Erano quasi le dieci di
una mattina di fine maggio, senza sole e con le nuvole dietro la collina che
minacciavano una pioggia torrenziale. Me ne stavo sotto la pensilina di legno
della veranda di casa di Melissa e guardavo il Mississippi scorrere. Lei era in
ospedale, dove lavorava come infermiera. La mattina, quando era uscita, mi
aveva baciato sugli occhi che ancora dormivo, sussurrandomi di fare la spesa
perché “di lì a poco il frigorifero
avrebbe fatto le ragnatele”. La sera prima avevo suonato, dopo
l’esibizione di Zach Williams and the Reformation, con una band
locale dei vecchi classici del blues e avevo tirato tardi. Mi ero divertito
parecchio insieme a quei ragazzi ed anche il pubblico aveva gradito, visto
l’entusiasmo che si era scatenato a riascoltare quelle vecchie canzoni, che
sono la spina dorsale della musica del Delta. Avevamo reso omaggio a Charlie
Patton, e al suo blues selvaggio e ispido, che sapeva, essere anche tecnico
e sofisticato. Fu tra i primi a utilizzare le accordature aperte per suonare in
slide con il collo di bottiglia.
Quel piccolo (appena un
metro e sessanta di altezza) grande bluesman era un uomo di forte personalità,
individualista e vagabondo ma con una miniera d’oro in fondo al cuore. Aveva
capacità artistiche non comuni che lo fecero diventare una stella nell’ambiente
del Sud. Fu uno dei primi bluesman ad avere un repertorio di canzoni scritte di
proprio pugno: “Pony Blues”, “The Dirty Road”, “ Banty Rooster
Blues” e se ne andava con questo tesoro lungo il Mississippi accompagnato
dal suo fedele amico, il chitarrista Wille Brown, suonando in qualsiasi
posto fosse possibile, dando mostra delle notevoli capacità di showman. Riusciva
sempre a infiammare le platee perché era un grande istrione, pieno di voglia di
comunicare che era anche una caratteristica del suo modo di fare blues. Charlie
Patton suonava la chitarra come un funambolo, tenendola tra le ginocchia o
dietro le spalle, molto tempo prima che lo facesse Jim Hendrix. Nei suoi
duri blues raccontava di sceriffi e guardiani, “High Sheriff Blues”, ma
anche della provvisorietà della vita, “Oh Death”, toccando temi come la
droga, “Spoonful Blues”, o l’ecologia, “High Water Everywhere”,
cantando con una voce rauca e sabbiosa come il fondo del suo fiume. Da Howlin’
Wolf a Elmore James, passando per Robert Johnson, Muddy
Waters e Son house, tutti gli sono debitori.
Patton fu anche il
progenitore di uno stile di vita depravato e dissoluto che ebbe molti epigoni
nel rock’n' roll. Fumava e beveva esageratamente, andava a puttane ed era
rissoso e irascibile. Si sposò una miriade di volte e fini più di una volta in
galera. Insomma il padre putativo di Keith Richard. Bob Dylan,
uno che ha il blues tatuato nel cuore, gli ha dedicato una canzone,“High
Water”, nell’album “Love and Theft” ed io gli sono grato. Acque
alte che crescono, le baracche crollano giù, La gente perde le sue proprietà -
sta lasciando la città Bertha Mason lo ha scosso, lo ha spezzato, poi lo ha
appeso al muro. Dice, “Balla con chi ti dice di farlo o non ballare per niente”
Lì fuori è dura, Acque alte dappertutto.” Mentre il chitarrista John
Fahey ha raccontato la sua storia in un libro: Charlie Patton
(Studio Vista, Londra 1970).
Raccolsi il biglietto
della spesa dal tavolo, uscii da casa e m’incamminai per andare al supermercato.
