venerdì 10 febbraio 2017

Rotolare E' Facile

Dalla finestra osservai il cielo farsi ancora più scuro, mentre dallo stereo la voce di Lowell George attaccò Dixie Chichen. Alle volte certi dischi rispecchiano il tuo stato d’animo, altri ti spingono verso le tue radici. Con i Little Feat sono diventato adulto, e ci ho regolato un sacco di conti interiori. Nei giorni in cui anch’io mi sono alzato al mattino con la gola raschiata dalle troppe sigarette, e un freddo nelle ossa, che non se ne andava in nessuna maniera. Ma quelle canzoni sembrano ancora possedere la chiave della serratura. Non sai mai il perché questo accada ma serpeggiando, sterzando e stridendo, sanno come arrivare in cima alle scale del tuo cuore. Sailin’ Shoes (1972) e Dixie Chichen(1973) suonano quel blues&roll maledetto, che ti fa tremare come una foglia nel buio della notte. Ha con sé quel furibondo richiamo della strada, che con le sue speranze e i suoi desideri, conficca i suoi speroni nella profondità della tua anima. Hanno il ritmo dello sferragliare dei treni, e il sapore delle cose perdute. E’ come se tutto il sangue caldo del Mississippi, scorresse dentro il corpo di Lowell George. E poi quando senti Roll Um Easy una di quelle ballate dolenti e drogate di romanticismo mistico, i falliti del mio stampo, sentono di poter riprendere a sognare. Oh I am just a vagabond. A drifter on the run. And eloquent profanityIt rolls right off mq tongue. And I have dined in palaces. Drunk wine with Kings and Queens. But darlin', oh darlin'. You're the best thing I’ve ever seen. (Roll Um Easy) Da ricordare anche il doppio album Waiting For Columbus del 1978, registrato al Rainbow Theatre di Londra. Un album che sta sul podio dei migliori dischi degli anni settanta, insieme At Fillmore East degli Allman Brothers Band, anno di grazia 1971. Waiting For Columbus è uno di quei live che se non lo hai mai ascoltato, ti sei davvero perso qualcosa nella vita. Sul palco i Little Feat suonano da paura, stirando le versioni dei loro classici in maniera impressionante. Quello che viene fuori è una musica solida, diretta, e mai troppo innocente, come non lo è mai il blues e la malinconia. Nonostante tutto questo tesoro musicale Lowell George è uno di quei musicisti di cui si parla sempre troppo poco. E non c’è peggio di un agonia troppo lunga, per finire del tutto dimenticati. Con l’età che avanza sono diventato debole e vulnerabile, come lo era Lowell George quando devastato dai suoi vizzi nel 1979, pubblicò quel bellissimo disco solista che è Tank’s, I’ll Eau It Here. Ma si era spinto davvero oltre Lowell, per riuscire a venirne fuori integro. Nel maggio di quello stesso anno, un attacco cardiaco si portò via un uomo sincero e vero, un musicista eccellente, un bambino sperduto nella grande terra desolata del rock’n’roll, che sapeva scrivere grandi canzoni con gli occhi e il cuore pieni di pioggia, e una malinconia indelebile cucita nell’anima.










2 commenti:

  1. Ci fu un periodo che mi era presa una fissa per i Little Feat, non ascoltavo altro

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  2. Lowell era uno con il cuore al posto giusto.

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