domenica 18 maggio 2014

Il Passo Dell’Anatra



Bel periodo per un cambiamento, vedi, la fortuna che ho avuto può trasformare un uomo corretto in un uomo cattivo e, quindi, per favore, ti prego, lasciami ottenere quello che voglio. Stavolta..(Please Please Let Me Get What I Want - The Smiths)

          
Avevo passato la serata ascoltando musica rock, quando all’improvviso di fronte ad una cover di una vecchia canzone resa ancora più fragile e malinconica di quanto non lo fosse già di suo, mi prese una strana commozione. La riascoltai a lungo, pur di non perdere quell’emozione che sapevo non avrei più potuto replicare. Riflettei che ancora non era finita e che c’era da girovagare, senza evitare i dossi e neanche le voragini. Era meglio andare a vedere e sentire, e cercare di stare sulla corda delle cose, perché i sogni sono come messaggi. Così, guidavo concentrato quel mattino, osservando quattro nuvole gonfie come il collo di un oca che si inseguivano nel cielo. Per un po’ si mossero piano, poi, spinte dal vento, accelerarono sorpassandomi. Nel silenzio in cui ero avvolto compresi che non mi era riuscito di rovesciare alcuna regola, e neppure di piegarla. E per un attimo sbandai, smarrito dal tempo che ci supera, e ci batte. Hai voglia a galoppare verso le foreste vergini, se mai esistono ancora, il tempo ci stacca come una saetta e non puoi fare nulla se non affrettarti a corrergli dietro. Fanculo Bart, pensai, in qualche modo mi arrangerò, e sopravvivrò. Certe cose riaffiorano quando non vorremmo. Sembrano intorbidate dentro di noi, rintanate in quegli anfratti senza nome, poi all’improvviso prendono a rimbalzarti su e giù per il cuore. Ed inizi a sentirti dolorante dentro quel mistero dell’anima, tanto da cercare anche quei piccoli dettagli che ti rispediscono diritto all’inferno. Il registratore di cassa suonò. Se male deve essere, allora che lo sia fino in fondo. 


          Chuck sulla sua Ford V-8 sta svoltando a destra. È alto e ciondolante, quel ragazzo con il cazzo nero, i baffi sottili, e i capelli unti di brillantina, che guida tenendo il braccio fuori dal finestrino. Procede spedito per le strade di Elleardsville, un sobborgo della città di St Louis. Sul sedile laterale, custodita nel fodero, c’è la sua chitarra, una grossa Gibson rossa. Sta assaporando la velocità, e quella canzone che fischietta parla di fuggire con una ragazza per portarla da un capo all’altro dell’America e, al calar della notte, reclinare i sedili per fare l’amore. Un ribelle, temerario, che gli ultimi tre anni li ha trascorsi dentro un riformatorio per un tentativo di furto. Adesso si arrangia con il lavoro di parrucchiere, tirando al massimo il suo sogno di diventare una star della musica. Ed è per questo che ha già formato un trio, insieme al pianista Jimmy Johnson e al batterista Eddy Harding, e si esibisce stabilmente al Cosmopolitan Club di St Louis. È uno ambizioso, Chuck, scrive canzoni e suona la chitarra con impeto e bravura rifacendosi allo stile di T-Bone Walker e Carl Hogan, un musicista, quest’ultimo, sconosciuto al grande pubblico, ma che influenzerà il riff tagliente e nitido di tutti i suoi futuri successi.

Ci sono cose che se ne stanno come prigioniere in quei seminterrati umidi e senza luce. Le sale da biliardo, i negozi di dischi usati, la bottega del barbiere, i motel abbandonati, i vecchi treni. La corriera sgangherata, certi orizzonti. Delle bottiglie vuote, una ricevuta ingiallita, un auto scarburata. La mia stanzetta, roulotte, calendari e memorie. Della moquette unta. Pistole a tamburo, il deserto, piani verticali, le colonnine della Shell, la camminata epica di Gary Cooper, Nighthawks At The Diner. Una cosa tira l’altra. Scarabocchi e tatuaggi, sassofoni e clarinetti. Le brune con gli occhi di Maybellene. Gli spartiti di Hank Williams. Parole e sogni. La nostalgia è davvero una brutta bestia. Ma è una speranza per questa storia. Titoli di coda. Un emozione non si può spartire con nessuno. È solo tua. Ci sono posti che oggi mi appaiono ancora più solitari e tristi, che mi sento davvero sperduto a percorrerli da solo. Ma quei luoghi sono un pezzo della mia identità. Distruggiamo tutto noi uomini, le cose buone e quelle cattive. Mi sedetti a terra con la schiena piegata e provai un immensa cattiveria verso il mondo. Conviene sempre guardarsi alle spalle, anche quando ci si crede al sicuro.


