venerdì 25 luglio 2014

Eric Clapton – Eric Clapton & Friends: The Breeze (An Appreciation of JJ Cale) (2014)

Tracklist:
1. Call Me the Breeze (03:06)
2. Rock & Roll Records (feat. Tom Petty) (02:19)
3. Someday (feat. Mark Knopfler) (03:48)
4. Lies (feat. John Mayer) (03:06)
5. Sensitive Kind (feat. Don White) (05:17)
6. Cajun Moon (02:27)
7. Magnolia (feat. John Mayer) (03:41)
8. I Got the Same Old Blues (feat. Tom Petty) (03:02)
9. Songbird (feat. Willie Nelson) (02:55)
10. Since You Said Goodbye (03:00)
11. I’ll Be There (If You Ever Want Me) [feat. Don White] (02:36)
12. The Old Man and Me (feat. Tom Petty) (02:56)
13. Train to Nowhere (feat. Mark Knopfler & Don White) (04:51)
14. Starbound (feat. Willie Nelson & Derek Trucks) (02:03)
15. Don’t Wait (feat. John Mayer) (02:46)
16. Crying Eyes (feat. Christine Lakeland & Derek Trucks) (03:30)

lunedì 21 luglio 2014

In Fuga Sulle Strade Del Rock



Quella congrega di matti che erano le Mothers Of Invention avevano finito di provare. Lowell George chiamò Frank da parte e gli chiese se era disposto ad ascoltare una canzone che aveva scritto di recente. Dopo che ebbe il suo assenso, Lowell imbracciò la Martin D35 che era nello studio è suonò “Willin”. Zappa lo seguì con molta attenzione, poi quando ebbe finito si avvicinò e gli bofonchiò: Credo che faresti bene a mettere su una tua band”. Questo fu quel che gli disse Frank. Era chiaro che temeva molto la rivalità di quel musicista che suonava la chitarra slide come se avesse dentro uno spirito del delta blues reincarnato e che ora si era  messo a scrivere grandi canzoni. Allontanarlo era la migliore soluzione perché prima o poi avrebbe finito con l’oscurarlo e per un uomo dal forte ego come Frank passare in secondo piano era inaccettabile.


Cosi insieme a Billy Payne alle tastiere, Richie Hayward alla batteria e Roy Estrada al basso, Lowell George a Los Angeles dà vita ai Little Feat, nome ispirato da una battuta di Estrada sul suo piede piccolo. “Little Feat” è il disco di debutto di Lowell George più che quello di una band, ed è un disco “punk” per l’urgenza creativa con cui è proposto. Un album da sottoscala del rock pieno di suggestioni e struggente malinconia, per quel senso di solitudine che hanno tutti quei piccoli eroi che popolano le canzoni, mentre attraversano il grande sogno americano. Qui non ci sono ancora i ritmi funky & roll, le trame intricate delle loro improvvisazioni che li faranno diventare una delle migliori band live di tutti i tempi. Queste canzoni urlano un blues desertico suonate da  una chitarra slide che ti raschia la pelle per come taglia le note. Canzoni infettate da un rock paludoso quasi di stampo rollingstoniano. Musica diretta, senza fronzoli, per chi viaggia libero sulle strade che i poeti Beat hanno esaltato in una stagione ricca di ideali che non vogliono saperne di morire. Buoni allora come adesso.


I brani contenuti non sono estremamente lavorati. Questo aspetto credo che sia decisamente voluto, teso a catturare da parte di Lowell più il lato emotivo, psicologico, che quello puramente tecnico. La versione di “Willin” sicuramente è molto vicina a quella che ascoltò Frank Zappa rispetto a quando i Little Feat diventeranno una band e il loro sound impegnerà altre tinte e rimorchierà altri ritmi. Qui basta il suo canto bastardo è la slide di Ry Cooder per consegnarci un capolavoro che i fans del gruppo tenderanno sempre a sottovalutare. Ma Truck stop girl, Takin my Time, Strawberry Flats, Hamburgher Midnight, Crazy Captain Gunboat Willie, Forty Four Blues, How Many More Years e le altre del lotto, scartavetrano l’animo inquieto  di un ragazzo che con l’immaginazione ha cercato di sconfiggere l’ansia e i demoni che lo divoravano " per essere stato preso a calci dal vento e derubato dalla grandine con sbornie colossali e altre sostanze illecite.



