Se non vogliamo essere cooptati, derubati della
libertà e privati – nel silenzio – della nostra identità, c’è un solo spazio
all’interno del quale possiamo agire e dal quale possiamo muoverci, ed è
lo spazio “politico”. Non quello becero e mediocre delle istituzioni, non
quello nostalgico e retrivo dell’antagonismo, non quello à la page degli
slogan e delle supercazzole.
Lo spazio politico in cui – e da cui – possiamo
difendere la nostra individualità, la nostra libertà e la nostra identità è lo
spazio culturale: dalla cultura della politica alla politica della cultura. Il
primo passo, la prima cosa da fare: informarci utilizzando più canali
possibili. Cioè, vincere la nostra connaturata pigrizia, uscire dalla trance
mediatica. Disertare i luoghi comuni, ignorare i pacchetti preconfezionati di
idee e opinioni pronte per l’uso.
La “cultura” sta diventando il centro di comando
dell’economia globale: è in questo spazio che si sta già combattendo la guerra
del futuro. Le cosiddette “politiche culturali” sono sempre più centrali nelle
nostre vite, spesso a nostra insaputa. Non dobbiamo sottovalutare o prendere
alla leggera nemmeno un banale spot pubblicitario.
Col supporto del sistema neocapitalista europeo,
l’attuale partito di governo sta mettendo in atto l’oscenità definitiva: il più
arrogante e manipolatorio tentativo di rielaborazione della vita,
pubblica e privata. Sta tentando di dirci – e imporci – come dobbiamo vivere,
perché dobbiamo vivere, ovvero per che cosa e per chi dobbiamo
vivere. Pretende di dirci chi dobbiamo essere. Si spinge fino ai confini
(e talvolta ben oltre) del moralmente – in senso filosofico – lecito,
imponendo subdolamente le pratiche del dominio in nome di una ridicolmente
ingannevole giustizia sociale. L’evidenza è palese: la Mediocrità sta prendendo
il controllo. Lo stupido tenta di imporsi con la forza, perché non ha altri
mezzi.
Stiamo vivendo un momento storico cruciale, decisivo,
nella più totale e colpevole apatia, nella più totale e colpevole ignoranza. Il
disinteresse verso la politica e la sfiducia nelle istituzione, tanto convenientemente
denunciate dal Sistema stesso, sono il risultato – raggiunto – di una
campagna di comunicazione volutamente oscura, astratta, complicata e nebulosa. I
governi vogliono, perché necessario alla loro sopravvivenza, che i cittadini
perdano interesse nella politica.
Noi italiani, che abbiamo da sempre un problema – o
vizio – di superficialità, di ignoranza, di presunzione e di mancanza di
identità nazionale (ciò che sta oltre il nostro ormai proverbiale orticello
personale non ci riguarda), non vedevamo l’ora di delegare democraticamente
la nostra rovina a un sistema partitico che continuiamo masochisticamente
ad alimentare col nostro menefreghismo. Vogliamo suicidarci, ma per mano
altrui. Non abbiamo nemmeno il coraggio di noi stessi.
Ci siamo dimenticati – o ci hanno fatto dimenticare –
che questo Paese è stato messo insieme con la forza da una manciata di persone
che hanno deciso per tutti contro il volere di (quasi) tutti, e non da
un anelito comune del popolo. Ci siamo dimenticati – o ci hanno fatto
dimenticare – che in questo Paese si è combattuta un vera e propria guerra
civile “travestita” da altro. E ci siamo dimenticati – ci hanno fatto
dimenticare – che abbiamo sempre la possibilità e i mezzi per dissentire.
È comodo, facile e italiano essere “tifosi” in cabina
elettorale e al bar. Molto meno comodo, molto meno facile e molto meno italiano
impegnarsi nel dissenso. Si fa prima a girarsi dall’altra parte per non vedere
lo scempio, si fa prima a farsi i cazzi propri, si fa prima a prendere per
buoni (“tanto so’ tutti ladroni, ecchecce voi fa’!”) gli slogan marchettari e
le supercazzole. Dissentire significa impegnarsi consapevolmente e
responsabilmente. E questo noi italiani non sappiamo e non vogliamo farlo.