Giù in fondo giri l’angolo diretto al bar, entri infili la moneta nella fessura. Hai bisogno di sentire qualcosa di davvero forte. Con quella che ami stai filando è tutto il giorno che hai voglia di ballare. E ti sei sentito dentro la musica da capo a piedi. E balli, balli balli. Viva, viva il rock’n’roll. La batteria è forte e violenta Viva il rock’n’roll. (School Days -Chuck Berry)


         Il punk diede un calcio nel culo a tutti quei gruppi inglesi che imperversavano durante gli anni settanta. Genesis, Emerson, Lake & Palmer, Yes, Gentle Giant, Camel. Suonavano suite lunghe e alle volte anche noiose, costruite con arrangiamenti spesso eccessivi e dai toni celebrativi. Musica borghese, per figli di papà, con la puzza sotto il naso, che si potevano permettere lo stereo milionario e  frequentare il circolo del tennis e della vela. Mica dei Jesse James qualunque, che si strascicavano sulle strade squattrinate del blues. Ma quando il cielo si fece troppo scuro e il buio scese di colpo, il rock cercò giustizia. Spuntarono, come funghi dopo la pioggia, giovani gruppi formati da disadattati, che provenivano dai sobborghi, con i capelli a cresta di gallo, gli anfibi e i jeans strappati. Tornavano alle radici, al quel suono di Chuck, quei ragazzi, anche se suonavano velocissimi, incazzati e duri come i Ramones. E fu di nuovo Rock’n’Roll, della migliore specie, illegale. Chiuso nella mia stanzetta, agitato come un pazzo, guardando una copertina dei Clash un pomeriggio da cani, feci in mille pezzi la mia chitarra acustica, eseguendo il passo dell’anatra. Dopo, però, ero sotto shock e mi venne da piangere, perché non me ne potevo comprare un’altra.

Chuck aprì la birra e la schiuma schizzò da tutte le parti, il motore urlava. Si asciugò il viso con la manica della camicia e partì, dirigendosi a est fuori città, verso un locale nascosto e solitario. Chicago nel 1950 era la città della musica. Il blues tradizionale del Delta era stato accantonato per fare spazio ad un suono elettrico, più danzabile e fruibile al pubblico dei bianchi. I fratelli Chess, degli immigrati polacchi, con la loro casa discografica erano diventati i nuovi profeti per quel popolo in cerca di riscatto. “Maybelenne” nel 1955 va in cima alle classifiche vendendo più di un milione di copie, eppure Chuck Berry pensava che “Wee Wee Hours” era migliore di quel country and western. Avevo imboccato una strada trafficata, e all’interno dell’auto rimbombava la musica degli Hoodoo Gurus che, grazie alle loro graffianti canzoni pop, era come ascoltare i Beatles che suonavano finalmente del sano, sporco e selvaggio rock’n’roll. Ognuno gode attaccato alle canzoni che più lo fanno vibrare fin dentro l’anima. Quella sera il cielo era strascicato di rosso. Guidai per ore che sembravo quasi una statua, e rallentai solo davanti ad un insegna di un locale. Qualcuno uscì, gli gettai un’occhiata veloce e prosegui oltre. Che cosa ci facevo lì? Spaventato, smarrito, straniero, ma vivo. Accesi una sigaretta, e la fiamma dell’accendino illuminò l’abitacolo. Mi mancava qualcosa. La musica. Accesi la radio e ricominciò la danza. Ragazze e automobili erano le fissazione di Chuck e fu con quegli argomenti che folgorò il pubblico dei teenager bianchi. 