Il sole cala a picco, la temperatura è diventata insopportabile, la polvere mi annebbia la vista, ma continuo a guidare verso Baton Rouge. Trascinato dal soul blues vigoroso e potente contenuto nel disco d’esordio dell’Allman Brothers Band, i diavoli blu di Duane si materializzano nel deserto sotto forma di note che sciorina dalla sua magica chitarra . Dickey Betts gli corre dietro nei territori musicali che man mano vanno a esplorare, mentre Greg suona l’organo cantando come se fosse in trance mistica. Il resto della band è una macchina perfetta, per un sound epocale .


A quel tempo stava accadendo qualcosa. Ovunque ti giravi c’era fermento creativo, il rock era poesia e rivoluzione e tutto sembrava  potesse accadere. Ma era un illusione. Perchè quelle erano solo  canzoni, stati dell’animo. Quelli erano solo giovani musicisti innamorati del blues, non erano Messia venuti a predicare il verbo. Eppure in tanti che percossero quelle strade non furono più gli stessi, la musica cambiò la loro vita radicalmente.Alcuni diventarono viaggiatori solitari , uomini in fuga da tutto e da tutti. Come l'Harry Dean Stanton muto e cencioso di Paris Texas.


La notte è luccicante di stelle e il vento soffia dolce sollevando la sabbia che si va depositando sul vetro dell’auto. Guido con i miei demoni appesi al tergicristallo che ha ingaggiato una battaglia con gli elementi naturali. Osservo la strada mentre ritorno a casa  e ascolto i North Mississippi Allstars di “Mississippi Folk Vol 1”. I fratelli e papà Dickinson si sono davvero superati con una versione da capogiro di “Master Of War” di Bob Dylan. Ma in tutto il disco ammaliano e stregano l’ascoltatore con canzoni che da esorcismi diventano uno speciale atto d’amore libero e incondizionato per il blues. I ragazzi suonano con il cuore in mano in un atmosfera rurale e sudista che profuma del  Ry Cooder di “Into The Purple Valley” per un blues dell'anima dedicato a tutti quegli uomini che non si sono mai arresi, di allora e di adesso, e che continuano nonostante tutto, ad essere in fuga sulle strade del rock.

Bartolo Federico




sabato 19 luglio 2014

Brividi Blues Farfalle E Fantasmi

Quella notte sonnecchiavo il sonno che non avevo ed ero inquieto come lo sono sempre stato per cui mi alzai per non svegliare Patty che dormiva profondamente. Scesi al piano di sotto e accesi la tv. Girai svogliatamente i canali e ascoltai a volume bassissimo la replica di un tiggì che parlava della crisi economica, del governo, di pagliacci e di puttane, tutte vecchie storie sempre uguali. Ma ecco la novità: i ragazzi finalmente in strada a ribellarsi. Era ora. Inghiottiti dal nulla del grande fratello si erano svegliati da quel torpore che li aveva avvolti per troppo tempo. Speriamo che duri pensai, il futuro è nelle loro mani. Mario se n’è andato sbattendo la porta, con la schiena dritta e il pugno alzato. Cazzo quel pugno alzato mi mette sempre i brividi come quando in un filmato d’epoca vidi i partigiani minuti magri come chiodi alzare il pugno davanti alla cinepresa. Mi inorgoglì e mi vennero i brividi. Gli stessi brividi.

Ero inquieto. Non che avessi un motivo. Niente, ero cosi e basta. Mi alzai dal divano ed andai al computer. Mentre aspettavo che s’accendesse presi la chitarra acustica e feci un paio di accordi. Adoravo quella chitarra, era quella che Woody Gutrie si portava a spasso per aprire le coscienze di chi era sordo e cieco. La macchina ammazza fascisti. “Torna Woody Gutrie torna da noi, ora “ (Steve Earle, Christmas in Washington). L’apparecchio si accese, rimisi la chitarra sul treppiedi e cliccai nei preferiti sullo Zambo Place, come facevo sempre ogni qualvolta che accendevo il computer. C’era un post nuovo, Mauro era stato negli States nelle terre del blues. Che bello pensai.


Quando il blues mi raggiunge /salterò sul treno e andrò via./Quando una donna è triste/china la testolina e piange./Quando un uomo è triste/ salta sul treno è parte.” 


