“La speranza è una
trappola” recitava quella frase. Scricchiolai un attimo. L’avrei letta su
un muro, sul vagone di un metrò, in un cesso, ci sarei passato sopra. Ma impressa
sul corpo di una chitarra elettrica mi ferì. La musica è l’unica speranza che
ho di uscire dal guado, e la chitarra il mio sogno di cambiamento. Ma se questo
è solo un inganno della mia mente, allora la smetto subito di ascoltare, fantasticare,
inveire, odiare, desiderare, imbrattare, offendere, scopare, urlare, strimpellare,
scrivere, bere. Bruciando all’istante tutti i miei 33 giri. E’ un mondo povero
e incolore quello che ci circonda, disperato e sterile. Tuttavia, finché ci cammino,
devo in tutti i modi sperare di venir fuori dal mio splendido isolamento, fosse
anche ascoltando per sempre un blues suonato da Captain Beefheart & His Magic Band.
Ero rientrato in casa dopo avere acquistato una bottiglia di Johnny
che Cammina, etichetta rossa, e mi ero messo a sorseggiare un dito di whisky
guardando fuori dalla finestra, che poi è anche il posto dove ho lo scrittoio. Tornando,
avevo incrociato i miei vicini di casa, padre, madre e un ragazzino di dieci
anni su una station wagon che aveva avuto giorni migliori, mentre andavano via.
Avevano caricato le loro cose: scatole di cartone, valigie, e degli abiti,
ammucchiando tutto alla rinfusa nel vano posteriore dell’auto. Tenevano tutti e
tre l’aria distrutta e gli occhi vuoti, come se qualcuno gli avesse scavato una
fossa dentro le pupille. La banca gli aveva preso la casa, dopo che erano stati
licenziati dal loro lavoro a tempo indeterminato non riuscivano più a pagare le
rate del mutuo. L’ufficiale giudiziario che si era presentato quella mattina
quasi estiva di fine ottobre era stato freddo e cinico, come una vecchia puttana
di fronte all’ennesimo cliente. Aveva eseguito il sequestro scrivendo fogli su
fogli, senza mai scomporsi. Neppure di fronte alle proteste garbate dell’uomo che
appariva prostrato e logoro, aveva battuto ciglio. Un uomo mediocre è arrogante
quell’ufficiale, ma aveva dalla sua i poteri conferitigli dalla legge degli
uomini. Quella stessa che protegge con costituzionalità le corporazioni del
gioco d’azzardo, o le cooperative onlus, care alla sinistra. Mezzi ideali per
il riciclo di soldi provenienti dalla vendita della droga, di armi, e dalla
corruzione politica. L’onestà è una cosa richiesta solo ai poveri; gli altri, i
ricchi, possono fare sempre quel che gli pare. Faccio il mio lavoro, disse quando
se ne andò via inseguito dai singulti della signora Giuseppina, la vedova con
tre figlie femmine che sta a pianterreno. Mettitelo su per il buco del culo
quel lavoro, pensai, lottando con ferocia con me stesso per non saltargli addosso.
Il monitor segnava le sedici e quarantanove. La radio aveva annunciato “la tempesta di natale” una perturbazione
che avrebbe portato pioggia, freddo, e neve. Che arrivi al più presto e faccia
cadere giù il cielo, e si porti via tutto una volta per sempre, imprecai, mentre
Move It On Over, un rock’n’roll inventato
da Hank Williams, cercava di far
cambiare almeno un po’ le cose intorno a me.
La musica del rock’n’roll si sente in giro. Quando ce l’hai
dentro non ce la fai a stare seduto. Ti scuoti, rompi tutto, per tutta la città.