C’è rock genuino giù a Boston. Tutti che vogliono ballare con la dolce piccola sedicenne. Deve avere più o meno mezzo milione di autografi, ha una borsetta piena di foto. Non vedi che non sta nelle pelle… Oh mamma mamma, ti prego posso andare? E’ tutto così fantastico veder un cantante far furore. (Sweet Little Sixteen)


La radio suonava Satisfaction dei Rolling Stones. Ogni cosa è stata fatta e forse tutto è già stato scoperto. Ma quando ti avventuri nuovamente su quelle strade percorse dal vento e dalla solitudine, è come se ogni cosa dovesse accadere un'altra volta. E la replica, alle volte, può sembrare una prima. Anche se lo stupore, quello che ti ha lasciato confuso e senza fiato, quando sentisti per la prima volta i Kinks, gli Animals, gli Stones, Hendrix, i Sex Pistols, le New York Dolls, beh! quello non torna più’, tranne che uno non si metta a recitare con se stesso. Chuck Berry arrivò nelle Top Ten degli anni cinquanta con “Rock’n’ Roll Music”, “Sweet Little Sixteen”, e “Johnny B.Goode”, brani che lo confermarono tra i più grandi songwriters rock. Aveva pubblicato poco tempo prima, ma senza troppo successo, anche  “Too Much Monkey Business”, ”No Money Down”  “Thirty Days” e “School Days”. Tutte canzoni che fanno parte di quel libretto d’istruzioni per una perfetta sintesi di stili a cui attingeranno una miriade di gruppi rock dagli anni sessanta in poi. Il sabato sera, il cinema all’aperto, il sesso incompleto. Chuck riesce a scrivere di quello che turba un ragazzino ed è qui la sua grandezza, perché è in questo modo che il rock diventa un fenomeno di massa.


Nella notte una miriade di insetti si stava suicidando spiaccicandosi sul lunotto della macchina, mentre la luna si trasformava lentamente in un cane randagio. I primi uomini usarono il linguaggio dei segni per comunicare, il rock’n’roll ha usato codici e parole semplici. Coca Cola, piste da ballo, autostrade a due corsie, chitarre Stratocaster, birra Burgermeister, bulli da città, fighe e culi, le macchine Ford, e le GMC, i figli di puttana, i taxi gialli e i vetri bagnati dalla pioggia. Camionisti e paghe scarse, la noia, biliardi e boccette, organi Wurlitzer, barattoli e scatoline, Carl Perkins, Fats Domino, melodia e rumore. Cosa c’è sotto questa luna? Mi sentivo un po’ confuso, quando il tambureggiare della pioggia si trasformò in un ticchettio. I brani di Berry saranno sempre superati nelle hit parade da quelli di Elvis, Pat Boone, Ricky Nelson, Fabian, tutti giovani bianchi di bell’aspetto molto più commerciali di uno con la faccia nera e ruvida. 


Avevo messo il cd dei “Basement Tapes”, un disco di Dylan che suona insieme alla Band, e i chilometri e la stanchezza, adesso, mi potevano fare solo un baffo. Con quella musica sarei potuto arrivare dall’altra parte del mondo, dove forse avrei incontrato dei territori vergini da esplorare. Quelli che stanno cercando alcuni miei amici di viaggio, Evil, Massi, Ant, Vlad, Hyde, vagabondi dell’anima, che si aggirano silenziosi per l’etere. Amo il mio paese, ma non chi lo governa. Sono terrorizzato, perché è stato dato in mano con una serie di manovre ad un babbeo, pericoloso per il futuro della mia gente, tutta. E balli balli, Viva Viva il rock’n’roll. Te lo ricordi dai vecchi tempi rock, rock, rock and roll. (School Days -Chuck Berry). Alan Freed era un disc-jockey, ed anche lui è stato uno dei tanti furbi che ha approfittato del potere di una trasmissione che teneva alla radio nel 1955 per prendersi i crediti di avere inventato la parola rock’n’roll. Di certo ha fatto ridere a crepapelle Fats Domino, che la usava già nel 1947. Programmò a manetta anche “Maybellene”, il pezzo di Chuck, in cambio che il suo nome figurasse come co-autore.