L’ amato blues, la musica per eccellenza, il viaggio sognato che forse mai farò per la mia paura fottuta degli aerei . Leggo di quei posti che prima di essere un viaggio fisico sono luoghi dell’anima, di chi si è tinto di nero il cuore, di chi ama la penombra e il vento caldo che ti accarezza il viso. Nella mia visione quelli sono i luoghi di chi l’anima l’ha persa ed allora va giù dritto senza paracadute senza più nulla che lo trattenga. E non so perché mi viene in mente un ragazzo che col diavolo ha fatto a botte per tutta la sua breve vita e che nel blues ha trovato ristoro e comprensione per il suo mal d’animo . Appena il tempo di un disco ubriaco di passione e d’amore come solo il blues può fare. Un disco ispirato dai fantasmi che ancora oggi aleggiano lì nel torrido Delta: Son House, Charlie Patton, Willie Brown, Frankie Lee Sims ,vi prego consolate ancora Jeffrey Lee Pierce.( Ramblin' Jeffrey Lee & Cypress Grove with Willie Love -1992-) 


E’ il nostro stesso dolore, in fondo, che ci protegge dalle trappole e dalle tentazioni della vita, dalle nostre vigliacche aspirazioni alla felicità, dalla nostra triste e irragionevole voglia di sopravvivenza. E il sopravvivere peraltro è solo una questione fisica; l’anima si è già ritirata da un bel pezzo, è scesa in punta di piedi giù per lo stretto cammino dell’esistenza, si è persa per la troppa sofferenza, la troppa amarezza, soprattutto per la troppa lucidità. E per la tristezza. “Niente è più triste di un’anima smarrita”(Hugues Pagan-La notte che ho lasciato Alex-). 



Il primo incontro con il blues fu una raccolta intitolata “THE GREAT BLUES MEN” un disco doppio edito dalla Vanguard. Presentava brani di Sleepy John Estes, Muddy Waters Jesse Fuller, Son House, Skip James, J.B.Hutto, Rev Gary Davis, John Lee Hooker, Big Bil Broozy ed altri ancora , di cui con il tempo ho approfondito la conoscenza. Il blues è un modo di essere come disse Leadbelly “Quando la notte sei sdraiato a letto e comunque ti rigiri stai scomodo, allora vuol dire che t’ha preso il blues, e come ebbe a dire Dylan “Più ti allontani dal blues più la musica diventa altro”. Per questo motivo non ho mai amato i Beatles ma gli Stones. “Prego lasciate che mi presenti sono un uomo ricco e di gusto sono stato in giro per molto tempo Ho rubato molte anime e ho sottratto molta fede agli uomini” (Sympathy for the Devil - Rolling Stones – 1968).. Esiste un Unplugged contenente outtakes in studio dei Rolling, dal 1968 al 1973, in tutto 14 brani che vanno da HorCocksucker Blues a Sister Morphine, da Dear Doctor a You Gotta Move, da You got The Silver a Dead Flowers, Wild Horses ed altri ancora. Gli Stones suonano sinceri e fluidi, c’è la polvere e il cuore l’armonica sbuffa come un vecchio treno, e le chitarre ti fermano i battiti. Mick canta come un vero cantante di blues e il blues magicamente prende forma. Non mi posso sbagliare è a Tupelo che sono diretto stanotte. 

Mi devo muovere mi devo muovere c’è un demonio sulle mie tracce”(Robert Johnson)


Ero inquieto quella notte, spensi il computer e presi nuovamente la mia chitarra, suonai nella mia mente per non svegliare nessuno una canzone che avevo scritto anni fa “ Lunghe notti li da solo sulla strada 51 il cuore esplodeva e finalmente con la polvere negli occhi i buchi nelle scarpe in un freddo maledetto io mi trovo qui. Memphis Tennessee/MenphisTennesse.(Memphis Tennessee ).


Siccome ero entrato in uno stato tra il sognare ad occhi aperti e il dormire in piedi mi sentìì come l’Elvis delle Sun Sessions. Davanti a me si materializzarono Scotty Moore, Billy Black e Jimmie Fontana. Che disco le Sun Sessions! Se oggi il blues ha una visibilità mondiale lo deve anche a questo ragazzo di Memphis. Scotty ricorda: I microfoni erano spenti. Elvis era in relax. Cosi prese in mano la chitarra e incominciò il brano quasi per caso. Io gli stetti dietro e cosi fece anche Billy Black con il basso. Sam, dalla stanza attigua, si precipitò chiedendo cosa diavolo stessimo suonando. “Non lo sappiamo” risposi “Cercate di non perdere il motivo” disse “Dobbiamo assolutamente inciderlo”. La canzone era “It’s Alright Mama” di Arthur Big Boy Crudup (Elvis Presley -The Complete Sun Sessions 1976). Quel giorno del 1953 “Il blues ha avuto un figlio e lo hanno chiamato rock’n’roll” (Muddy Waters).


