi sostituisce  John McVie nei Bluesbreakers  quindi per un paio di mesi suona con il grande John Mayall. Dopo, fa altre cose, più o meno importanti, fin quando nel 1973 registra in Memory of Robert Johnson. Il manager dei Kinks, Nigel Thomas, gli supporta il progetto, mentre  la casa discografica svedese Sonet accetta di registrare l’album. Nel disco ci suonano fior di musicisti: Bob Hall al piano, Glenn Campbell alla steel guitar, Spencer Davis, Alun Davies, John Mark e Mick Moody alle chitarre e Pat Donaldson al basso. Paul Williams si mette sulle strade del diavolo con umiltà e passione, sapendo  bene che c’è un abisso tra lui e quel nero, che non potrà mai agguantarlo. E tuttavia, il blues che ne esce fuori suona sincero e penitente, la sua voce graffiante ha energia e creatività, che quasi mi vien voglia di abbracciare il mondo e andarmene in paradiso. Ma sono solo e sperduto qui nell’inquieto Delta. Ci ho delle pietre sul mio passaggio e scuro come notte è il mio tracciato. (Stones In My Passway -Robert Johnson)

Mi  fermo alla pompa di benzina per fare il pieno, prendo anche un caffè dalla macchinetta a gettoni e scambio quattro chiacchiere con il benzinaio. Dopodiché me la filo tuffandomi su una strada che spiana la strada. Sembra che ce le siamo sposate le nostre pene, non le molliamo mai. E allora si finisce anche per amarle un po’. La musica di Big Bill Broonzy riempie l’abitacolo, il suo blues, anche se non è straziante come quello di Lemon Jefferson o di Son House,  non ha nulla di meno. Broonzy canta con voce tonante e dolente. In più, ha quel riso amaro che ti vien fuori quando ti senti oppresso. Se è vero che le nostre verità le troviamo solo di notte, è anche vero che alle volte non ci accorgiamo neppure di cosa siamo diventati e di come il tempo ha cambiato tutte le nostre prospettive. Frank Broonzy era un diacono della chiesa battista ed era severo con i suoi figli, non permetteva loro di pescare di giocare a biglie la domenica, nè soprattutto di cantare il blues. Se avesse saputo che suo figlio un giorno sarebbe diventato un chitarrista del diavolo, probabilmente gli sarebbe venuto un colpo. Affinché questo non accadesse e per dissuaderlo da ogni tentazione, gli raccontava spesso la storia di un ragazzo che si era seduto sui gradini della chiesa a fischiettare il blues. Un uomo gli si era avvicinato rimproverandolo e con il dito teso gli aveva detto ”ragazzo, domani sarai di nuovo su questi gradini, ma non fischierai”. Il giorno dopo il giovane fu trovato morto su quegli stessi scalini. 

Accidenti! E’ bastato un attimo di distrazione che sono finito su una strada secondaria che sobbalza, si ingobbisce, s’inerpica. Una di quelle strade in terra battuta, piena di sterpi, che costeggia un torrente completamente asciutto. E non so perché adesso mi sento finalmente libero mentre vago sotto i cieli del sud. 

