E’ davvero piacevole un
posto nuovo. Ci vuole un po’ perché la gente impari a conoscerti. Ed è di
questo lasso di tempo che conviene approfittare per godersi un po’ la vita,
perché dopo, statene certi, si daranno da fare per trovare un modo per fottervi.
Gira e rigira, scopriranno la via da dove è più facile ferirvi. Il motel sulla
strada 61 era messo, male sembrava cadesse a pezzi per come era ridotto. Ma ero
troppo stanco per proseguire. Nel buio pesto della notte posteggiai l’auto ed
entrai. Il proprietario, seduto dietro un bancone scalcinato, mi osservò
attentamente e con fare indisponente mi chiese i documenti. “Dall’aspetto mi
sembri un musicista”, disse, “sei venuto nel sud per il blues, vero?” e prosegui
“quella tiritera è una rottura di coglioni, dopo due tre pezzi diventa noiosa
sia ascoltarla, che suonarla. Lasciatelo dire da uno che se ne intende. Tutto
il mondo adora i Beatles anche quel pazzo di Charles Manson, quella sì
che è musica!” Doveva appartenere al Ku
Klux Klan meditai, per cui restai in silenzio. Dalla sacca da viaggio
estrassi il portafoglio e mi avvicinai al bancone. Sotto la luce fioca della
lampadina gli tesi un documento e lo scrutai. Era sulla cinquantina di corporatura
media. Portava capelli lunghi incanutiti, divisi da una riga nel mezzo, che gli
ornavano degli occhietti chiari ed un naso acuminato. Il suo abbigliamento era
anonimo come quello di un impiegato delle poste o del catasto, ma aveva dipinta
sul volto un’espressione che esprimeva tutta la sua ostilità. Quella faccia mi
ricordava qualcuno che avevo intravisto di sguincio tempo addietro in una
piccola foto. Qualcuno che, come lui, allora avevo catalogato come una vera faccia
di cazzo. Firmai il foglio delle generalità e agguantai la chiave della camera.
Quando girai le spalle il tizio mi mormorò qualcosa dietro.Ero talmente stanco che
avevo solo voglia di dormire e feci finta di nulla.
In un pericoloso e
pittoresco quartiere chiamato Deep Ellum
a Dallas in Texas nel 1920, accompagnato
da un adolescente T-Bone Walker che
gli regge la lattina per le offerte e custodisce gli incassi, si aggira
suonando agli angoli delle strade il cieco bluesman Lemon Jefferson. Non temete
gente avvicinatevi ad ascoltare quest’uomo. Non vi restituirà lo sguardo i suoi
occhi sono solo bulbi, ma è con il cuore che vi parlerà. La sua tazza ogni
giorno si riempie di elemosina, straripa di soldi, fa buoni affari quest’uomo
rissoso, puttaniere e ubriacone. E’ lui il primo cantautore della storia del
blues. Ed è dotato anche di una grande abilità nel suonare la chitarra. Disegna
fraseggi irregolari dilatando l’assetto ritmico della canzoni e costruisce
complicate strutture armoniche. Sa anche improvvisare, arricchendo il suo blues
con accenni jazzistici. La sua voce, poi, è alta e chiara, ha vigore, proviene
direttamente da quei binari dell’anima raschiati dal dolore. O la sua strada è oscura e solitaria. non
guida nessuna Cadillac. O la sua strada è oscura e sacra. Non guida nessuna
Cadillac. Se quel cielo gli serve come occhio. Allora la luna è una cataratta (Nick
Cave - Blind Lemon Jefferson).
Quando non hai più niente da
perdere puoi incominciare da dove vuoi. La strada è lì che aspetta. Memphis
Slim lo aveva cantato che ”devi piangere un poco, morire un poco”
per capire cos’è il blues. Colpi di pistola, bottiglie di bourbon, case
abbandonate, desolazione, vecchi bar, cocci di vetro, viali alberati, muri
scrostati. Polvere e cielo. Chitarre da due soldi, melodie soffocate in un lamento
notturno. Due monetine, una è per te, una è per i sogni. Tre anni bastarono a
Lemon Jefferson per diventare uno dei musicisti più importanti del country
blues. Un centinaio di titoli, registrati tra il 1926 e il 1929, lo
fecero assurgere a cantante di successo nell’America dei neri insieme alle
regine di quel tempo Bessie Smith, Gertrude
Rainey e Ida Cox. Fu anche il primo, insieme a Gertrude Rainey, a
figurare sull’etichetta dei suoi dischi. Pur cieco, Lemon Jefferson trovò
sempre la strada di casa, ma non la notte in cui si perse in una tormenta di neve e
mori. Di lui ci restano le sue canzoni e quell’unica foto arrivata fino ai
nostri giorni che ci mostra un uomo robusto di età indefinibile con gli
occhialini da vista su due pupille agghiacciate dal buio
.