MEMPHIS TENNESSEE


Nella penombra i miei fantasmi sono venuti a bussare, si sono fatti largo e hanno preso a danzare come fossero ballerini. Lì davanti a me, mi hanno chiesto perché mai li avessi disturbati, mentre lo scirocco ha preso a soffiare. Ho spento la luce, mi sono addossato al muro ed ho sentito dodici battute, ho sentito dodici battute lì nel vento. Ho preso a respirare piano non volevo disturbare. Toc Toc .”Ecco che viene Blind Lemon Jefferson/toc toc fa col suo bastone/la sua ultima fossa sta sulla strada dei patimenti/per metà piena di pioggia” (Nick Cave). “The first born is Dead” di Nick Cave del 1985 è un disco che profuma di sud, di Elvis di John Lee Hooker, di Johnny Cash e di un bluesman chiamato Bob Dylan.

 Ricercato in ogni bordello/ricercato in un milione di saloon/ricercato è uno spettro in centinaia di case un’ombra in migliaia di stanze”(Wanted man-Bob Dylan). 


Sposto la tenda rossa dalla finestra per guardare fuori. Il vento è salito d’intensità e i rami delle palme si piegano in maniera innaturale, la mimosa non ha retto alla furia e si è spezzata. Il mio furgone ondeggia ma tiene duro. Ci aspetta ancora molta strada da fare. “Devo restare in movimento/ devo restare in movimento/i blues calano come grandine/i blues calano come grandine.”(Hellhound on my trail -Robert Johnson). Mike se ne andava in giro solo soletto. Nella Città del vento, faceva un freddo cane, si alzò il bavero del cappotto ed anche se la Gibson Les Paul pesava un accidente, aumentò l’andatura. Doveva far presto se non voleva arrivare in ritardo. Era diretto nelle zona South, un quartiere malfamato e molto pericoloso specie per un ragazzino bianco. Ma nulla lo spaventava, e per niente al mondo si sarebbe perso il cantante di quella sera. Il suo amico Howlin’ Wolf.Quando entrò nel club il concerto era appena iniziato. Quell’omone sul palco già ululava i suoi blues e la gente sembrava in trance. Con gli occhi cercò Charlie e lo vide appoggiato al pilastro proprio sotto il palco. Lo raggiunse a fatica e lo salutò nel trambusto. Charlie non gli rispose neppure, era sconvolto da quella musica palpitante e aggressiva .Howlin’ prese a suonare l’’armonica ed un suono brutale ne usci, il collo si gonfiò tanto che sembrava che gli stesse per esplodere. Il pubblico era totalmente impazzito. Wolf ad un certo punto vide Mike e gli sorrise, Charlie restò esterrefatto quando con quello stesso sorriso lo invitò a salire sul palco.( Mike Bloomfield, Analine, 1977. Live at Bill Graham’s Fillmore West, 1969. Charlie Musselwhite, Stand Back, 1967).


 Tempi duri.


Seppellisci pure il mio corpo/uh là sull’orlo dell’autostrada/cosi che il mio spiritaccio maligno/si pigli un bus Greyhound e se ne vada” (Robert Johnson, Me and the Devil). 


Nel ventre della notte mi preparo una tazza di caffè e mentre lo sorseggio penso che se mai un giorno andrò negli States é con il Levriero che vorrò vedere l’America. Il mezzo di trasporto dei poveri. Può darsi che sia solo un inguaribile romantico ma è sempre chi non ha nulla che ti tende la mano e che è pronto a soccorrerti. Sono sempre gli emarginati, i dimenticati che divideranno con te un pezzo della loro esistenza. Perché la loro storia c’è l’hanno scritta tutta negli occhi, se solo li si guardasse, almeno una volta.