Il vicino di Melissa stava lavando l’automobile tirando via lo sporco con una
spugna insaponata. Quando gli passai accanto mi lanciò un’occhiata fugace
L’occhiata di un uomo che non bada ai fatti propri. Però,tutto sommato, non
potevo dargli torto: ero uno straniero e non è che passassi inosservato con
quei lunghi capelli, i jeans a zampa d’elefante, la camicia aderente, gli
stivaletti e il gilet con le frange. Parevo fuoriuscito da una copertina di un
vecchio disco di Southern Rock, un reduce allampanato degli anni 70. Quando
il rock divenne monotono come una maglia sformata da infilarsi tutti i giorni,
ecco che dietro l’angolo fu pronto il mutamento. Una generazione di musicisti,
stufa dei lustrini ormai sbiaditi del glam rock e della leziosità borghese del
progressive, riportò tutto a casa. Gli tolsero le incrostazioni, i sedimenti
che lo avevano imbambolato e lo fecero nuovamente suonare in maniera forte e
aggressiva, ma anche melodica. Gli restituirono la voglia di vivere, di
divertirsi. Quella forza trascinante, naturale e istintiva, che è nel suo DNA e
che conquistò subito quel pubblico d’insoddisfatti che voleva altro rispetto a
quelle saghe barocche in cui si era impantanato. Lo ricondussero cosi al suo
stato primordiale, prendendo spunto da Elmore James, T-Bone Walker, Muddy
Waters e dall’esperienza di band come Cream, Zepp, Who,
Faces, Rolling Stones. E ripartirono con orgoglio per una
nuova musica tutta americana. I ragazzi che fecero parte di questo movimento e
che formavano i vari gruppi divisero tutto come una grande comunità hippie e il
denaro fu veramente l’ultima delle loro preoccupazioni. Per questo motivo il
rock suonò libero e innocente. Macom, una città della Georgia,
divenne il centro della scena, dove i musicisti divisero casa, famiglia e anche
vizi di vario tipo. Famosa a tal proposito fu la Big House degli Allman
Brothers Band, dei fratelli Duane e Greg Allman, che insieme ai Lynyrd Skynyrd
di Ronnie Van Zandt, ai Wet Willie, alla Marshall Tucher Band dei
fratelli Caldwell, furono i principali protagonisti della scena musicale.
Feci la spesa stando
ben attento a non dimenticare nulla. Non volevo deludere in nessun modo
Melissa, che era premurosa e felice di avermi con sé. Lei era stata l’unica
donna a riuscire a illuminare i miei angoli bui. Nulla succede all’improvviso,
alla fine basterebbe guardare meglio negli altri e in noi stessi per capire
come vanno le cose. Melissa lo sapeva che prima o poi il mio sangue zingaro mi
avrebbe costretto nuovamente a vagare senza meta per rincorrere quella cosa che
non avrei mai raggiunto. Ma proprio per questo ci amavamo, perché ognuno di noi
aveva il suo mondo parallelo, la sua linea d’ombra, il suo giardino segreto
dove conservare qualcosa per sé. Ed entrambi lo rispettavamo. Quando arrivai a
casa raccolsi dal pergolato dei fiori che appoggiai sul tavolo dell’entrata,
mangiai dei biscotti e disposi nel lettore il cd che Zach Williams and the
Reformation mi avevano regalato dopo il concerto della sera precedente. “Electric
Revival” era il loro debutto. I ragazzi erano galvanizzati per come si
erano messe le cose. Stavano suonando in tutti gli States, e raccoglievano
consensi da più parti. Si preparavano anche per un tour in Europa. Quella sera
omaggiarono la Marshall Tucher , con una bella versione di “Cant’You See”
e i Corvi Neri con “Wiser Time”.
I Reformation sono una
formazione ben impostata, con musicisti di ottimo livello, dediti al verbo del
rock di matrice sudista. Zach, nonostante la giovane età, ha una voce con la
giusta dose alcolica. La chitarra di Robby Rigsbee, disegna traiettorie
che riportano direttamente ai giorni in cui Ronnie Van
Zandt bruciava i suoi giorni vivendo di corsa. Nelle loro canzoni nulla
suona patetico o superfluo, anzi riaccendono quello spirito rock, potente ed
elettrico, che è alla base di tanta musica da strada che parte dai Creedence
e arriva allo Steve Earle di “Copperhead Road”. Luther
Dickinson, dei North Mississippi All Stars, dà una mano a questi
“ Angeli con un’ala rotta”, suonando per loro la sua sfavillante chitarra.
Avevo il volume alto e
non senti Melissa rientrare. Mi prese alle spalle mentre stavo seduto sul
divano e mi cinse il collo con un abbraccio proprio mentre stavo ascoltando
Zack che cantava “ Take Me Home ”. Una gettata di emozioni mi attraversò
il cuore mentre la osservavo. Portava i jeans e una camicia color ottanio
attillata. E un foulard dello stesso colore le legava i capelli. Mi sorrideva
ed era bellissima. Il cielo si era rasserenato. Adesso era di un blu intenso,
come solo al sud si può vedere. Mentre lei preparava la cena, mi sporsi sulla
veranda e osservai il Mississippi. In quell’attimo mi tornarono in mente le
parole che aveva scritto Jack Kerouac in On the road: ”E
qui per la prima volta vidi il mio adorato fiume, il Mississippi, asciutto
nella calugine estiva, l’acqua bassa con quel suo forte odore che è lo stesso
del crudo corpo dell’America perché la lava tutta”. Poi scrutai
la strada, lì immobile, pronta in ogni momento a riprendermi con sé. Ma quando,
rigirandomi, incrociai i suoi occhi fui certo che stavolta mi avrebbe atteso
per molto tempo.
Bartolo
Federico
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