Ci sono molte serpi sparse per il mondo, che non sempre hanno le sembianze animali. Nei miei sogni la giustizia non è fatta per proteggere i ricchi, ma le persone perbene. Però, la mia speranza si trasforma in disperazione a guardare come vanno le cose. Di chi puoi fidarti?, mi chiesi, intanto che la strada si inerpicava su un ponte vertiginoso. Ero sempre pieno di dubbi, sembravo un sopravvissuto ad una catastrofe cosmica. Che cazzo era successo a questo mondo per diventare in questo modo. Multinazionali che comandano milioni di persone, e possono fare ciò che vogliono della loro vita. Chi ha dato questo potere a questi sciacalli assassini?. Chi si è permesso di affamare la Grecia, di ridurre in miseria i popoli africani? Chi sta spingendo affinché l’Italia diventi un serbatoio di lavoro al pari della Cina? Perché è sempre l’uomo qualunque a dover pagare il prezzo più alto? Il vento modella le rocce, e la natura ostinatamente si riprende sempre quello che è suo. La dovrebbero imparare anche gli uomini, questa verità.


     
    Bisogna spingersi più in là, è giunta l’ora dei cambiamenti, e di graffiare il mondo con la propria esistenza. Non possiamo più galleggiare in fondo all’emozioni, dobbiamo riacciuffare ciò che è nostro anche con un semplice gesto, un piccolo sguardo. Bisogna arrivare sotto la superficie levigata delle cose, per ricordarci chi siamo e che stiamo attraversando tutti insieme questa sporca strada. Guidavo in uno stato di semincoscienza con il finestrino aperto e me ne andavo non so neanche io dove, su quella polverosa strada secondaria. E la cosa non è che m’importasse più di tanto. Sapevo che alla fine avrei cambiato anche quella melodia, per quella canzone che stavo finalmente scrivendo. Mentre della polvere mi imbiancava il viso, forse stavo tornando a casa e la stanchezza era finita chissà dove. Eppure, mi sembrava di stare fermo su quella strada. E allora ripresi sommessamente a cantare quella vecchia canzone, proprio quando ero vicino ad uno scalo ferroviario. Viva Viva il rock’n’roll. Te lo ricordi dai vecchi tempi Rock, Rock, Rock And Roll.


Bartolo Federico

                                  
                                
                                            



venerdì 9 maggio 2014

Scarabocchi Ubriachi & Hank Williams(il punk)




Quando non ci sarò più, la gente dirà: solo un altro ragazzo nelle perdute autostrade.

Hank Williams.
Uno che moriva di overdose dopo una vita di dolori ed eccessi già nel 1953. Aveva 29 anni. Lui si che “die before get old”
Un precursore.
Ribelle, solitario. Eppure idolatrato, venerato. Uno degli “artisti popolari” più influenti del ‘900, dimenticate quello che dicono le enciclopedie!

“E’ uno sincero, però, Hank è un puro, che canta ciò che sente nel cuore, per questo non alza nessun guscio di protezione. Suona per tutti quegli uomini che, nonostante le controversie della vita, non si sono lasciati travolgere dagli eventi. Certo, lo fa per soldi, per il successo, ma con tutto ciò, non rinuncia mai a mostrarsi per quello che è. Ha una voce aspra, strozzata, nasale, come il primo Dylan. Ma è proprio quel tono serrato del sud che lo rende credibile alla sua gente, che vive nella privazione e nel dolore.”
Bartolo Federico – Ancora sei miglia per il cimitero

Per Scarabocchi Ubriachi è tempo di concettualizzare, mettere tutto lo sbobinato nel frullatore e tirarne fuori qualche linea guida... E si parte proprio da Williams.
Sovrapposizione è la prima idea che mi è venuta in mente.