Aveva fatto il bracciante Big Bill e guidato il mulo mentre attorno a lui l’atmosfera era stracarica di musica. Quando un violinista chiamato See-See Rider gli fece ascoltare delle canzoni rurali, gli si accese dentro il fuoco sacro del blues. Dall’esempio di quel musicista anche lui si costruisce un violino, utilizzando una scatola di sigari  e, con una più grande, una chitarra e inizia a strimpellare le canzoni che See-See Rider gli insegna. Suona di nascosto alla sua famiglia ed è costretto a occultare gli strumenti sotto le assi del pavimento perché sua madre voleva che diventasse predicatore. Se non ci fosse stato Big Bill Broonzy, molti neanche se ne sarebbero accorti dell’esistenza del blues. Young Big Bill Broonzy 1928-1935 è la più bella collezione di canzoni di questo magnifico chitarrista, troppe volte bistrattato solo perché il suo eclettismo musicale era di difficile categorizzazione. E se qualche volta, come è capitato, ha ecceduto nelle moine musicali, è stato solo per la paura di rivivere la grande povertà che lo aveva segnato. Sfido chiunque a fare il contrario. Il Delta non è solo un posto geografico, è pure uno stato dell’anima. Questo penso  nel momento in cui sto attraversando una Ghost Town, fatta di sole cinque case . Il cielo è diventato grigio e, ad un tratto, mi prende uno strano smarrimento. Allora ripenso a quello che mi ha detto un giorno Jack, il mio vecchio amico Kerouac: ”viviamo per desiderare, così io desidererò, e scenderò giù verso altri luccichii altrove”. Il diavolo possiede tutti i trucchi per tentarci. Se si vivesse così a lungo da conoscerli tutti, quei trucchi, non si saprebbe più dove andare, per ricominciare con la felicità. Avevo ancora molta strada da fare, camminando nella malinconia. Con la polvere negli occhi e i buchi nelle scarpe. Ho appeso al chiodo i finimenti. La vecchia tuta ho gettato via. Ho detto addio alla vecchia zappa. Big Bill non tornerà mai più (Big Bill Broonzy). 

Bartolo Federico






domenica 25 novembre 2012

B.B. King – The Life of Riley (2012)

CD:1
1. Walking Dr. Bill (Live on ‘GTK’ Australia, March 18, 1974) [05:21]
2. Nobody Loves Me But My Mother [01:27]
3. I’ll Survive [02:41]
4. To Know You Is To Love You [08:37]
5. Paying The Cost To Be The Boss [02:34]
6. Miss Martha King [02:43]
7. 3 O’Clock Blues [03:02]
8. You Know I Love You [03:06]
9. Sweet Little Angel [03:14]
10. Catfish Blues (Fishin’ After Me) [02:34]
11. Every Day I Have The Blues (recorded live at The Regal Theatre) [02:38]
12. How Blue Can You Get? (recorded live at The Regal Theatre) [03:38]
13. Chains And Things [04:55]

CD:2
1. The Thrill Is Gone [05:25]
2. Hummingbird [04:38]
3. Caldonia [04:00]
4. Sweet Sixteen (Live in Africa, 1974) [06:11]
5. Hold On (I Feel Our Love Is Changing) [04:10]
6. When Love Comes To Town [04:19]
7. Riding With The King [04:25]
8. Messy But Good [02:36]
9. Worried Dream [02:55]
10. Precious Lord [03:23]
11. On My Word Of Honor [02:56]
12. Tired Of Your Jive [02:11]
13. Think It Over [02:50]

Omar & The Howlers – Too Much Is Not Enough (2012)

           Un album tributo al grande Jimmy Reed con la  Blues Harmonica  di Gary Primich.

martedì 20 novembre 2012

Soffia Vento Soffia (sui miei diavoli blu)



Perché nasconderlo? Ascoltare certa musica mi è venuto sempre complicato. Con i Beatles, ad esempio, non sono mai riuscito ad entrare in sintonia. Eppure ho cercato di scrollarmi di dosso  quei pregiudizi che in qualche modo, e mio malgrado, avevo alimentato nei loro riguardi. Fra i tanti, il solo fatto che piacessero a mia sorella bastava  per farmeli stare sulle palle. Ma avevo deciso di fare il musicista e non potevo permettermi di avere i paraocchi di fronte ad un gruppo considerato fondamentale per l’evoluzione del pop - rock. Così un giorno acquistai tutti i loro dischi e qualche libro  a loro dedicato ma, per quanto armato di questi buoni propositi, naufragavo sempre dopo l’ascolto di un paio di canzoni. Mi rendevo perfettamente conto che ero tra i pochi al mondo a non riuscire ad amare una band che ha fatto impazzire milioni di persone.  Nel buio della mia stanzetta mi chiedevo come potesse accadermi questo? C’era sicuramente qualcosa in me che non andava. Sentenziai che ero affetto da dissonanza cognitiva e mi comportavo come la volpe con l'uva, quella della favoletta di Esopo. Vado avanti a stento nel desolato inverno tempestoso. E non c’è amico che ti dia una mano. Cerca di fermare le onde dietro i globi degli occhi. Butta giù le tue pasticche rosse verdi e blu.(Sweet Virginia - The Rolling Stones)  