(Hillbilly Music - Jerry Lee Lewis)
Nei dischi di Jerry Lee Lewis, in quelli incisi tra
gli anni cinquanta e sessanta, ci sono un pugno di canzoni di Hank Williams, come You Win Again, Jambalaya, Your Cheatin’
Hearts, Cold Cold Heart, Gone Lonesome Blues, Settin’ The Woods On Fire,
che Jerry Lee ha reinterpretato a suo modo, tanto che paiono un altra cosa. Ma
è proprio questa la forza delle canzoni di
Hank. Uno di noi. Le puoi prendere e farle suonare: punk, rock, metal,
folk, pop, tecno, rap, reggae, qualunque cosa. Sono motivi popolari, di
pubblico dominio, come le canzoni di Bob
Dylan o quelle contenute nell’ Anthology
Of American Folk Music, edita da Harry
Smith.
La musica country alla fine degli anni trenta era diffusa solo
attraverso le stazioni radio che la trasmettevano dal vivo finanziandosi con la
pubblicità. Da questo circuito, rivolto ad un pubblico di campagnoli che non aveva
denaro a sufficienza per comprare i dischi, scaturì anche la Grandiosa
Opera Della Musica Antica (Grand Ole Opry) di Nashville, l’istituzione della country
music. Hank Williams nacque povero e
con una malformazione alla colonna vertebrale (la spina bifida) in una capanna fatta
di tronchi nella campagna vicino Georgiana
in Alabama. E’ un mondo duro quello
in cui cresce, che puzza di sterco di cavallo e conosce cosa significhi
lavorare con la schiena calata. Un mondo dove l’inibizione e la povertà fanno maturare
la rabbia che, rinunzia su rinunzia, diventa risentimento e odio. Siamo agli
inizi degli anni trenta, in piena crisi economica, durante la Grande Depressione Americana, quella
raccontata da Steinbeck in Furore, un libro pubblicato nel 1939.
Tutto stava cambiando e un’intera nazione viveva amaramente quella
trasformazione sulla propria pelle. La manodopera, spremuta e mal pagata, e le
migliaia di americani in marcia verso una nuova terra promessa sembrano una
triste analogia con l’Italia di adesso. A sette anni come nelle favole Hank ebbe in regalo una chitarra, e
dopo qualche tempo incontrò per strada un lustrascarpe nero suonatore ambulante
di blues, un certo Tee-Toot che gli insegnò
alcuni trucchi per suonarla meglio. Non ci sono barriere nella musica con una
chitarra in mano puoi parlare a chiunque. “Ho una casa a Montgomery dove mi piace
abitare ma devo lavorare per la W.P.A. e sono scontento, sono scontento”.
È la prima canzone che Hank Williams
compose e cantò in pubblico, e parla di quel disfacimento.
Sono le dodici e dodici del mattino, tengo le mani sulle
ginocchia e guardo dalla finestra la pioggia spinta dal vento venire giù. Dopo
che lei se n’è andata dormo male e mi sveglio di continuo. Quando finiscono i
soldi si comincia a nutrire rancore nei confronti di chi pensavi che ti dovesse
mantenere, e dopo un po’ l’amore finisce. Avrei dovuto comprendere una cosa banale
come questa, ma mi era sfuggita, stramazzandomi al suolo. Non esiste la
sincerità, il vero potere è la corruzione, anche nei sentimenti. Stasera
qui giù nella valle solitaria sono solo e mi sento triste mentre sto qui nella
mia capanna da solo posso vedere il tuo palazzo sulla collina (A Mansion On The
Hill). Hank si esibisce nei locali di tutto il sud, suona presso le
stazioni radio e scrive, scrive, canzoni. Il ragazzo di campagna adesso è
arrivato in città nei locali malfamati, negli honky tonks, nelle strade
illuminate di notte con le auto che sfrecciano, e tutte le tentazioni a portata
di mano. Un luogo che è l’opposto dell’ambiente in cui è cresciuto. E’ uno
sincero, però, Hank è un puro, che canta ciò che sente nel cuore, per questo non
alza nessun guscio di protezione. Suona per tutti quegli uomini che, nonostante
le controversie della vita, non si sono lasciati travolgere dagli eventi. Certo,
lo fa per soldi, per il successo, ma con tutto ciò, non rinuncia mai a
mostrarsi per quello che è. Ha una voce aspra, strozzata, nasale, come il primo
Dylan. Ma è proprio quel tono
serrato del sud che lo rende credibile alla sua gente, che vive nella
privazione e nel dolore.