SOVRAPPOSIZIONE

Sovrapporre tempi, generi, artisti.
Lavorare per livelli. Senza mischiare o amalgamare. Semplicemente mettere un filtro colorato sull’obbiettivo; sovrapporre.
Hank Williams il punk, appunto.
Concretamente, questo potrebbe tradursi nel sovrapporre al testo stampato il tratto a mano libera, lo schizzo col pennarello nero, il bordo tracciato a penna.
Ci sono  poi alcuni punti fissi che abbiamo già condiviso con l’autore, che ci concedono questa possibilità:

il formato: A4. Ampio, come un album, uno sketchbook per bozzetti al carboncino. Sarebbe bello   farlo anche più grande, forse.
il colore: basta col bianco e nero. Buttiamoci sulla quadricromia.
lo stile: anarchico, urbano, antagonista.

Dopo qualche prova e il download di un bel numero di fonts, ecco la pagina di prova di The Log Train.

Rivedibile, sicuramente. Ma che mette abbastanza a fuoco quello che dovrà essere lo spirito di Scarabocchi Ubriachi.
La immagino come un graffito inciso su una lapide nera al bordo dell’autostrada.


“…dentro di lui brucia il demone che ci spinge a bere troppo, a drogarci troppo, a vivere senza mai fermarci un attimo per poter scrutare da vicino la vita che passa. E la stessa cosa che succederà anche a Lenny Bruce, Jimi Hendrix, James Dean, Janis Joplin, Jim Morrison, e a una miriade di altre persone senza volto.”
Bartolo Federico – Ancora sei miglia per il cimitero

 EVIL MONKEY

  ( scritto e ideato da Evil Monkey che ringrazio - theevilmonkeysrecords.blogspot.it-



domenica 4 maggio 2014

E’ Solo Un Selvaggio Blues



“Ehi Chinaski, sbraitò il diavolo, spegni quel sigaro che mi stai impuzzendo il manto e smettila di ruttare e scoreggiare. Dal tuo arrivo quest’inferno è diventato una bolgia, tanto che non riesco più ad avere un attimo di pace. Questi maledetti che mi stanno intorno, sembrano dei pazzi, non fanno altro che bere, scopare, fumare, e prendersi a cazzotti. Delle vere bestie. Sei riuscito a infettare persino il mite Ferdinand; da quando gli hai passato quel nastro ha ritrovato lo slancio dei suoi giorni migliori. Non fare il furbo con me Hank, quella cassetta te l’ha messa in tasca l’infermiera il giorno che ti ha vestito per spedirti qua sopra. Ti sei fatta anche lei eh! vecchio tralignato. Di la verità! Ad ogni modo, il tuo amico Celine se ne sta sempre nell’ombra della sua celletta a scrivere appunti, grugnendo e sospirando, e non la smette di ascoltare le canzoni che quell’altro matto urla come un ossesso, quel “Richard Wayne Penniman”



Satana si asciugò la fronte. Aveva i tendini del collo arcuati e le dita delle mani piegate. Lo fissò negli occhi e riprese la chiacchierata. “Ah! quel fetente mi tormenta. Però a furia di sentirli quei rock’n’roll, li ho imparati a memoria. Te la ridi eh, stronzo di un Chinanski, sei il solito rotto in culo, non ti passa mai a te. Ghigni sbavando, perché lo sai che lui si trova a suo agio nei tragitti bui e tenebrosi, e anche unti di grasso. Quello squilibrato, si è ingozzato di sogni per resistere quassù, si è portato tutti quelli che gli riscaldano meglio l’anima, quelli sporchi e cattivi, come i tuoi. Ma oggi sono in vena di confidenze e ti dirò che mi piacciono un casino quelle canzoni che ascolta, specialmente quella che inizia « Wop bop a ba loo bop a lop bam boom». Ad un tratto, come serpenti inquieti, arrivò una valanga di anime che non finiva mai. Il demonio le squadrò esaminandole attentamente. “Adesso Hank sono davvero incazzato nero perché devo andare a lavorare, e sai quanto mi rompe i coglioni, quindi porgimi quella cazzo di birra e vodka che hai a lato, almeno mi metto un po’ su di giri. Era andato via, e l’aria puzzava nuovamente di scoreggia. Ma tornò indietro e con un colpo riaprì la porta. “Visto che ci sei dammi anche quel sigaro, se no per punizione ti spedisco in paradiso”. “Non te lo scordare Chinaski, gli proferì minaccioso, che comando io qui,” E richiuse la porta con un colpo solo. 


