Da sotto il lenzuolo ho tirato fuori un braccio, e ho
girato gli occhi per accertarmi dove mi trovavo. Volevo capire se ero sveglio,
o se stavo ancora sognando. Ero sempre nello stesso posto, nella medesima
stanza costatai guardando la luce che filtrava dall’imposta. Mi sono messo
seduto sul bordo del letto stiracchiandomi, mentre con la mano sinistra mi sono
aggiustato le palle dentro lo slip. All’idea di come si sarebbe svolta la mia giornata,
mi sentivo già scoraggiato, ma non avevo altra scelta. Anche oggi tra un cumulo
di falsità e secchiate di merda, me la dovevo cavare, resistere, tenere duro. Era
come fare un secondo lavoro, oltre a quello che da precario voucherizzato
(grazie Tito) facevo per una ditta di pulizie. Una fatica boia. Indossai
l’accappatoio e andai in cucina, dove la zia Amalia aveva già preparato la
moka. Mi versai il caffè rimasto dentro una tazza da latte, aggiungendoci un
cucchiaino di zucchero. Anche mia madre beveva caffè in una tazza da latte. Guardai
fuori dalla finestra, ma non c’era niente da guardare. Così posai la tazza nel
lavandino pensando che mi sarei sdraiato nuovamente. Tanto i miei treni non sono mai
passati, e mai transiteranno. Ma anche questa è acqua passata. Alle sei e un quarto
del mattino, nel bel mezzo di quei pensieri la voce acuta della zia Amalia mi
fece trasalire: Ehi Bart, non credi che
siano tutti un po’ strani quelli che
vivono di sogni. Non le risposi e corsi verso il bagno. Mentre mi lavavo,
guardai la mia faccia allo specchio. Ho un viso bizzarro, lungo e squadrato. Ma
non sono matto. O almeno credo. Cioè non sono come tutti immaginano che siano i
matti. Sono solo sospeso nel vuoto, vacillo e mi sta sui coglioni un bel numero
di genti, questo lo devo ammettere. Ultimamente ho anche l’umore di quelli
che sono stati lasciati da soli in mezzo alla strada, a combattere la guerra
infinita per la sopravvivenza. Ma in fondo in fondo sono un tenero di cuore, come
Hank. Mi piacciano i vagabondi e le puttane, che sono molto meglio di certe femmine
che incontro per la strada. I poeti e i musicisti. Non tutti ovviamente. Ma credetemi non ho mai fatto veramente nulla per arrivare, per avere successo. Voi lettori che avete arguzia e mestiere, fateci caso come
il mondo continua a scannarsi per nulla, per le solite cazzate. I soliti
conflitti che ci portiamo dietro da millenni. Si sa, l’ignoranza non va educata.
Gli scapperebbe il mondo dalle mani, a questi politicanti da strapazzo. A
questi business man. Ci sono guerre interminabili sparse per il pianeta, con la
complicanza che c’è molta più gente disposta a uccidere, che a vivere in pace. Mettetevelo
bene in testa una rivoluzione non scoppierà mai. Passeremo da un governo a un
altro, da una troia di regime a un'altra, e niente muterà. I poveri resteranno
poveri, gli emarginati creperanno in mezzo alla strada, e gli intellettuali continueranno
a non capire una beata minchia. E’ assai buffo tutto questo, come il bimbo-strillo
di Palazzo Chigi. Un tipo dotato solo di favella, tormentato dai foruncoli, ma che
si crede rivoluzionario. Come Vauro. Siamo belli e fregati. Statene certi.
Nella mia stanza mentre mi vestivo, ho messo il
disco di “William Harries Graham, The
Painted Redstarts” un figlio d’arte, che suona un rock diretto e senza troppi
fronzoli. Uno che in “She’s Got”
canta in duetto con Alejandro Escovedo.