La mia casa è nel Delta, cantava Muddy Waters in Folk Singer, album acustico pubblicato nel 1964. In quel disco suonavano anche Willie Dixon, Buddy Guy e Clifton James. Mentre il blues cola, i fantasmi del Mississippi fanno a gara per venir fuori da quei solchi. E ti sembra quasi di vederlo il piccolo Muddy nella piantagione di Stovall, nei pressi di Clarksdale, giocare davanti a quella baracca di legno dall’aspetto miserevole. E pure di scorgere sua nonna (con cui era cresciuto dopo la morte della madre, avvenuta quando aveva solo tre anni.),  che con quel caldo insopportabile fa il bucato e continua a lavorare imperterrita, nonostante lo stuolo di ragazzini che, gironzolandole intorno, ne combinano una più del demonio. Quella donna ha un sorriso bonario e li guarda amorevolmente, anche quando esausta si siede sotto l’ombra del sicomoro, mentre quei diavoletti proseguono a ribaltare sedie, a inseguire le galline e a ruzzolarsi nella polvere. Se lo ricorda, Muddy Waters, il Delta. Si ricorda, eccome, di quando lavorava per 50 centesimi al giorno nei campi di cotone o di quando andava a tuffarsi nelle acque paludose del Grande Fiume. E si ricorda di quel senso di frustrazione che si portava nel cuore, al calar della sera quando andava a dormire. Ma anche la folgorazione di vedere Son House e Robert Johnson suonare il blues. Questo disco è intriso di quei fantasmi ed a loro è dedicato. Quando il treno è arrivato in stazione l’ho guardata negli occhi, quando il treno è arrivato in stazione l’ho guardata negli occhi beh mi sentivo così triste e solo che non potevo evitare di piangere (Love In Vain - The Rolling Stones).

“A cosa sono serviti i miei studi?”, si chiede il ragazzo mentre cerca di non cadere a terra dopo le manganellate del tutto gratuite che ha ricevuto dai poliziotti. Piegato per il dolore ha il tempo per pensare “se in quest’attimo passasse Pasolini, glielo griderei in faccia che i poliziotti non sono figli del popolo, ma della borghesia. È loro e quei privilegi che stanno difendendo, anche se a pagargli lo stipendio sono le tasse e i sacrifici dei miei genitori operai. Si fatica in tutto, oggi. Anche a disgustarsi per quello che ci stanno facendo. È in atto una catastrofe”, continuò a pensare il ragazzo appoggiandosi al muro e vomitando. “Hanno consegnato il mondo a vampiri del denaro che impunemente ci stanno schiacciando gli uni contro gli altri. Nel  silenzio più assordante che ci sia mai stato, in uno sterminio, complici i media e quella classe politica che un tempo affermava di schierarsi con i più deboli, con gli ultimi della fila. Ma sono proprio loro quelli che gli hanno dato il benestare e ancora più forza, affinché questo scellerato progetto andasse in porto. E adesso come sempre a ridosso delle elezioni, faranno finta di amarci, di vezzeggiarci,di difenderci come se esistessimo. Ma sono solo dei falsari. Non accorgersi del loro sporco gioco è avere gli occhi bendati e le orecchie turate. E’ una nuova società quella che stanno plasmando, fatta di burattini che non si devono ribellare alle loro leggi,alla loro disumana precarietà. E’una nuova società di schiavi del lavoro, da spremere come bestie. Questi fautori del libero mercato, con lo stipendio e il vitalizio di Stato. Siamo stati venduti sull’altare dello spread e del debito pubblico, cose inesistenti inventate ad arte. E’ una piccola borghesia fascista che ci governa (di cui il primo ministro è la faccia più meschina e rassicurante) che si sta ancor più organizzando e, come sempre ha fatto, cerca di eliminare i creativi. Non hanno bisogno di intelligenze, ma di persone che abbassino la testa. Ma ci diranno che lo fanno solo per noi, per salvarci dal baratro. Da che mondo è mondo, i ricchi non possono occuparsi dei poveri, perché li fotteranno sempre a quest’ultimi. Adesso quel che l’occhio vede e la mano tocca è duro come la pietra . Ed è questo il futuro a cui ci hanno affidato”. Ma vieni dai dolce Virginia. dai dolcezza ti prego. Dai, dai ce l’hai in te. devi scrollarti quella merda dalle scarpe.(Sweet Virginia - The Rolling Stones)