“Tu fai l’orgogliosa io faccio l’orgoglioso tu canti forte, io canto
forte stasera mettiamo legna sul fuoco e
fiamme. Ci facciamo il giro degli honky-tonky stasera ci divertiamo farò vedere alla gente un ballo nuovo di zecca
che non l’ha mai fatto nessuno” (Settin’The Woods On Fire).
Mi ero coricato ma non c’era verso che riuscissi ad
addormentarmi. Mi sono alzato e fatto un caffè, ho messo un disco di Neil Young e i suoi cercatori d’oro
sono venuti a prendermi. Non le volevo male, perché mai avrei dovuto? Non aveva
nessuna colpa, ma non ero stato neppure uno di quelli che gli aveva promesso
mari e monti. Sfortunatamente, non scorgiamo mai chi è pronto a colpirci alle
spalle. Eppure quella luce dovrebbe abbagliarci. Tutti noi mentiamo e abbiamo
due facce, ma non si può sempre nascondere tutto. Poi ognuno ha diritto a
cercarla, ovunque si trovi, quella felicità che cerca. Tuttavia, la ricchezza
non salverà l’anima a nessuno. “La gente ruba, inganna e mente per la
ricchezza e quello che può comprare. Ma non sanno che nel giorno del giudizio
l’oro e l’argento si dissolveranno” (A House Of Gold). C’è troppa gente
che vive ancora per la strada, nelle baracche, che non ha un lavoro, ed è senza
una qualunque tutela sociale. Gente abbandonata all’ombra di un altrui agio
esagerato da individui insensibili al dolore, perché vicino al cuore portano
solo il portafoglio. Non si può passare su ogni cosa una mano di vernice, per
non vedere lo sporco e l’orrore. Sotto quella mano resta quell’alone che rende
tutto stinto. Le canzoni di Hank Williams ridanno dignità a quelle persone
lasciate da sole senza nessuna direzione chiara e le fanno diventare protagoniste.
Gli parlano nella notte a tu per tu e fanno in modo che quel senso di
solitudine opprimente si affievolisca, restituendogli quell’energia per
consumare la vita anche nella miseria più assoluta.
Prima di Hank Williams
la musica country aveva avuto nella Carter
Family, e in Jimmie Rodgers, gli
artisti che contribuirono alla sua
espansione. Rodgers cantava ballate
in cui la gente si poteva rispecchiare ed era famoso per la sua ritmica jodel. C’è tutto nelle sue canzoni:
piacere, donne, whiskey, assassini, morte, malattie e miseria. A soli tredici
anni iniziò a vagabondare ed a esibirsi per la strada. Quando suo padre lo
riportò a casa e gli trovò un posto di lavoro presso la ferrovia, fu da quel
contatto con i manovali neri che nacque negli anni trenta la forma definitiva
del country-blues bianco. Morì a New York il 26 maggio del 1933 per un
emorragia polmonare presso l’hotel Taft. Aveva solo trentacinque anni.
Raggiunse fama e ricchezza, Hank, e andò ad alimentare quel mito
tutto americano del povero che c’è l’ha fatta con il solo aiuto del proprio
talento. Ma dentro di lui brucia il demone che ci spinge a bere troppo, a
drogarci troppo, a vivere senza mai fermarci un attimo per poter scrutare da
vicino la vita che passa. E la stessa cosa che succederà anche a Lenny Bruce, Jimi Hendrix, James Dean, Janis
Joplin, Jim Morrison, e a una miriade di altre persone senza volto. Più
porte spalanchi e più ti senti invincibile, e ti convinci che puoi avere sempre
ciò che vuoi. Anche se ad un certo punto ti senti fuori posto, continui ad
andare avanti fino a distruggerti. Un peccatore, Hank, per l’establishment di
Nashville, che non si poteva permettere di avere un drogato alcolizzato tra le
sue fila. Fu per questo motivo che venne anche cacciato dal Grand Ole Opry. Il suo matrimonio si
era sgretolato come tante altre cose nella sua vita, per quegli abusi dovuti in
gran parte per sopportare meglio il dolore alla schiena. “Perché non posso liberare la tua
mente piena di dubbi e sciogliere il tuo freddo, freddo cuore?” (Cold,Cold
Heart). Il rock’n’roll è musica ibrida che affonda le sue radici nel
blues, come nel country, che di per sé sono già mischiate. E’ musica che ti dà
quel senso di divertimento e piacere puro, che diventerà con Elvis qualcosa di travolgente. Ma senza
le canzoni di Hank Williams non ci
sarebbe stato il rock’n’roll.