 I tempi duri sono qui e dappertutto/i tempi sono più duri di quanto non siano stati mai/la gente si trascina di porta in porta./No,un paradiso non si trova”(Skip James, Hard Time illin’FloorBLUES)


I poeti del Delta si laceravano l’anima per il fatto di suonare questa musica, perché loro al diavolo ci credevano davvero. Con voci espressive e chitarre sull’orlo di una crisi di nervi aprirono le porte della percezione.

Il suonatore di armonica ululava e guaiva attraverso il suo strumento come un cane che segue la traccia. Il suonatore di mandolino non pizzicava delicatamente il suo strumento, ma tirava giù cascate di accordi argentei che rischiaravano la caccia dell’armonica come il plenilunio delle torride notti estive del Sud. Un secondo chitarrista eseguiva la linea di basso sul ritmo che batteva col piedone da contadino, trasformando l’intero edificio in un enorme tamburo africano. Al centro di tutto questo stava Son House, trasfigurato, un uomo posseduto dal canto, accecato dalla musica e dalla poesia. In lui il dolore del blues non era superficiale, timido o ironico. Tutto il corpo di Son piangeva mentre, a occhi chiusi, i tendini tesi sul collo per la violenza dell’emozione e la faccia bruna congestionata, cantava con voce straordinariamente drammatica “Death Letter Blues”, La Terra Del Blues, Alan Lomax). 



Che il blues fosse speciale se ne accorse da subito anche un giovane cantautore che ha cambiato le vite di tanti con le sue canzoni che dai blues si sono abbeverate e sono figlie. Un uomo di blues a tutti gli effetti Bob Dylan che sin dal suo disco d’esordio non lascia dubbi sulle sue radici (Bob Dylan, 1962): Bukka White, Blind Lemon Jefferson, Blind Willie Johnson, Furry Lewis, Fred Mc Dowell. E’ con le loro canzoni che si presenta al mondo fiero e orgoglioso di cantarle.Anche lui, come loro, ha una voce sgraziata è una chitarra spigolosa, ma è bianco e scriverà canzoni da favola che a raccontarle tutte ci vorrebbero mesi. Poi, come loro, elettrificherà gli strumenti e inciderà prima due dischi di blues, apocalittici e maestosi che dovrebbero essere ascoltati come se fossero un doppio album perché l’uno e complementare all’altro: “Bringing it all back home”, 1965 e “Highway 61 Revisited”, 1965. Poi chiuderà il ciclo, con il culmine della sua inventiva “Blonde on Blonde, 1966. Che doppio, invece, lo è di suo: 
 

LA MANO DEL DIAVOLO



Risento le dodici battute mentre lo scirocco continua a soffiare imperterrito. Spengo la luce e una sagoma nell’oscurità prende forma. Con i suoi lunghi boccoli e lo sguardo torvo il re della tenebre è arrivato. Imbraccia la sua luccicante chitarra National ed ha un piglio luciferino, mentre attacca a suonare “Saddle Up My Money”. La voce rauca e greve sembra che provenga dagli Inferi. Il suono è dirompente e minaccioso e la tensione sale al culmine quando usa la lama di un coltello come slide. Ho la pelle d’oca.John chiude gli occhi mentre il vento ha smesso di soffiare anche lui ipnotizzato da quelle note (John Campbell, One Believer, 1991; Howlin Mercy, 1993”. Ci vuole un uomo con il blues per cantare il blues”(Leadbelly).
 

Quella notte d’estate giacevo sul letto con la finestra spalancata che dava sulla strada. Da quella posizione riuscivo anche a vedere il cielo che era pieno di stelle, ed era un bel cielo. Quella notte illuminata dalle stelle, con le cicale che frignavano sugli alberi, sembrava tranquilla e senza pericoli. Ascoltavo la radiolina messa vicino all’orecchio, e sognavo. Ad un tratto la notte fu squarciata da un urlo sovrumano, un urlo che proveniva dalla strada. In linea d’aria era proprio sotto la mia finestra. Mi paralizzai nel letto, le gambe s’irrigidirono e la radiolina mi cadde dalle mani frantumandosi sul pavimento. Ero terrorizzato, mentre l’urlo continuava sempre più forte fino a quando si trasformò in un gemito che a me sembrò un ululato. Fu allora che mi venne in mente Don Nanni. 