C’è una vena passionale e romantica in ognuno di noi, che ci spinge a cercare la nostra natura. Nei sud del mondo non e mai stato facile vivere, se sei povero e per giunta di colore allora sono solo guai. Il piccolo Richard si sedette sul gradino insieme ai suoi zii, e a suo nonno, predicatori battisti che se ne stavano assorti in preghiera. In quel pomeriggio in cui la temperatura arrivò oltre i quaranta gradi, che anche i rospi negli stagni non saltavano più, qualcuno nel vento infuocato stava suonando un blues arido. Richard chiuse gli occhi e assaporò quell’odore di pesce gatto fritto, che arrivava da chissà dove e che gli perforò le narici, trapanandogli lo stomaco vuoto. Era l’estate del 1939 e il piccolo Penniman ultimo di una famiglia di quattordici figli, aveva circa sette anni e lavorava per strada. Suo padre vendeva alcool di contrabbando, ed era un uomo duro che gli metteva una paura boia. Ma quando culli un sogno fai di tutto pur di avverarlo. Costi quel che costi. “War Hawk” com’era chiamato per via della sua voce energica e tonante dagli altri ragazzi di colore che cantavano con lui nel coro della chiesa, se ne andava di nascosto a lezione di pianoforte  dopo aver racimolato con molta pazienza il denaro per pagare l’insegnante. Perché alla fine è solo con le bugie che atterri dove ti pare, e sono solo le bugie a renderti la vita meno difficile. Bugie innocenti, bugie vitali. Tanto nella tomba ci finisci sempre da solo. Erano tempi quelli, in cui la gente di colore aveva paura a mettere anche un pianoforte in chiesa, perché pensava che fosse il diavolo incarnato. Un istituzione fondamentale la chiesa per la vita della comunità di colore, l’unico luogo consentito ai neri per riunirsi in gruppo. Ed è proprio in quei raduni che Little Richard fu in grado di mostrare il suo enorme talento. Ma un uomo libero non starà mai dalla parte di nessuno, e tantomeno nessuno vorrà stare con lui. Allora cercheranno di rinchiuderlo in modo da averne il controllo. Quando il mercato discografico fiutò l’affare rock’n’roll, gli  piombò addosso come un avvoltoio, e se lo divorò con cupidigia. Era il nuovo peccato, e il peccato è commercio. Ammiccante, sfolgorante. 


La paura che abbiamo è sempre quella di sentirci vuoti, e non avere nessuna ragione per vivere. Appena tredicenne Little Richard si vestì stravagante e se ne andò insieme al “medicine show” del Dottor Hudson per le strade polverose piene di miseria e dolore del Mississippi. Quando fece ritorno a Macon(Georgia) sua città natale, il padre non trovò di meglio che cacciarlo di casa. Ma mai perdere la speranza e dolersi troppo per il domani. “L’incudine sopravvive al martello”. Little Richard venne adottato da una coppia di bianchi Ann e Johnny Johnson, che lo rimandano a scuola e lo fanno anche esibire nel loro locale il Tick Tock Club. A soli sedici anni vince un audizione con la casa discografica Rca, che gli fa incidere quattro 78 giri. Every Hour”,Taxi Blues”, “Get Rich Quick”, “Thinkin’ About My Mother”, incisioni che vengono eseguite da band di blues locali. Ma è già la sua voce che spicca su tutto, e quel suo modo di aggredire la canzone e le parole, che saranno in seguito il suo marchio di fabbrica. Il diavolo lo sa bene che tutti i giocatori d’azzardo sono dei fottuti sognatori, e che suonano il rock’n’roll. Ed è loro che aspetta per quel giro finale di poker. A quel tempo Richard ascoltava molto il blues di Howlin Wolf, ma anche il gospel di Mahalia Jackson, e del pioniere  Fats Domino. Adesso era arrivato il momento di sperimentare nuove emozioni, per cui lavora con diversi musicisti, passando per dei gruppi vocali come i Deuces Of Rhythm/Tempo Toppers, ed incide dei nuovi pezzi per la Houston-Based Peackock label di Don Robey. Queste canzoni non sono altro che dei blues ma sempre meno convenzionali. Il suo lato selvaggio sta pian piano venendo fuori e prendendo il sopravvento. Nel 1953 vengono pubblicati “Fool At The Wheel”, e Aint’t That Good News