La sera dopo il mio arrivo me ne sono andato per come
sono arrivato, da quel motel e dal signor Charles, un vero uomo bianco del sud,
uno con una voce tremenda, che ogni volta che apriva bocca sparava cazzate. Glielo
dissi sull’uscio della porta prima di sparire. “Quando ti viene il blues è il
cuore che parla; veda di trovarlo da
qualche parte, il suo, signor Charles! Perché io questa notte ho una stella nel
cielo che mi segue, che brilla. E, nascosti da qualche parte nell’oscurità, ci
sono pure due occhi che mi guardano e mi
fanno luce. E se la luna è nel rigagnolo, io non ho paura, signor Charles! No,
non ho paura, c’è il cieco Lemon Jefferson accanto a me”. Sorse il gran vecchio sole del mattino.
lunghe erano le ombre degli alberi. Proprio dal ramo a cui avevo appeso la
chitarra (Blind Lemon Jefferson - Nick Cave).
Sono dentro un sole
accecante, in un giorno vestito d’estate, anche se sono i primi di maggio. Mi ero
riempito gli occhi e l’anima di vento e polvere e avevo guidato tutto il tempo,
accompagnato dal blues suonato da un bianco. Un vocalist, ma anche bassista e
armonicista un certo Paul Williams. Il
tizio possedeva un buon pedigree, aveva suonato con Alexis Korner e Georgie Fame
prima di far parte dei Wes Minster Five,
un gruppo che suonava R&B. Nel 1964 fece parte della Big Roll Band guidata da Zoot
Mooney con cui registra due album. Poi sostituisce John
McVie nei Bluesbreakers quindi per un paio di mesi suona con il grande
John Mayall. Dopo, fa altre cose,
più o meno importanti, fin quando nel 1973
registra in Memory of Robert Johnson.
Il manager dei Kinks, Nigel Thomas, gli supporta il progetto,
mentre la casa discografica svedese Sonet accetta di registrare l’album. Nel
disco ci suonano fior di musicisti: Bob
Hall al piano, Glenn Campbell
alla steel guitar, Spencer Davis, Alun
Davies, John Mark e Mick Moody alle chitarre e Pat Donaldson al basso. Paul
Williams si mette sulle strade del diavolo con umiltà e passione, sapendo bene che c’è un abisso tra lui e quel nero,
che non potrà mai agguantarlo. E tuttavia, il blues che ne esce fuori suona
sincero e penitente, la sua voce graffiante ha energia e creatività, che quasi
mi vien voglia di abbracciare il mondo e andarmene in paradiso. Ma sono solo e
sperduto qui nell’inquieto Delta. Ci ho delle pietre sul mio passaggio e scuro
come notte è il mio tracciato. (Stones In My Passway -Robert Johnson)
Mi fermo alla pompa di benzina per fare il pieno,
prendo anche un caffè dalla macchinetta a gettoni e scambio quattro chiacchiere
con il benzinaio. Dopodiché me la filo tuffandomi su una strada che spiana la
strada. Sembra che ce le siamo sposate le nostre pene, non le molliamo mai. E
allora si finisce anche per amarle un po’. La musica di Big Bill Broonzy riempie l’abitacolo, il suo blues, anche se non è
straziante come quello di Lemon
Jefferson o di Son House, non ha nulla di meno. Broonzy canta con voce tonante
e dolente. In più, ha quel riso amaro che ti vien fuori quando ti senti oppresso.