Un altro sbandato di quel mondo musicale che se non indovini una hit, o ti
prostituisci al meglio, ti relega in un angolo oscuro. Ho spento la sigaretta nel
water e ho alzato il volume. La musica mi ha strappato un sorriso, e mi ha reso
felice della mia modesta vita. Mi hanno ipnotizzato queste canzoni con il loro
feedback, da bassifondi del rock. Un suono che mi riporta senza alcun vero motivo,
a quel romanticismo della New York notturna di fine anni settanta. All’innocenza
perduta, in un lembo di cielo. Ecco c’è un mondo sotto il mondo. Dalla porta
della stanza la sagoma rinsecchita della zia Amalia come uno spettro, fa la sua
comparsa. Grida di togliermi dai coglioni al più presto. C’è qualcosa di vero
in quel che dice.
Me ne sono andato a lavoro. Quando sono arrivato, ho
messo i tappi nelle orecchie, perché non avevo nessuna voglia di ascoltare i
lamenti dei miei colleghi. Ho pulito da cima a fondo tre condomini,
canticchiando “Foreign Fields”. Sono
vittima di me stesso, della mia immaginazione, della mia nostalgia. Non né
uscirò mai, pensai. Un tipo grasso ha aperto la porta di casa e mi ha scrutato
con circospezione. È uscito e ha richiuso la porta dietro le sue spalle, dando
tutte le mandate alla serratura. Con indifferenza ha sceso le scale che avevo
appena lavato. E’ tutto un fallimento. Pensano che si possa risolvere qualsiasi
cosa con una legge, con la forza. Sistemando nelle patrie galere quanta più
gente possibile. Forse dovrebbero pensare a costruire scuole, a formare nuovi
maestri, a generare rispetto. A offrire delle possibilità. A rendere la vita
piacevole per chiunque. Ma non fanno altro che cacciare i poveri nei ghetti,
facendoli vivere di carità, abbrutendoli, lasciandoli soli e smarriti. È dannatamente
piacevole il potere, che non abbassano mai gli occhi per la vergogna. Il resto sono
Eresie come canta Alessandro Sipolo,
un musicista cui piacciano le voci di Tom
Waits e Eddie Vedder, e questo
vi dovrebbe bastare per fare la sua conoscenza. Tra Respirare e Vivere, si muore di ciò che non si è stati. Ma
forse non siamo veri. Siamo solo fantasmi che vagano per le strade. Ma se
rinasco giuro che me ne starò con i piedi piantati per terra. Bevendo birra
scura, farò scoregge a più non posso. In barba a chiunque.
La vita ci rende matti, alle volte anche stupidi. La
sera dopo cena mi sono aperto una birra, e mi sono seduto ad ascoltare un po’
di musica. Quando il telefono inizia a squillare. Dopo un attimo di non so che
fare, alzo la cornetta.
”Bart?”
“Si”
“Toni”
“Ciao Toni”
“Hai impegni sabato prossimo?”
“Pensavo di vederci da Gino.”
“E da un po’ che non si sta insieme”
“Si è da tanto”
“Allora che fai vieni?”
“Beh non so… certo”
“Ci vediamo al bar allora.”
“Va bene poeta”
“Notte.”
“Notte a te.”
Mi sono
finito la lattina, e ne ho aperta un’altra.
