Sono rimasto in compagnia della
musica bevendo e rinvangando, quelle cose che mi avevano reso la vita meno
dura. Ci ho messo anche lei. I suoi seni, le sue cosce, la sua bocca, i suoi
desideri, e le mie voglie. Nella mattinata ho scaraventato tutto dentro un
secchio profondo e buio, e mi sono assopito. Tutto qua. Quando mi sono svegliato, nella piccola cucina ho fumato un paio di sigarette, e ho pensato che avrei
fatto bene a dimenticarla, e anche in fretta. Dopo il telefono ha squillato, e sono
trasalito. Ho alzato la cornetta, ma non ho detto nulla. Sapevo che c’era lei dall’altre
parte del filo. Con un tono falsamente imbronciato, mi ha salutato e poi ha
riso, ma era un riso scosso, nervoso, di chi sa che la sua preda sta per sfuggirgli
di mano. Ho guardato la bottiglia di scotch, e dalla finestra ho sbirciato il
cielo rosso. Ero il suo trofeo da esibire in pubblico. Da presentare alle
amiche. Il suo cane da guardia. Ma anche per chi era stato sbattuto troppe
volte nella tempesta, quella era una roba troppo faticosa. Allora ho chiuso la
comunicazione, e quando ho ripensato al suo corpo, mi è mancato il respiro.
Bartolo Federico
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