Se è vero che le nostre verità le troviamo solo di notte, è anche vero che alle
volte non ci accorgiamo neppure di cosa siamo diventati e di come il tempo ha
cambiato tutte le nostre prospettive. Frank
Broonzy era un diacono della chiesa battista ed era severo con i suoi figli,
non permetteva loro di pescare di giocare a biglie la domenica, nè soprattutto
di cantare il blues. Se avesse saputo che suo figlio un giorno sarebbe diventato
un chitarrista del diavolo, probabilmente gli sarebbe venuto un colpo. Affinché
questo non accadesse e per dissuaderlo da ogni tentazione, gli raccontava
spesso la storia di un ragazzo che si era seduto sui gradini della chiesa a
fischiettare il blues. Un uomo gli si era avvicinato rimproverandolo e con il
dito teso gli aveva detto ”ragazzo, domani sarai di nuovo su questi
gradini, ma non fischierai”. Il giorno dopo il giovane fu trovato morto
su quegli stessi scalini.
Accidenti!
E’ bastato un attimo di distrazione che sono finito su una strada secondaria
che sobbalza, si ingobbisce, s’inerpica. Una di quelle strade in terra battuta,
piena di sterpi, che costeggia un torrente completamente asciutto. E non so
perché adesso mi sento finalmente libero mentre vago sotto i cieli del sud.
Aveva fatto il bracciante Big Bill e
guidato il mulo mentre attorno a lui l’atmosfera era stracarica di musica. Quando
un violinista chiamato See-See Rider
gli fece ascoltare delle canzoni rurali, gli si accese dentro il fuoco sacro
del blues. Dall’esempio di quel musicista anche lui si costruisce un violino,
utilizzando una scatola di sigari e, con
una più grande, una chitarra e inizia a strimpellare le canzoni che See-See Rider gli insegna. Suona di
nascosto alla sua famiglia ed è costretto a occultare gli strumenti sotto le
assi del pavimento perché sua madre voleva che diventasse predicatore. Se non
ci fosse stato Big Bill Broonzy, molti neanche se ne sarebbero accorti dell’esistenza
del blues. Young Big Bill Broonzy
1928-1935 è la più bella collezione di canzoni di questo magnifico
chitarrista, troppe volte bistrattato solo perché il suo eclettismo musicale era
di difficile categorizzazione. E se qualche volta, come è capitato, ha ecceduto
nelle moine musicali, è stato solo per la paura di rivivere la grande povertà
che lo aveva segnato. Sfido chiunque a fare il contrario. Il Delta non è solo un posto geografico, è
pure uno stato dell’anima. Questo penso nel
momento in cui sto attraversando una Ghost
Town, fatta di sole cinque case . Il cielo è diventato grigio e, ad un
tratto, mi prende uno strano smarrimento. Allora ripenso a quello che mi ha
detto un giorno Jack, il mio vecchio
amico Kerouac: ”viviamo per desiderare, così io
desidererò, e scenderò giù verso
altri luccichii altrove”. Il diavolo possiede tutti i trucchi per
tentarci. Se si vivesse così a lungo da conoscerli tutti, quei trucchi, non si
saprebbe più dove andare, per ricominciare con la felicità. Avevo ancora molta
strada da fare, camminando nella malinconia. Con la polvere negli occhi e i
buchi nelle scarpe. Ho appeso al chiodo i finimenti. La vecchia tuta ho gettato via.
Ho detto addio alla vecchia zappa. Big Bill non tornerà mai più (Big Bill
Broonzy).
Bartolo Federico
Peccato aver trovato questo luogo da poco tempo. Spero comunque di poter continuare a passare di qui, e rifugiarmi in queste stanze piene di musica.
RispondiEliminaSarà solitudine condivisa.
grazie Elena, terrò duro fin che posso.E che alle volte mi sento come un blues tenebroso.benvenuta.
RispondiEliminaho visto un closing time per fortuna cancellato. i blog non sono la risposta al male di vivere, sono un modo per aiutarci a sfogare i nostri blues. non so che altro dire, scusa
RispondiEliminagrazie Paolo lo aprrezzo molto.un abbraccio
RispondiEliminaQuoto Paolo e spero di non rivedere in giro post di chiusura!
RispondiEliminaLa mia mail è sulla home page del mio blog: se senti il bisogno di uno sfogo usala!
Ma, per favore, non rinunciare a Dustyroad!
evil sei un amico.grazie
RispondiEliminail BLUES è la mia vita. amo il BLUES che, come la vita, è verità. io ci sono e ci sarò sempre. sono col BLUES e con tutti coloro che lo amano. scrivi benissimo e sopratutto scrivi cose VERE. ti stimo.
RispondiEliminabenvenuto fratello di blues.grazie per la stima, ma vedrò di meritarmela ancora.un abbraccio
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