Nella notte aveva piovuto di continuo e al mattino
la carreggiata era ancora bagnata. Sembrava una giornata di fine ottobre per
quella malinconia che aveva avvolto il paesaggio. Dei pettirossi passarono
sopra la mia testa sfarfallando qua e là. Li osservai massaggiandomi la
schiena. Avevo il corpo indolenzito dopo la nottata trascorsa a riposare sul
sedile del furgone. Ma era anche vero che non ero più vispo come una volta.
Fatto il pieno, controllato l’olio e l’acqua del radiatore, cambiate le
pasticche dei freni e riparate le ammaccature che ricoprivano la carrozzeria
del camioncino, ero partito. Mi sentivo braccato dagli eventi, e quell’
inquietudine di andarmene senza meta mi aveva nuovamente morso nel cuore. Ma non era più il tempo di
fughe precipitose, della ricerca frenetica, da perdenti sballati, o da esausti,
che una volta ingolfavano la linea bianca di mezzeria. Non era più il
tempo di facce sperdute, di capelloni con chitarra, di mistici, tutti quanti
diretti verso i propri confini interiori. No, non era più quel tempo. Ma avevo
la consapevolezza che la strada era l’unico luogo dove potevo fare chiarezza
alla mia stessa confusione e in qualche modo salvarmi dalla pazzia. Sapevo che
durante il viaggio sarei stato ciò che sono, finalmente senza più alcuna
finzione. Per questo avevo deciso di seguire quell’ansia che ad un tratto mi
attaccava e mi lasciava senza respiro. Quella smania che provavo sin da ragazzo
e che mi aveva divorato la vita. La strada era ancora lì, nera e lucente, selvaggia
e inafferrabile, apparentemente immobile, e con occhi spalancati aspettava di
essere nuovamente percorsa.
Il blues
è la storia di un popolo di migranti. Un popolo che riusciva a sentire,
ascoltare e guardare in faccia le cose che accadevano ed a parlarne con la
forza della musica. Persone ricettive, i bluesman, che tramite il viaggio, il
continuo spostamento da un luogo ad un altro, aprivano gli occhi sul mondo. “Voglio piangere, voglio urlare, mi sento così male,
che ho voglia di morire. Ma se domani mi sento come mi sento oggi, preparerò la
valigia e me ne andrò via”(Big Bill Broonzy).
Howlin’ inizia ad incidere che è già abbastanza grande e questo giocherà a suo
favore. Nel suo blues saprà convogliare la tradizione dei vecchi poeti
del Delta, con quello che la strada gli ha spiegato.
Look down
the road, cantava Skip James mentre osservavo l’orizzonte di
fronte a me. Il blues con la sua scala di note tradizionali del Delta esprime
l’angoscia, il rimpianto, l’amarezza. Il blues rurale era istintivo senza
nessuna convenzione e sgorgava libero dall’anima del musicista. Alle volte era
fragile, fragilissimo, come gli uomini che lo cantavano. Ma per questo pieno di
pathos e mistero. I bluesman del Delta non sapevano mai cosa avrebbero suonato
quando imbracciavano la chitarra o soffiavano in un armonica. Solo dopo, con
l’avvento degli strumenti elettrici furono costretti a suonare sequenze
derivanti dall’armonia. Era un nuovo modo per farsi ascoltare nel frastuono
della città ed anche per continuare ad esistere. Questo rese certamente più
fruibile la loro musica, ma tolse qualcosa alla magia primordiale. “Oh, baby don't you want to go, Oh, baby don't you
want to go, Back to the land of California, To my sweet home Chicago (Sweet
home Chicago - Robert Johnson).
Dal bar avevo telefonato nuovamente a Concetta, ma anche questa
volta non aveva risposto. Una macchina mi superò suonando nervosamente il
clacson. Erano le dieci della sera e faceva un caldo boia. Mi sentivo teso con
il corpo sveglio ma la mente addormentata. Non riuscivo a tenere in piedi un
pensiero e quello strano senso di vuoto si era nuovamente
impadronito di me. Facevo strada cambiando umore di continuo. Adesso
avrei potuto rimanere per sempre immobile nella notte. Quando avevo sedici anni
me ne stavo a fantasticare romanticherie, ero nel pieno di quel desiderio di
solitudine ma anche convinto che un incontro mi avrebbe cambiato la vita. Poi le
cose avevano fatto il loro corso e c’erano stati lunghi inverni passati da
lupo. Alla fine qualcuno aveva bussato alla porta. Guidavo stando a colloquio
con i miei spiriti, e avrei voluto che piovesse nuovamente. Non c’era più
quella magia intorno a me che rendeva tutto più sopportabile. Il tempo si era
distorto. Ma il tempo è l’unica certezza che abbiamo. Forse, pensai, avrei
dovuto imparare a lasciarmi andare, a nuotare senza gli stivali e guidare senza
freni. Guardai la strada nera e profonda davanti a me e poi il cielo che era un
fragore di stelle. Calai il finestrino e ascoltai il vento sibilare tra
l’erba. (Camminando Da Solo tratto da Viaggiatori Nella Notte)
Bartolo Federico
E dopo questa meraviglia, posso andare a cenare soddisfatta...
RispondiEliminaUn bacio amico mio!
Ricambio il bacio Nella, ciao.
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