Don Nanni viveva in una baracca di lamiera e cartone sul greto del torrente era alcolizzato e fumava l’impossibile. Alfa senza filtro e Sax. Quando tossiva potevi sentire i polmoni che si squarciavano e tanto era lo sforzo a cui era sottoposto che cadeva in terra contorcendosi e dimenandosi come fosse posseduto da forze demoniache. Da tempo aveva perso tutto quello che di umano c’era in lui. Che fosse estate o inverno portava quel che restava dei brandelli di un cappotto sudicio. Quando l’alcool lo possedeva era rissoso e violento e puzzava come un cane bagnato. Ma si sa nei ragazzini la cattiveria abbonda. Quando ci capitava di incontrarlo volavano sfottò e insulti. Lui tentava di rincorrerci bestemmiando, ma era impossibile prenderci. Camminava strascicandosi e si reggeva a malapena in piedi. La sua unica arma di difesa era il suo bastone e le pietre che ci tirava. Quando morì la notizia rimbalzò subito nel Villaggio. Lo ricordo bene quel giorno. Corsi a perdifiato sul greto del torrente fino alla baracca, c’era già la polizia e il personale sanitario, ma feci in tempo a vederlo lì in terra, immobile, avvolto in quel cappotto che lì per lì mi sembrò un sudario e gli chiesi perdono per tutte le angherie che gli avevamo fatto. Si diceva che fosse un lupo mannaro e che per questo era stato cacciato di casa. 


LUPI MANNARI


LOUP GAROU BAL GOULA, LOUP GAROU BAL GOULA, LOUP GAROU BAL GOULA.” Il vento ha ripreso a soffiare penso a quali formidabili jam suoneranno, John e Willy, li dove si trovano. ”Il blues è un dannato brivido, un freddo che ti fa tremare/io non l’ho avuto mai, spero di non doverlo mai provare…”. Greg tornò a casa con una chitarra acustica comprata dal rigattiere aveva sentito il vicino di casa, suonare un pezzo country e gli era venuta voglia d’ imparare. D’altronde il padre, assassinato da un autostoppista, cantava e suonava la chitarra. Con le dita che gli facevano un male cane, provava e riprovava i primi accordi. Un giorno suo fratello maggiore, Duane, gli chiese se poteva insegnargli qualche accordo. Ma Duane, con meraviglia di tutti, si scopri un vero talento. In poco tempo la sei corde non ebbe segreti nelle sue mani. Lasciò la scuola e si dedicò anima e corpo allo strumento. Ma non prese mai lezioni formali. Una volta padrone della situazione volle suonare una chitarra elettrica, cosi barattò i rottami di una Harley Davidson 165 per una Gibson Les Paul jr, e si immerse nei dischi di Robert Johnson, Blind Willie Johnson, T-Bone Walker, Albert King. Ma solo dopo aver sentito Ry Cooder suonare "Stateboro Blues" di Blind Willie McTell, assieme a Taj Mahal in un locale di Los Angeles decise di suonare la slide. Prima di questo evento usava suonare in slide per imitare i licks d’armonica di Slim Harpo e Sonny Boy Williamson.

 Fu soprannominato Skydog per quel modo acuto di suonare il blues e per ottenerlo usava una bottiglietta di vetro di Coricidin (un farmaco). Queste bottigliette hanno un’estremità chiusa e Duane suonava spesso con la giuntura della bottiglia, in contatto con le corde, che metteva sull’anulare della mano sinistra. La mano del diavolo. Duane e stato il più grande chitarrista bianco di blues. E’ in assoluto il più grande slide-man di tutti i tempi. (Duane Allman, An Anthology, vol.1;2, 1972-1974).


Qualche anno fa incontrai un mio vecchio amico, di quelli con cui ho condiviso l’infanzia, e tra un ricordo e l’ altro gli raccontai di quella notte , in cui pensai di sentire Don Nanni trasformato in lupo mannaro. Mi ascoltò silenziosamente, poi con un espressione malinconica mi spiegò che anche lui, quella notte, senti quell’urlo, ma al contrario di me, scese in strada. E le cose che vide non stavano per come le avevo immaginate. Percorse la scorciatoia che usavamo quando dovevamo scappare e nascondendosi dietro il muretto, che conoscevo bene, si affacciò sulla strada. Lì vide la madre di Francesco in ginocchio in mezzo alla strada nel punto esatto dove Francesco cadde con la moto e morì. Era sconvolta dal dolore e urlava tutto il suo strazio. Restò lì a lungo, poi qualcuno venne a prenderla. Ascoltai attonito quella rivelazione, poi sommessamente aggiunse:“ Da quella notte non fui più lo stesso.”  