Era, invece,  pieno di speranze il giovane Joe Cocker, in arte Vance Arnold, quando a soli quindici anni iniziò a cantare nella sua città natale con il gruppo degli Avengers. Dopo quella prima esperienza formò altre band, The Big Blues e The Grease Band, anche se nessuna di queste formazioni ebbe un riscontro commerciale. Per quello dovette aspettare il suo primo singolo che fu la cover di un brano dei Beatles I’ll Cry Instead, dall’album A Hard Day’s Night. Il brano in questione lo fece conoscere ad una più vasta platea e gli aprii la strada per inserirsi nel giro giusto. Ma il successo, quello vero, che lui ostinatamente cercava, arrivò nel 1968  e fu sempre un'altra cover dei Beatles ad assicurarglielo. Il brano era  With a Little Help from My Friends dall’album Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band. Lo accompagnava alla chitarra solista un giovanissimo Jimmy Page. La sua versione del pezzo è fantasmagorica, Joe canta con una  voce ubriaca e impastata di fumo che sembra sempre sul punto di spezzarsi per come la spinge fuori dall’ugola. Musicalmente poi la rende talmente personale che non sembra neppure un brano dei Baronetti di Liverpool. Nel 1969 si esibisce al festival di Woodstock ed è lui la vera rivelazione. Sul palco si contorce come se da un momento all’altro debba avere una crisi epilettica e canta con una passione fuori dal comune. Alla fine il pubblico impazzisce per questo gallese e lo acclama. Forte di questo successo, nel 1970, insieme ai Mad Dog And The Englishmen, parte per un lungo tour americano messo in piedi da Leon Russell, il suo “padrino” artistico. Le due serate al Fillmore East di New York vengono immortalate in un doppio album. Un live che è la dimostrazione che lui è una vera anima blues. Rabbia, feeling e grande personalità vengono fuori dalle sue interpretazioni di brani pescati nel repertorio di Dylan, Stones, Leonard Cohen, Otis Reeding, ecc... che fanno di questo album il degno epitaffio di un momento magico che purtroppo non si ripeterà mai più nella sua carriera. Prende tutto Joe Cocker in quel tour, soldi, donne, amore, pace e sballo ma, alla fine, ne uscirà completamente distrutto. Tuttavia, quando il freddo vi penetra le ossa e cala l’oscurità e siete in cerca di un po’ di calore, sapete anche voi adesso dove andare ad accucciarvi. Ho incontrato a Memphis una di quelle reginette da bordello fradicia di gin. Ha cercato di rimorchiarmi di sopra per una scopata. Ha dovuto portarmi sulle spalle. visto che neppure bere mi fa dimenticare di te. Queste sono le donne dell’honky tonky. Dammi, dammi, dammi i blues dell’honky tonk (Honky Tonk Women-The Rolling Stones). 

Chissà se ci sarà mai il giorno della rivincita disse il vecchio bluesman. Chissà dove si dovrà andare a scovare dei nuovi sogni. Forse occorrerà tornare nel cuore del Delta, dove i campi sono verdeggianti e si estendono a perdita d’occhio sotto il cielo azzurro smaltato. La Route 61 è acciaccata e piena di buche e di sogni infranti, ma è sempre li che aspetta chiunque voglia mettersi in gioco. Sono troppo vecchio figliolo, troppo vecchio e stanco per ripartire. Allora prendili tu questi miei blues e portali fin nell’orecchio del mondo e falli sentire a chi ha il cuore carico di disumanità, falli ascoltare notte e giorno. Gridalo che non ci sono solo le ragioni dei soldi, ci sono anche le ragioni dell’anima. E raccontagli, ragazzo, come ci si sente ad avere il blues nel cuore. Raccontaglielo. (continua)

