domenica 27 ottobre 2013

Fuggiasco

Stavamo sdraiati sulla schiena guardando il soffitto ed Helena mi chiese chi ero. La domanda mi colse talmente di soppiatto che trasalii. Quando sei mesi prima ci eravamo conosciuti avevo sperato che ciò non accadesse. Ci avevo sperato sapendo di non poter dare spiegazioni, sapendo che non avevo nulla da offrirle eccetto le mie paure. Nonostante tutto cercai le parole migliori per spiegarmi, ma era come se le stesse mi morissero dentro. Era evidente che per lei qualcosa era cambiato. Forse aveva dato spazio ai sentimenti o forse ero io che mi ero illuso da quella notte in cui c’incontrammo in un bar di Tijuana. Entrambi avevamo fatto il pieno di tequila e Cerveza, riso e chiacchierato come se ci conoscessimo da sempre. Poi giocando d’attacco lei mi aveva invitato a casa sua. Sgusciammo in strada abbracciati ma ad un tratto mi spinse contro il muro e disse: niente sentimenti, ed io che di norma ero molto prudente annuii col capo. La radio sul comodino gracchia in sordina, mi sembra di riconoscere la canzone ma crollo in un torpore e mi addormento. Quando riapro gli occhi è già mattino. Sulla poltroncina ai piedi del letto c’è la mia valigia. E’ il suo chiaro invito ad andarmene. Helena è già uscita e non posso biasimarla per questo. Mentre mi vesto penso che forse è meglio che le cose vadano così. So bene com’è che funziona, quel che è nuovo è sempre bello, poi con il passare del tempo ci saremmo rinfacciati tutto, avremmo cominciato a mettere steccati per dividere i nostri confini e alla fine ci saremmo odiati. Quando esco dal portone e mi ritrovo in strada un vento caldo mi colpisce in pieno viso. Eccomi di nuovo solo e senza un posto dove andare . Fa niente penso, io me la cavo sempre in un modo o nell’altro. Mi recai ai telefoni pubblici, avevo voglia di sentire Jack, speravo che fosse rientrato dal suo viaggio. Composi il numero e mi rispose al primo squillo. Era la mia giornata fortunata. Mi raccontò che aveva contratto la malaria ma che adesso stava molto meglio. Parlammo a lungo del più e del meno e mi rassicurò che l’avvocato aveva fatto un buon lavoro. “Le cose volgono al meglio, rientra”, mi disse, “ma fa attenzione a non combinare casini quando passi il confine! Il mandato di cattura è sempre valido”. Mi consigliò alcuni percorsi per evitare i posti di blocco dei federali e aggiunse che mi avrebbe atteso a Denver. Prima di chiudere la comunicazione, non so perché, gli parlai di Helena e dell’anima. Quando finii di vestirmi, dal cassetto dove Helena teneva i contanti presi quanto mi bastava. Le scrissi un biglietto rassicurandola che le avrei restituito il denaro non appena possibile e di non dubitare di me. Le scrissi anche: Quel che mi hai dato non lo getterò mai via. Grazie di tutto”. Affittai una Chevrolet Baby Blazer LT, e pagai in contante cosa che fece insospettire l’impiegato. Allora gli allungai una banconota da cento e il messicano mi sorrise amichevolmente. Firmai i documenti per l’affitto con le generalità false ed uscii dal parcheggio. L’auto era in buone condizioni ed aveva un impianto stereo da mille e una notte. Sulla strada per il confine mi fermai in un centro commerciale dove acquistai biscotti secchi, cibo e frutta in scatola e delle cassette d’ acqua potabile . Comprai anche dei Ray-Ban fasulli, e una guida delle strade blu come mi aveva suggerito Jack.Mentre caricavo la spesa nel bagagliaio mi accorsi di un negozio di strumenti musicali che stava all’angolo della strada. Mi incuriosì l’insegna: “The Lobo Solitario”. Terminai di caricare, chiusi la macchina e andai a vedere. Dentro era veramente piccolo che si faceva fatica a entrare e straboccava di strumenti acustici vintage. Mi fermai a scrutare le chitarre; c’erano veramente pezzi pregiati , ero ipnotizzato da tanta bellezza che non mi accorsi che il proprietario mi salutava calorosamente. L’uomo aveva l’aria di chi sa il fatto suo; ricambiai il saluto e gli feci i complimenti. Non avendo denaro a sufficienza per lasciarmi stregare da una di quelle meraviglie, gli chiesi se avesse dei Cd usati. Si chinò sotto il bancone è tirò fuori due scatole di cartone piene zeppe. Scartabellai velocemente i Cd e ne tirai fuori un paio che facevano al caso mio. Il Signor Cesar , così si chiamava, li contò. - Dieci in totale- , disse, guardandomi negli occhi, - ma per quanta polvere hanno accumulato, sono una sporca decina. E rise di gusto. Gli sorrisi, pagai il conto e ritornai alla macchina. Al primo rifornimento feci il pieno, lavai i vetri e bevvi una birra. Proseguii verso il confine e ci arrivai che era quasi il tramonto. Per non dare all’occhio mi infilai dietro un SUV nero. Arrivammo alla barriera che il cuore mi scoppiava. Le guardie fecero un controllo accurato al SUV che durò parecchio. Notai che c’era molto nervosismo tra i poliziotti, finché, armi in pugno tirarono fuori gli occupanti e li fecero sdraiare faccia in terra. Pensai che fosse finita anche per me, invece dopo un’occhiata veloce ai documenti alzarono la sbarra e mi fecero passare. Guidai lentamente per una trentina di miglia e ad un bivio fermai la macchina. Spensi il motore e scesi. Feci qualche passo e mi sentii stanco, profondamente stanco, ma non era sonno. Ero stanco di scappare, di correre da un posto a un’altro sempre appeso ad un filo, ero stanco di perdere tutto era come se avessi fatto un capitombolo e non riuscissi più a rialzarmi. Le ombre della notte fecero capolino, allungandosi nel deserto e nel mio cuore. Helena era speciale, lo capì dal primo momento che la vidi e provai una grande tristezza in quel luogo desolato. Jack, il vecchio Jack me lo sussurrò al telefono: Lungo il tragitto avrai tutto, ragazze, visioni, tutto; in qualche punto lungo il tragitto ti sarà donata una perla!”. Mi rimisi in macchina, accesi il motore  e guardai il deserto, inesorabile, inospitale. Ripartii sgommando, e non mi accorsi che stavo piangendo.

Bartolo Federico 

2 commenti:

  1. Grande Bartolo,i tuoi racconti,le tue visioni mi piacciono e mi coinvolgono.
    Ti auguro tutto il bene possibile.

    RispondiElimina