Oh,
la pioggia sta lentamente cadendo e il mio cuore è così dolente. Più di sei miglia per lasciare
la mia cara e non rivederla mai più su questa
terra. Più di sei miglia al cimitero, sei
miglia lunghe e tristi. Sei miglia per lasciare la mia cara, e lasciare il miglior amico che abbia mai avuto. Oh, ho udito il treno arrivare e riportare
a casa la mia cara. Più di sei miglia al camposanto e sarò lasciato qui da
solo. Oh sei miglia... (Six More Miles To The
Graveyard)
Hank non aveva imparato le buone maniere, restava un uomo
rude e vagabondo, testardo come un mulo. Anche se era stato licenziato dal Grand Ole Opry, continuava a suonare
dove capitava. Quella sera aveva chiuso il concerto cantando “Ancora
Sei Miglia Per Il Cimitero” ed era risalito sulla macchina presa a
nolo. Accompagnato dall’autista si era mosso per raggiungere l’Ohio, dove un
nuovo spettacolo lo attendeva. Nella notte di quel capodanno del 1952 viaggiava
seduto sul sedile posteriore. Per il dolore alla schiena passò qualche ora
attraversata dall’angoscia, e anche da qualche pausa. Ad un tratto si tolse il
cappello, ma quasi subito se lo rimise, stappò una lattina di birra e bevve in
un fiato. Accanto a sé aveva la chitarra acustica, si sentiva stanco ma nella
penombra intonò la melodia di quella canzone che stava scrivendo: “Non
Uscirò Mai Vivo Da Questo Mondo”. Il sonno lo reclamava, avrebbe potuto essere migliore, se
avesse proceduto in un altro modo. Si drizzò sul sedile e guardò la strada. ”Sono una pietra che rotola, tutto solo e smarrito.
Per un vita di peccati ho pagato il prezzo. Quando non ci sarò più, la gente
dirà: solo un altro ragazzo nelle perdute autostrade (Lost Highway). Se ne andò via così. Per sempre. Aveva solo
trent’anni, ma il suo cuore stressato e distrutto da tutti quegli abusi aveva
ceduto all’improvviso. Era sparito, forse come sperava, viaggiando sull’autostrada
del peccato, perduto nella notte. Il
giorno dopo era già leggenda.
”Adesso I ragazzi non iniziano a girare intorno a questa
strada del peccato. Sei al limite del dolore. Cogli il mio avvertimento o
maledici il giorno che hai corso lungo questa perduta strada. (Lost Highway).
Era una mattina gelida ma luminosa. Una mattina di dicembre, una
come tante con il sole chiaro ma freddo. Avevo chiuso la porta di casa alle mie
spalle ed ero uscito di buon mattino. L’avevo amata, perché negarlo? Sono
entrato in un bar ed ho fatto colazione. Sapevo che la verità è sempre
inaccessibile. Ho guardato con disprezzo la sigaretta che mi ero acceso uscendo
dal bar. Ciascuno ha il suo prezzo riflettei. Qual’era il mio?
Bartolo Federico
Non esistono album di Hank Williams. Era ancora l’epoca dei
45 giri o dei 78 giri quella che attraversò. Ci sono solo delle ottime raccolte,
ma anche un cofanetto, che possederlo è come avere un baule pieno d’oro. Buon
Anno a tutti voi.