Bartolo Federico 

 

Graham Parker & the Rumour – Three Chords Good (2012)


venerdì 16 novembre 2012

Ai Margini Della Città


Stavo mettendo un po’ d’ordine alla mia perenne confusione cercando di sistemare i giornali musicali che in oltre 30anni ho conservato quando una copia del Mucchio Selvaggio con Springsteen in copertina (numero 42 anno 1981) è saltata fuori. Il nastro dei ricordi si è riavvolto e magicamente seduto li in terra in mezzo alla polvere delle cose che stanno in soffitta ho riaperto quel numero che raccontava del concerto all’Hallenstadion di Zurigo. Lo ricordavo perfettamente quel reportage di Zambo parola per parola anche perché se non ho mai visto Bruce dal vivo in parte è colpa di quel meraviglioso resoconto. A quel tempo insieme alle canzoni di Bruce, Clash e Tom Waits, il Mucchio è stato la mia giacca per il freddo.

Oggi, rileggendolo, ho pianto come in quella mattina. "Lacrime sulla città, Bad Scooter cerca il suo buco ed io sono solo, assolutamente solo, e non riesco ad andare a casa."

A 18 anni quella mattina di Giugno sarei dovuto andare a scuola, ma passando dal tabacchi-edicola l’unico posto dove arrivava il Mucchio lo vidi appeso con la molletta da bucato che penzolava nel vento. In copertina c’era Bruce e Big Man per cui non ci pensai due volte a fare colletta dato che di soldi non ne avevo. Ma allora la gente era generosa e in breve tempo raggiunsi la somma necessaria comprai il giornale e mi incamminai verso il porto. Mi sedetti sugli scalini del molo dove alcuni anziani stavano pescando. Rimasi lì tutta la mattinata leggendo e rileggendo quel racconto guardando le navi e lo stretto di Messina mentre le lacrime mi inondavano il viso. Poi bighellonai senza meta per la città, andai alla stazione a guardare i treni e poi al bar del porto, dove mi conoscevano tutti quelli che lo bazzicavano. Non erano stinchi di santo, ma erano buoni con me. "Vagai solitario per una zona radioattiva e ne usci con l’anima intatta. Mi nascosi nell’ira della folla ma quando mi dissero “siediti” io mi alzai. Ooh..crescevo".

 Bruce lo conobbi per caso spulciando le copertine in un negozio di dischi che si chiamava Parametro. Mi ritrovai in mano la copia di Darkness on the Edge of Town e fu un colpo al cuore. Guardavo quella faccia dura e spigolosa, irriverente e malinconica, guardavo quel teppista ed era come guardarmi allo specchio. Ma, come al solito, soldi non ne avevo. Quindi nascosi il disco nel reparto della musica classica per sottrarlo ad un eventuale compratore, perché di copia ce n’era una sola.Non sapevo neanche chi fosse quel tizio dal cognome impronunciabile, ma quella faccia mi aveva detto tutto, tutto quello che c’era da sapere.

Conoscendomi sapevo che avrei trovato il modo per racimolare il denaro, mi serviva solo un po’ di tempo. Il mio amico Sal (come Dean) mi venne in aiuto pochi giorni dopo. Trovò un lavoretto che avremmo fatto di domenica, si trattava di un trasloco. Ci spezzammo la schiena quel giorno, dalle sei del mattino alle undici della sera a trasportare una montagna di scatole, mobilia, suppellettili che non servivano a nulla, ma si sa la gente ama circondarsi di cose inutili. Alla fine della giornata ero distrutto, ma avevo i soldi in tasca ed era quello che contava. 
 "Di primo mattino suona il fischio della fabbrica l’uomo si alza dal letto, si veste prende il suo pranzo ed esce nella chiara luce del mattino. È vita, vita, niente altro che vita di lavoro." L’indomani il negozio che si trovava vicino alla scuola che frequentavo era aperto già di buon’ora dato che vendeva anche articoli di cartoleria, per cui, prima di entrare in classe, comprai il disco che misi dentro la carpetta da disegno che ogni studente che frequentava il tecnico geometri doveva avere. Quelle sei ore di lezione furono lunghissime. Di tanto in tanto sbirciavo la copertina cercando di memorizzare quel cognome, ma continuavo a fissare il volto, ero ipnotizzato da quello sguardo. Ero prigioniero, mi sentivo soffocare cercavo la mia strada, ma qual’era la mia strada. "Tutto mi sembrava un vicolo cieco il r’n’r arrivò in una casa dove non esistevano né musica nè libri né qualunque scampolo di creatività, e s’infilò ovunque. "