Serve cultura, dunque. Il cambiamento inizia dalla
guerra all’ignoranza. I governi adottano occulte politiche “culturali” di
orientamento comportamentale dei cittadini. Nessuno ne è immune. Il cambiamento
sociale è studiato a tavolino ed guidato nei modi e nei tempi. Nessun
cambiamento vero, concreto e reale potrà mai provenire dalle
istituzioni. Le istituzioni cooptano la ribellione e il dissenso
mercificandole. Potete comodamente acquistare una bellissima e costosissima
maglietta dei Clash, di Che Guevara, e di qualunque altra icona “ribelle”,
nell’ipermercato più vicino a voi, assieme all’iPhone 6, all’insalata e al
latte. Potete fare finta di essere ribelli, eversivi o rivoluzionari
senza infastidire nessuno: il Sistema ve lo permette, e permettendovelo vi
disinnesca. Avete pagato l’acquisto di un’icona (Che Guevara, Clash,
ecc.) che rappresenta esclusivamente il vostro consenso alla società
egemone. Non siete ribelli, siete fantocci.
Tutto ciò che si può comprare è politicamente innocuo.
Perché assegnare un valore economico (prezzo) a un presunto “nemico”, significa
annientarlo. Per questo la corruzione è la linfa vitale di questo Sistema; e le
istituzioni che ipocritamente dichiarano guerra alla corruzione, nei fatti la
sostengono e la alimentano. Sanno che la corruzione è l’humus che permette al
ciclo vitale neocapitalista di autoperpetuarsi.
Allo stesso modo, la criminalità, piccola o grande che
sia, organizzata o occasionale, è parte fondamentale (e fondante) del paesaggio
culturale neocapitalista. Serve, da un lato, per alimentare nella mente dei
cittadini l’atavico bisogno psicologico di distinguere tra “bene” e “male”,
“buono” e “cattivo”, “giusto” e “sbagliato”; dall’altro, serve ai governi per
tessere una rete di connivenze necessarie alla sopravvivenza del Sistema
stesso.
Il Sistema coopta, dunque, e rielabora qualsiasi
istanza di dissenso sociale e politico, e il dissenso “muore” nel momento in
cui diventa oggetto di ispezione sociologica e quindi suscettibile di
mercificazione; quando, cioè, diventa un “espediente” per vendere.
Se vedete tanti proclami ribelli e slogan di dissenso
in ogni forma possibile (film, musica, arte, TV, ecc.) che richiamano
rivoluzionari, ribelli e sovversivi del passato, non è perché la società ha
preso coscienza di un nuovo modo di essere e ha eletto costoro a icone
di un nuova politica. Semplicemente: il “recupero” uccide il dissenso, e il
carceriere che vi concede di protestare sa che la vostra protesta non è
che l’ennesimo contributo alla derubricazione della libertà. Il dissenso
vero, “pericoloso” e agente di cambiamento non attende permessi o concessioni.
Nasce naturalmente e si esprime naturalmente. Fin da un attimo prima della
nostra nascita, tutto è studiato e predisposto per reprimere in noi questo
dissenso naturale e orientare il nostro comportamento verso direzioni
prefissate.
Tutto questo è noto, talmente noto da essere diventato
abitudine, talmente “abituale” da essere ormai banale. Tuttavia, di tanto in
tanto è bene ricordarlo, perché il futuro che abbiamo davanti è distopico, e
non sarà una guerra o un’epidemia a sterminarci. Sarà l’abitudine
all’ignoranza.
Massimiliano Manocchia
Grazie di cuore, fratello...
RispondiEliminaCiao ragazzi. Post eccezionale di Massi, che condivido pienamente... nel bel mezzo degli incredibili e fantastici post di Bart...Mi pare che lo pubblico anche io.
RispondiEliminaUn saluto
Ciao ant mi mancavi.
RispondiEliminaCiao fratello...ho avuto un po' di casini (non l'umanoide democristiano) ma ho letto tutti i tuoi post.
RispondiEliminaÈ un bell’articolo. Tuttavia, penso che dissentire costi molto caro e che una cultura realmente antagonista alla Cultura ufficiale non sia ancora nata. Il motivo è semplice: la Cultura ufficiale è un blob che assorbe, disintegra e mercifica ogni opposizione. Perciò tutto ciò che diventa icona (Che Guevara, i Clash) è massificato e può essere venduto alle masse stesse. Come uscire da questa trappola?
RispondiEliminaAspetto di leggere un tuo pezzo su questo argomento, e sarei lieto di ospitarlo, se ti fa piacere sul mio blog.ciao Ettore
RispondiElimina"La rivoluzione dal divano", un titolo plausibile per una plausibile "tavola rotonda virtuale" a tema cultura, blog, dissenso.... e musica... vediamo se qualcuno ha coglia di partecipare, o coordinare... facciamoci vivi...
RispondiEliminal'unico difetto, a parer mio, sarebbe aggiungere parole a parole... rimanendo fumosi e ineggicaci, un problema connaturato alla rete del resto...