Il vuoto è senza fine, freddo come l’argilla. Puoi sempre tornare indietro, ma non puoi mai tornare indietro completamente.”(Mississippi, Bob Dylan).(tratto da Viaggiatori Nella Notte)

Bartolo Federico




giovedì 17 luglio 2014

Johnny Winter-Jack Lampo-Che-Guizza

Sono nato in un uragano di fuoco incrociato
E ho urlato contro mia madre nella pioggia battente
Ma ora è tutto a posto, in effetti, è uno spasso
Ma ora è tutto a posto, sono Jumping Jack Flash
E' uno spasso! Spasso! Spasso!

Sono stato allevato da una befana sdentata e con la barba
Sono stato disciplinato con una cinghia che mi attraversava la schiena
Ma ora è tutto a posto, sono Jumping Jack Flash
E' uno spasso! Spasso! Spasso!

Sono stato affogato, portato a riva dalle onde e dato per morto
Sono caduto ai miei piedi e li ho visti sanguinare
Sono rimasto perplesso di fronte alle briciole di una crosta di pane
Yeah, yeah, yeah
Sono stato incoronato con un chiodo che mi trapassava la testa
Ma ora è tutto a posto, sono Jumping Jack Flash
E' uno spasso! Spasso! Spasso!
Jumping Jack Flash, è uno spasso
Jumping Jack Flash, è uno spasso
Jumping Jack Flash, è uno spasso
Jumping Jack Flash, è uno spasso
Jumping Jack Flash

Phil Cody – Cody Sings Zevon (2014)

Tracks:
1.Boom Boom Mancini 04:07
2.Splendid Isolation 03:06
3.Johnny Strikes Up The Band 02:01
4.Mutineer 02:51
5.Roland The Headless Thompson Gunner 04:05
6.Play It All Night Long 02:57
7.Heartache Spoken Here 03:28
8.The Indifference Of Heaven 04:42
9.Don’t Let Us Get Sick 03:30
10.The Hula Hula Boys 03:21
11.Lord Byron’s Luggage 04:21
12.Desperados Under The Eaves 04:29

                                                                   GRAZIE PHIL

domenica 13 luglio 2014

Al Diavolo Tutto



Il tempo si prende sempre ciò che gli spetta ma, per certe cose, con lui non era andata così, pensò Tom Frost mentre si guardava le scarpe e afferrava a calci l’inquietudine. Confuso e angosciato si sentiva più vecchio dei suoi anni con il cuore che assomigliava sempre più a quel bastoncino di luna che lo seguiva passo passo mentre attraversava la notte. Qualche giorno prima, giù al Tropicana dove si era rifugiato, aveva casualmente riaperto quel libro di Henry Miller “Primavera Nera che lei gli aveva regalato tanto tempo fa, che a pensarci adesso sembra un secolo. Un abbaglio di ricordi lo assalì. Quel mattino, appena sveglio, si girò per scendere dal letto. Il libro stava sul comò con un bocciolo di rosa appoggiato sulla copertina. Lo apri con molto garbo e lesse quella dedica con gli occhi ancora sporchi di sonno: “ A Tom Frost l’essenza di tutti i miei sogni. Martha



Fermo all’angolo il freddo lo trapassò, per cui prese a camminare traballando come un ubriaco mentre un foglio di giornale svolazza per la via come fosse un ala di pipistrello. Sul cartellone pubblicitario che reclamizzava un profumo osservò il volto della modella e bevve un sorso dal fiaschetto di metallo che teneva dentro la tasca della giacca lisa. Non riusciva a darsi pace, sapeva che alla fine tutti perdono in quel gioco crudele che è l’amore. Lo aveva imparato a sue spese in quegli anni passati a vagabondare in cerca di una scintilla che non arrivava mai. D’altronde lei se ne stava rintanata dentro di lui quasi fosse un toccasana per quell’affanno che lo indeboliva sempre più, trascinandolo in quella che sembrava una condanna da retribuire a vita. Ma, sebbene questo lo ferisse, lo faceva sentire meno solo. Certamente non gli sarebbe bastato ingurgitare tutto il whiskey possibile per cancellare definitivamente quel ricordo. Da che mondo è mondo è stato sempre il livido a far male, non la botta.