Suonai quel disco a tutto volume per giorni. Ero il terrore del vicinato, tutti si lamentavano con i miei genitori ma a me non dicevano nulla; di certo il mio aspetto e il mio sguardo faceva la differenza, cosi evitavano di affrontarmi. Alla fine non dissero più nulla, deposero le armi e di certo mi odiarono. Quelle canzoni le mandai giù a memoria. Ogni nota, ogni passaggio lo conoscevo perfettamente.

Quelle canzoni erano state scritte senza filtri senza veli, dopo Woody era la voce della classe operaia, di chi aveva perso tutto; era la voce dei perdenti, dei ribelli sognatori a cui ridava dignità, rispetto, speranza. Sì, la speranza di credere in se stessi, che non è cosa da poco. Sei nato con nulla e cosi sei felice. Appena hai qualcosa mandano qualcuno per cercare di portartela via.

Nessuno, tolti i Clash, dopo DARKNESS è riuscito a cantare quei temi con quella violenza e quel romanticismo disarmante perché certe cose non vengono dal nulla ma ti abitano dentro; dopo sarai libero di respirare, l’angoscia se ne andrà, svanirà nel buio e pagherai un prezzo perché c’è sempre un prezzo da pagare.

Bruce non le canterà mai più con quell’ intensità che aveva nel tour del 1978, non avrebbe mai più potuto farlo. Ma da lui in quei giorni imparai a lottare e a non arrendermi mai." Le illusioni ti indeboliscono i sogni e le possibilità invece ti rendono forte".
Sono cresciuto nella periferia nord della città, in una valle dove c’era una sola strada e la Fiumara (il mio fiume). Ero circondato da alberi di limoni e mandarini e c’era una grande gebbia dove d’estate mi tuffavo insieme alle rane, ai girini e al lippo (muschio), dopo aver giocato scalzo al pallone con 40 gradi di temperatura (perche un paio di scarpe da calcio non le ho mai avute). Con il mio amico Pino andavamo a caccia di tiraombra e a mangiare le nespole e le ciliege dagli alberi ed avevo sempre un cane randagio con cui dividere il mio panino con il pomodoro, e c’era mia madre affacciata al balcone.

Ho imparato a tenere la guardia alta e a difendermi dai più furbi. Ho fatto a botte, ne ho prese e ne ho date. E’stata dura a volte, ma crescevo solitario e forte. "Sono un perdente su questo percorso." Sto morendo, ma non posso tornare indietro perché dall’ombra sento invocare il mio nome e ti accorgi di come ti hanno giocato questa volta. Sono tutte menzogne, ma sono impigliato nei fili di ferro di queste strade di fuoco."

Molto presto mi resi conto che non avrei avuto molte possibilità per la mia vita se non quelle già tracciate da altri: prendevi un diploma poi, facendo le giuste anticamere, ovvero leccando il culo al politico di turno, potevi finire a fare l’impiegato alle poste o in ferrovia o prendere il posto di tuo padre, se era stato servizievole con il suo padrone. Se decidevi di fermarti alla terza media finivi a fare il manovale o a vendere la frutta per strada. Io di leccare il culo non ne ho mai avuto voglia pertanto ero in fuorigioco ero una scheggia impazzita in un sistema perfetto a renderti una nullità. Il il rock mi ha salvato la vita, Bruce mi ha salvato la vita.

Sono andato giù al fiume e mi sono giocato il tutto per tutto da solo con le mie forze." C’è chi nasce sotto una buona stella e chi invece la buona stella se la procura in qualsiasi modo".