I cani nel vicolo abbaiavano, ringhiando minacciosi. Erano le quattro meno un quarto di un mattino del 1955. Richard si sentiva stanco e demoralizzato perché tutti i suoi tentativi di arrivare al successo con la musica sembravano non portare a nulla. Diventare una star per un uomo di colore significava riscattarsi da una vita di umiliazioni e privazioni. Aveva acquisito una grande professionalità a contatto con musicisti del calibro di Johnny Otis, artista con cui continuerà a lavorare anche in seguito. In questo lasso di  tempo era stato anche caparbiamente sincero con se stesso, ma sembrava che tutto questo non bastasse per trovare la via del successo. “Se non riuscirò a sopravvivere con la musica pazienza” pensò sfregando la brace dalla sigaretta, e infilando il mozzicone nella tasca della camicia. Girò tutta la notte per le strade della città, tra case di legno, e cortili di terra battuta. Quando fu sulla via principale traballando tentò di cantare una canzone. Un vecchio blues. Ma era troppo ubriaco per ricordarsi le parole. Si inginocchiò e sparse ululati da lupo ferito alla luna. Poco più tardi il gallo cantò tre volte. E’ molto meglio non filosofeggiare troppo sulle cose, perché la paura non porta da nessuna parte. Little Richard alquanto scoglionato e afflitto, si ritira dalle scene e se ne va a fare il lavapiatti, in un terminal del Greyhound. Ma non lascia la musica, continua a scrivere canzoni e anche sul lavoro non smette mai di cantare. Un  motivo per il proprietario per insultarlo e trattarlo male. Ma è proprio mentre lavora qui che scrive il suo jolly. ”Tutti Frutti” è una canzone che fa ascoltare al suo amico Lloyd Price che gli consiglia di spedirla alla Specialty Records di New Orleans. Questo pezzo suona come una corrente d’aria fresca, in un anima piena zeppa di tagli e graffi. Fa uno strano effetto bagnarsi di luce, dopo essere stati per tanto tempo nell’ombra. 



Che sia chiaro a tutti. La vita è una botta di culo, senza non si va da nessuna parte. Talento o non talento, Bukowski fu tratto in salvo da John Martin, un appassionato delle sue poesie, che gli propose di lasciare l’impiego alle poste per dedicarsi alla scrittura, offrendogli un assegno mensile di cento dollari.”Quel giorno il signor Rolls incontrò il signor Royce”.  Art Rupe il boss della Specialty Records se ne stava spaparanzato nel suo ufficio con le gambe sul tavolo, ascoltando quel nastro che gli era appena arrivato. Il ventilatore era guasto e faceva un caldo infernale. Era ridotto uno straccio quando il telefono squillò. Alzò la cornetta grattandosi le palle e riattaccò. Quella voce, ragionò, forse poteva tenere testa a quel Ray Charles che in quei giorni si era preso la scena con “I Got A Woman”, una canzone che stava spopolando nelle classifiche di vendita. Dopo mezz’ora il telefono trillò nuovamente, ma questa volta rispose. Era il suo direttore artistico “Bumps”. “Ti stavo cercando” lo aggredì Art. Vieni subito in ufficio che abbiamo qualcosa di veramente esplosivo. “Bumps” Blackwell ascoltò  quel nastro e con il boss decisero di comprare il contratto di Little Richard dalla Peacock. Dopo qualche giorno prenotarono un biglietto d’aereo per fare arrivare Richard a Hollywood dove i tre si incontrarono per prendere accordi sulle session da tenere, e che dovevano avvenire il più presto possibile. Anche la Specialty non se la passava finanziariamente tanto bene in quel periodo, e il tempo per chi fa affari è denaro. Si cammina a piccoli passi con il piatto in mano, in una sorta di equilibrio instabile. Non ci vuole poi molto a ruzzolare. 