Si sedette alla tavola calda dei nottambuli, vicino ad uno sconosciuto. La cameriera stava urlando le ordinazioni al cuoco filippino: “Uova e salsicce con una fetta di pane abbrustolito, caffè e un panino, piatto abbondante con carne patate e verdura, chili in scodella con hamburger e patatine. Che genere di torta ?”(Eggs & Sausage) . Tom Frost proveniva dai bassifondi della città dove ne aveva viste di cotte e di crude. Era stato in galera e vissuto di espedienti, infine si era specializzato nelle corse truccate dei cavalli insieme al suo inseparabile amico “Spiccioli. Facevano buoni affari in giro per San Diego con gli altri bulli del quartiere, nelle scure e calde notti passate in cerca dei loro sogni. Fin quando una notte, sulla diciottesima, appoggiati al cofano della macchina, con i pachucos che giocavano a chi sputava più lontano, qualcuno sparò con una calibro 38 e “Spiccioli cadde ucciso vicino al distributore di benzina a forma di palla, mentre le puttane continuavano a bere e fumare. Tom Frost scappò verso Sud e lì ci rimase fin quando non si calmarono le acque. Quando tornò in città era diventato un musicista, suonava  e scriveva canzoni. Non ho mai visto la mia città natale fino a quando non sono stato via per troppo tempo. Non ho mai sentito una melodia fino a quando non ho sentito il bisogno di cantare.”(San Diego Serenade). La cameriera gli portò quanto aveva ordinato. Gli lanciò un’occhiata ammiccante mentre allontanava il fumo con la lista del menù .


Con le donne era sempre stato un vero gentiluomo, ci sapeva fare davvero, nonostante provenisse dalla strada conosceva le buone maniere e le galanterie, in fondo era uno strambo romantico. Martha era una modella, ma non per questo una stupida. L’aveva conosciuta una notte nel club dove suonava fisso ormai da mesi. Durante una gag, tra una canzone e l’altra, bevendo un bicchiere dietro l’altro e chiacchierando amabilmente con il pubblico i loro sguardi si erano incrociati e fu in quel momento che scattò per entrambi la scintilla. Il giorno dopo lei era nuovamente lì in prima fila e cosi ogni sera tutte le sere. Avevano cominciato a frequentarsi e uscire insieme, infine si erano innamorati perdutamente. Un paio di sere dopo, Tom Frost cantò una nuova canzone: Avanti piccola, lascia che la luce del tuo amore risplenda. Seppelliscimi sotto il tuo fuoco perché i tuoi occhi mi fanno male alla vista. E’ come guardare il sole. Ti prego sussurrami che io sono il tuo unico uomo.” (Fumblin’ With The Blues) Lei pianse, mentre lui con voce sgraziata e il cappello calato sulla fronte cantava ubriaco quei versi.


Adesso eccolo lì, in alto mare insieme ad un whiskey e soda e una camera d’albergo di terza mano, che guarda i taxi che sfrecciano in compagnia del marinaio solitario che racconta della sua vita ad Irene una prostituta con i capelli biondo sporco che fumando una Kent si stringe nel cappotto. Lo strillone urla a più non posso l’ultima edizione del giornale mentre le luci dell’alba stanno spuntando. Pensava che sarebbe annegato. Il suo amico Chuck era via ormai da tempo e lui era solo, completamente solo e completamente fatto, in quella città che gli tagliava il cuore in due. “La nebbia si solleva, la sabbia si alza. E io prendo il largo. Il vecchio capitano Achab non ha niente a che vedere con me quindi dimenticami ed evita di seguirmi. Viaggerò da solo, l’acqua blu sarà la mia figlia. E’ salterò come una pietra.” ( Shiver Me Timbers)



Lei gli bisbigliò i suoi sogni dopo aver fatto l’amore, nel buio della notte, ma lui non seppe ascoltarli, troppo ingarbugliato in se stesso per comprendere i suoi sentimenti. “E’ ora di chiudere”, gridò la cameriera stanca e assonnata. Tom Frost scivolò in strada con gli altri cani randagi. Quel dolore cieco aumentò. Aveva il fegato a pezzi e le scarpe slegate, mentre i grattacieli sovrastavano completamente i suoi sogni. Avrebbe perso un’altra quantità di speranza, ma questo non era altro che un invito al blues, un semplice invito al blues. Al diavolo tutto.


Bartolo Federico