The River me lo regalò, mesi dopo l’uscita ufficiale, mio cugino per il mio diciottesimo compleanno. Nel frattempo Zambo, sul numero 35 (nov. 1980) del Mucchio, scaldò i motori, non pago della recensione, con un articolo e un paio di testi tradotti. Sulla copertina del disco c’era sempre lui, ma stavolta era un Bruce agreste, non più metropolitano da bassifondi. Con camicia a scacchi e il viso sicuramente più rilassato sembrava un novello John Fogerty. “The River”, al di là delle apparenze, è un disco di canzoni folk vestite di rock. Canzoni che si possono suonare con una chitarra acustica. A differenza di quelle di “Darkness”, disperate,  elettriche fino al midollo.

Quando finalmente arrivò sul piatto del mio piccolo HI-Fi fu una festa di paese, la mia casa si riempi di amici. Avevo fatto proseliti anche nel vicinato, curiosi di ascoltare una musica diversa da quella che passavano in radio. In quei giorni d’estate del 1981, complice il fatto che i miei genitori partirono per andare a trovare una zia, bevvi birra a fiumi e fumai come un turco ascoltando uno dei migliori dischi di sempre. “Wreck on the Highway” è una ballata folk, di tre accordi, struggente e bellissima, una delle migliori di questo gigantesco doppio; è la fine di The River e l’inizio del capolavoro “Nebraska”. “A volte mi sveglio nell’oscurità e osservo la mia bambina mentre dorme poi mi metto nel letto e la stringo forte. Rimango li la notte pensando ai rottami sull’autostrada”.

Quel concerto lo avevo sognato, lo sentivo nel profondo che quella era l’occasione di vedere il mio Bruce, ma al solito dovevo fare i conti con le mie possibilità, che erano uguali a zero. Quando quel giorno lessi la diretta del concerto di Zambo, capii che quella magia doveva essere irripetibile. Avevo perso la mia occasione; dopo non sarebbe stato più lo stesso.

Arrivò “Nebraska” e poi i giorni di gloria. Cosi, al bivio, me ne andai per le mie strade blu, in cerca delle mie possibilità come lui mi aveva insegnato.

A volte il vecchio fuoco si è riacceso. Penso a “The Ghost of Tom Joad”, a “41 Shots”, “Devils &Dust”. Ma quando ho voglia di rincontrare il mio vecchio amico è sempre al fiume che scendo, al buio, ai margini della città. “La porta a vetri sbatte il vestito di Mary svolazza come se fosse una visione, balla sotto la veranda mentre la radio suona con Roy Orbison che canta per le persone sole”.

Telefonai a mia madre da una cabina telefonica, verso l’una, per tranquillizzarla, sapevo che era in pena per me, mi vedeva smarrito e silenzioso. Verso le otto di sera andai alla fermata dell’autobus ed aspettai il sette sbarrato per far ritorno a casa. Quando scesi alla fermata vicino la chiesa alzai gli occhi e la vidi affacciata al balcone. Anche lei mi vide e rientrò in casa. Mi incamminai lentamente sali le scale del palazzo e suonai il campanello. Lei venne ad aprirmi e con la sua ruvida dolcezza mi chiese dove fossi stato tutto il giorno. Senza neanche stare a pensarci gli risposi: “A Zurigo mamma”. Mi guardò sorniona e pensando che la stessi prendendo in giro mi rispose: "Ed io a New York!". Le sorrisi e l’abbracciai e fu la prima volta che lo facevo.

Messina 30 GIUGNO 2010 BARTOLO FEDERICO



Dan Penn – The Fame Recordings (2012)

  • Keep On Talking
  • Feed The Flame
  • Far From The Maddening Crowd
  • Uptight Good Woman
  • Come Into My Heart
  • Don't Lose Your Good Thing
  • Come On Over
  • Rainbow Road
  • Unfair
  • The Thin Line
  • I Need A Lot Of Loving
  • Take A Good Look
  • Strangest Feeling
  • Power Of Love
  • It Tears Me Up
  • I Do
  • Everytime
  • Do Something (Even If It's Wrong)
  • You Left The Water Running
  • Slippin' Around With You
  • (Take Me) Just As I Am
  • I'm Living Good
  • Long Ago
  • The Puppet aka I'm Your Puppet