E’ di notte che accadono le cose più strane. È di notte
che mi sento fragile, e ho il delirio e la febbre, e cerco una cura per la mia solitudine. Come chiunque altro che invecchi. Peter Wolf non è stato
un Rolling Stones solo perché c’era
già Mick Jagger. Ma se rinasce, lo
diverrà di sicuro. Le canzoni di “A Cure
for Loneliness” t’incantano e t’inquietano, strisciando come i blues nei
sotterranei dell’esistenza. Uno di quelli Peter Wolf che ha attraversato tutto
il rock’n’roll migliore, mandando in estasi una banda di falliti, che nella
musica ha trovato il coraggio. Un’avventura alla volte paurosa la vita, specie
quando sei giovane e inesperto. Ma dove puoi godere alla grande. Basta starci
sopra, dargli uno spintone e ripartire zigzagando. Ho guardato la zia Amalia
dormire davanti alla tivù. E’ tutto quello che ho mia zia. Anche per lei io
sono tutto quello che ha. Che strano. Mi sono messo a scrivere nella penombra. Ascoltando
una canzone di Elliott Smith. Bevi baby, guarda le stelle. Ti bacerò di nuovo tra le
sbarre. Dove ti vedrò lì con le mani nell'aria. Aspettando di essere infine
catturata. Bevi ancora una volta e ti farò mia. Ti terrò staccata, nel profondo
del cuore. Separata da tutto il resto, dove mi piace vederti. E conserverò le
cose che hai dimenticato.( Between The
Bars-)
E’ morto Prince. Almeno lui ha goduto in questa
vita. Come Bowie. L’altro giorno un geometra disoccupato è crepato come muoiono
gli scarafaggi, nel chiuso di un garage affittato per cinquanta euro, dove viveva da
circa un mese. Dormiva su un materasso messo in terra, senza luce e acqua. Ma
l’Italia è ripartita, ripete in ogni occasione il bullo. Sarebbe il caso che qualcuno lo prendesse
sottobraccio e gli dicesse: figliolo, scendi giù sulla terra. Qui ci sono
persone senza soldi, derubati dalle banche che tu proteggi, dai petrolieri che
tu aiuti. Dal Jobs Act che ha creato migliaia di nuovi precari. Buono solo per i
Rondolini sparsi nelle varie testate giornalistiche, che mentendo possono
gongolarsi nel circo mediatico che la tua azione governativa ha
portato nuove assunzioni. Sarebbe ora che tu levassi le tende, e te ne tornassi
a fare il boy scout. Mi sono messo a sognare un po’ di giustizia per chi non ha
amici potenti, per chi ha il coraggio di non piegarsi alle logiche di
quest’Italia di raccomandati leccaculi. Gli unici colpevoli del suo decadimento
morale ed economico. Oggi è domenica e sto scrivendo ancora su questo foglio
bianco, quando invece avrei solo voglia di ubriacarmi. Non provo rancore per
alcuno. Neanche per tutte le occasioni che non sono mai arrivate. Desidero solo
essere lasciato in pace. L’aria è ritornata fresca, la calura degli ultimi
giorni è svanita. E anche le mie speranze.
Se avete voglia di farvi un giro
nella musica americana che va da “The
Band” a “Graham Parson” fino ai
grandi suoni del sud di “Delaney &
Bonnie & Friends” procuratevi il doppio cd dei Continental Drifters- Drifters: In The Beginning & Beyond. Un
disco ricco d’immagini, di passione, d’amore. Ci scorgerete case abbandonate,
pioggia e polvere, bottiglie di birra, slot machine, cassette postali, e anime
semplici. Musica che vi porterà fino alla frontiera, giù nella valle solitaria.
È come se raccattaste il vostro cuore, gli anni e le illusioni di quella
fottuta giovinezza, che non c’è più. Ma queste canzoni non sono un territorio
di sconfitte, servono solo per ricominciare ad andare. Ancora.
C’è buona gente sparsa
nel mondo. Basta cercarla, annusarla, come i fanno i cani. Ci sono anche un
mucchio di figli di puttana, cialtroni, e pezzi di merda. Io non ho ancora
imparato molto cerco solo di non farmi fregare, non escludendo più niente a
priori. Come facevo un tempo. Il mondo però è in mano a un pugno d’idioti. Ma
voi non fate caso a quello che dico. Forse dentro di me c’è dello spirito di
vendetta, e ho le idee confuse. Mi sono fermato un attimo e ho acceso un’altra
sigaretta. Ho guardato la pagina e mi sono chiesto se era il caso di
continuare. Mi sono alzato e ho preparato il caffè. Che ho bevuto in una tazza
da latte. Come faceva mia madre.
Bartolo Federico.