Era pratico e attrezzato il J&M studios di New Orleans messo a sua disposizione, il quattordici settembre del 1955 Little Richard, inizia a registrare le sue canzoni. He’s My Stars”, “Wondering”,” Directly”, ”I’m Just A Lonely Guy”, ”Kansas City”. L’atmosfera tra i musicisti è rilassata e complice. Tra uno stacco e un altro, si beve, si fuma erba, e si scherza. Ogni tanto Little rulla al piano le note di “Tutti Frutti” e si accorge che i musicisti gli vanno dietro divertiti. Ma quella canzone non fa parte di quelle session perché il suo testo è troppo volgare per essere pubblicato. Glielo aveva detto Blackwell ad inizio seduta che quella canzone restava fuori. Ma con il passare delle ore tutti si accorgono che è davvero impossibile non inciderla. Si decide su due piedi di far arrivare in studio Dorothy La Bostrie, una scrittrice del luogo, per affinare quel linguaggio sporco e da strada contenuto nel testo. Quando tutto fu pronto, Little batté il piano con un ritmo ancora più folle delle prove precedenti, le percussioni entrarono dure, e arrivò la sua voce rauca, ansante, carica di sesso. Tutti i musicisti a quel punto si lasciarono andare, e fu allora che Richard saltò sul piano, cadde in ginocchio, singhiozzò e si mosse lento, poi veloce, e quando entrò il sax, cazzo quando entrò il sax, tutti ballavano in una follia seducente e bastarda. Il rock’n’roll nero era appena nato.
 

Tutti Frutti” vendette più di mezzo milione di copie e anche le stazioni radiofoniche dei bianchi la trasmisero visto che non era più “hot”. Ma quello fu solo il primo di una lunga serie di successi. Long Tall Sally”,”Slippin’ And Slidin’ ”,”Rip It Up”, ”She’s Got It”, “Lucille”, “Jenny Jenny”,” Keep A Knocking”, tutti brani entrati nelle hit-parade dell’epoca. Rock’n’roll spinti da una rabbia furiosa, cantati con un aggressività fuori dal comune, da una voce arrogante e disinibita che è l’emblema stesso del rock. Sul palco Little Richard dà il meglio di sé, si agita scomposto, muove gli occhi per sedurre, si trucca il viso con il mascara e ha un’aria minacciosa, attaccato al suo pianoforte. Solo a guardarlo, emana una forza oscura e attraente, mentre suona il suo rock terroristico e altamente  rumoroso che porta alla dannazione e al peccato. Scompare dalla scena quando è in testa alle classifiche americane e inglesi con “Good Golly Miss Molly”. La sua complessa personalità lo spinge a ritirarsi in un mondo di studi religiosi. Ma non svenderà mai la sua musica, come hanno fatto altri rocker dell’epoca. Ci nasconde tutto, la vita. E’ con il rumore che copriamo qualunque cosa per non sentire nulla, neanche quelle voci che ci parlano da lontano. 


Il serpente si contorce ancora, ritorna e sparisce, trascinandosi nel buio per sfuggire alla presa di chiunque voglia catturarlo. Il coraggio non è perdonare. Si perdona anche troppo agli uomini, e questo non serve a nulla. Si erano seduti da circa mezz’ora, come in un bar di quelli scadenti, Chinaski, Ferdinand, Ernest, e Van Gogh, per il solito poker serale, si stavano ancora studiando quando all’improvviso fece irruzione un tale dall’aria candida, con due fessurine per occhi. “Forse voi non lo sapete, disse, ma alcune persone sono destinate a trascorrere l’eternità all’inferno”. Era un topo di tunnel. Cazzo poteva andar peggio pensarono i quattro, e versandosi  un doppio scotch presero a cantare « Wop bop a ba loo bop a lop bam boom» Subito dopo la porta si aprì con un colpo solo. Del resto non vale la pena parlarne.


 Bartolo Federico