Me ne sono stato per un pezzo seduto
sul divano, in silenzio, ad ascoltare i rumori che venivano dalla strada. Dopo
ho acceso la tele, ma l’ho richiusa immediatamente. A cinquantatré anni suonati m’illudo ancora
che ascoltare il tintinnio della pioggia, e quasi come sentire un blues di Skip
James. Sono il solito babbeo, che brancola nel buio. E’ un mondo pieno di
guerre e di inutili idioti, che ci governano e ci rovinano l’esistenza, con i
loro insensati metodi. Nonostante la mia incostanza, il mio nervosismo, e i
tanti anni passati insieme, la musica resta l’unica cosa che sa parlarmi al
cuore. Tanto che mi è venuta voglia di ricominciare a scoprire nuove cose,
anche in cose, che mi sono state sotto il naso per anni, e che ho colpevolmente
trascurato. Imprudenza della mia gioventù da ribelle senza causa, che alle
volte mi ha turato gli occhi, e anche le orecchie. Ma allora era quel rock di chi
tirava pugni in faccia e sullo stomaco, che aveva il sopravvento su di me. Poi invecchiando,
capita pure che ci affiniamo. Il primo vinile che ho comprato di Frank Zappa è
stato “Hot Rats” anno 1969, anche perché non avevano altro nell’unico negozio
di dischi, della mia triste e fottutissima città. Comunque sia, ci sono andato
di lusso. Willie The Pimp è la canzone dove ho anche sperimentato l’incredibile
voce di Capitan Beefheart, ed è stato subito amore. Narra la leggenda che il
Capitano era rimasto tre giorni con i capelli bagnati per cambiare voce, e somigliare
al vecchio lupo Howlin Wolf. “Sono un
piccolo ruffiano con i capelli impomatati, un paio di pantaloni coloro kaki, e
le scarpe nere tirate a lucido”. Hot Rats è ancora oggi un disco pieno di
colori e suggestioni, un opera zappiana da esplorare con sommo stupore. Nel
mezzo degli anni settanta come chiunque ascoltavo i Deep Purple, fu con la loro
ormai famosa “Smoke On The Water” che conobbi Frank Zappa. “Eravamo andati tutti a Montreux sulla spiaggia del lago di Ginevra, per
fare dischi con un furgoncino. Non avevamo molto tempo Frank Zappa e i Mothers
erano in una posizione migliore. Ma qualche stupido con una pistola a razzi incendiò
l'edificio radendolo al suolo. Fumo sull'acqua, fuoco nel cielo”. Gong è stata una rivista di musica rock, nata
con l’apporto di Riccardo Bertoncelli. Uno scriba che mi ha toccato nel
profondo, per quel suo modo visivo di raccontare il rock. Ritagli di giornale,
una foto in bianco e nero, il manico di una chitarra acustica, cicche di
sigarette, una bottiglia da 66cl di birra Messina. “Stato e Anarchia” di
Michail Bakunin. “On the road” insieme a quel fuorilegge di Johnny Cash. Pile
di musicassette al cromo da 90. The Doors, J. Airplane, Hendrix, Janis Joplin,
Joe Cocker, Allman Brothers, gli Stones di Sticky Fingers, Bob Dylan. Niente Beatles
(perdonatemi) solo Kinks. Ciao 2001, Popster, Rockstar. Il Mucchio Selvaggio.
Vista la mia passione per la
musica, il regalo dei miei genitori per il mio diploma di geometra, fu
l’impianto stereo da me tanto desiderato. Per contenere un pochino la spesa, rinunciai
al sintonizzatore. Erano tanti soldi e si viveva di un solo stipendio. Tanto adesso
potevo ascoltare al meglio, i dischi che mi compravo. Ma tutto cambiò nel 1982 quando
venne fuori Rai Stereo Notte, un programma ideato da Pier Luigi Tabasso. Allora
decisi che avevo bisogno di quel sintonizzatore. Il mio amico Sal come al
solito venne in mio aiuto, e riuscì a procurarmene uno di seconda mano, per
poche lire. Così a mezzanotte e trenta dentro le mura della mia stanzetta accadeva
una magia. Con una rotazione di quattro conduttori, la musica mi accompagnava
fino alle prime luci dell’alba. Era un diluvio esorbitante, una giostra che mi
portava in alto e che mi riempiva il cuore. E che toccava quasi tutta la
tastiera dei piaceri. Erano gli anni dell’innocenza. La musica è il sogno
supremo, rabbia e speranza. Nessuno di noi può fingere, può resistere, di
fronte alla musica. Al di là della quale, c’è solo il buio.
Farsi una cultura è da sempre uno
sforzo che richiede un sacco di tempo, e anche parecchi quattrini. Anche per la
musica vale questo concetto. Ho incontrato gente con impianti stereo faraonici,
e la puzza sotto il naso, quando ero alla ricerca di notizie sui musicisti che
via via andavo scoprendo. Persone che facevano sfoggio del loro sapere, tutti accomunati
da quell’onda lunga del radicalismo chic di sinistra. Compresi che il rock non
si addiceva a quelle menti illuminate. E neanch’io. Come sempre sono rimasto da
solo. Sono arrivato alla musica rock poco prima che il punk portasse subbuglio,
e anche un illusoria rivoluzione. Nata e morta subito. The Clash però li riconobbi
come i miei fratelli maggiori, perché anche loro avevano la mia stessa rabbia,
e mi parlavano con una musica grezza e semplice. Musica da strada, buona per
fare le barricate, che riportava il rock’n’roll alla sua vera forma. Se non amate
i Clash, allora il rock non fa per voi.
Si cresce e si diventa grandi,
e ci si sente dei grulli, che hanno caracollato per la strada sbagliata senza
mai centrare un obbiettivo. Ci si sente anormali con quei dischi che non
conosce nessuno, e quelle musiche sghembe che adesso mi prendono sempre più. Ma
continuo a vedermi correre per questo pazzo mondo, senza volermi perdere ancora
nulla. Perché la pioggia continua a parlarmi, e la strada a raccontarmi sogni,
e il rock nonostante tutto è il mio rifugio, la mia casa
prediletta.