Una
pioggia calda arrivò tamburellando sulla carrozzeria delle macchine,
appannandone i vetri. Tossii nel palmo della mano una boccata di fumo
aspra come il veleno, restituendo un sorriso di compiacenza alla
cameriera che mi aveva servito un caffè, bollente che quasi mi raschiò
la gola. Fuori dalla pensilina del bar soffiava un vento di scirocco che
rendeva l’aria umida e tiepida. I passanti per strada sgattaiolavano
rapidi. Come il mondo, d’altronde. Accesi un altra sigaretta e osservai
la fiammella gialla e guizzante spegnersi tra le dita. Con un mal di
testa in sordina che non si decideva a deflagrare, eccomi di nuovo
solitario. Ordinai sempre alla stessa cameriera un Bloody Mary, che
mandai giù di un fiato. A furia di stare da soli si diventa cauti, tanto
che quella paura fottuta d’innamorarmi, di lasciarmi andare, di aprirmi
e raccontarmi, continuava puntualmente a presentarsi, maltrattandomi e
rivoltandomi in maniera feroce l’anima. Mentre i pensieri se ne andavano
alla deriva, mi ricordai di quei brividi che mi avevano scosso prima
che tutto finisse. Sapevo bene che era troppo tardi per cambiare rotta.
Attraversai
la città a piedi con le palpebre strette e considerai che non si ha mai
ragione da soli. Il vento era calato e una pioggerella, sorda e triste
come un dolore, mi sorprese. Mi alzai il bavero del sgualcito soprabito,
come per difendermi. Maddalena aveva portato scompiglio nella mia
esistenza. Una vita senza infamia e senza lode, la mia, ma non mi andava
di farmene una colpa. Camminavo sotto la pioggia e, rimasticando
pensieri, tirai un sorso di gin dalla bottiglia che mi penzolava tra le
mani. Era quasi mezzanotte quando rientrai in casa. Osservai le pile di
dischi, i libri accatastati alla rinfusa sugli scaffali, il caos totale
sopra il tavolo e mi sdraiai sul divano, osservando la luce obliqua
della notte che penetrava dalla finestra. Avevo fatto in tempo a mettere
sul giradischi Autumn in New York di Charlie Parker che caddi in un sonno tumultuoso.
Charlie
Parker fu l’uomo della pioggia. Quella pioggia che si schioda ad un
tratto dal cielo e viene giù come un diluvio universale. Un visionario
delle sette note, che solo quando era intento a suonare riusciva a
liberarsi dall’eroina. Una tossicomania acquisita sin dall’adolescenza.
Era in quei frangenti che il suo dialogo interiore si metteva in moto.
Attraverso di lui la musica si esprimeva in tutta la sua naturale
bellezza. Notturna, violenta, brutale e, alle volte, tenera e dolce, la
sua arte lambiva i contorni incerti del bene e del male, emanando
un’ondata scura e affamata d’amore. Una storia, quella di Charlie “Bird” Parker, di ordinaria solitudine.
Un
anima pesta, gettata tra le fauci di un mondo privo di delicatezza.
Così come è capitato a tutti i dannati di questa terra, teneva più ai
suoi veleni che a tutto il resto. Anche se, poi, lui trovava sempre uno
spicchio di luce dentro i crepacci dove dimoravano i suoi mostri. Quegli
scampoli d’innocenza e d’ingenuità, che gli restarono sempre attaccati
dentro, lo preservarono dal cinismo del mondo. “e state a sentire vi
prego, questo vecchio sax-tenore che suona come un dio”- alzò il volume
della radio fino a far vibrare la macchina - “e ascoltatelo mentre
racconta la sua storia ed esprime il vero rilassamento e le vera
conoscenza” (Jack Kerouac - Sulla Strada)
Avevo
collezionato un gran bel numero di errori non c’è che dire, ed ero pure
cresciuto con la testa piena di cazzate. Guardai la mia immagine
accigliata nello specchietto retrovisore dell’auto mentre procedevo a
trenta all’ora, ascoltando Monk, il santone pazzo del jazz, in Round Midnight.
E’ risaputo che a furia di cercare si finisce sempre per trovare
qualcosa. Ma lei era ormai un capitolo chiuso. Avevo avuto il mio
momento di gloria, non potevo più accedere ai suoi pensieri, né al suo
corpo, ma di questo potevo biasimare solo me stesso. Guidavo non sapendo
dove andare, solo che quell’unghiata mi doleva come un ostinato mal di
denti. Uno stuolo di nuvole grigie si addensò nel cielo, ascoltai i
gemiti sordi del vento. Tra non molto, ci avrei scommesso, sarebbe
venuta giù la maledetta pioggia.
Con
una barba lunga di tre giorni mi ripresentai al lavoro. Linda la mia
collega di stanza, che solitamente era una donna gentile, mi guardò con
attenzione e poi esclamò ambigua: “la malinconia alle volte non serve a
nulla, non trovi Ferdinando?” Feci finta di non voler capire,
mostrandole un ghigno da lupo e inabissandomi nelle pratiche arretrate
che inevitabilmente si erano accatastate sulla mia scrivania. La vita mi
aveva allenato a temere sempre il peggio e, in quanto a innocenza, non
sapevo più che sapore avesse, da molto tempo ormai. Lavorai senza
staccare neanche per la pausa pranzo, anche perché non avevo nessuna
voglia di incrociare gli sguardi curiosi dei colleghi, né di scambiare
con loro alcuna parola. Quando uscii dall’ufficio erano le sei e un
quarto del pomeriggio. Avevo completato il lavoro arretrato e mi sentivo
con la coscienza a posto. Nessuno, oltre me, doveva pagare le
conseguenze delle mie condanne. Quelle erano solo le mie. Prima di
rientrare a casa feci un giro a piedi nel centro della città. Una
ragazza in carne con una maglia a fiori e un viso grazioso mi diede un
volantino che pubblicizzava una palestra. Gli uomini come al solito
andavano di fretta. Mi fermai nelle vicinanze del porto ad osservare le
navi che attraversavano lo Stretto. Sembrava che graffiassero l’acqua
piatta senza lasciare alcuna traccia del loro andirivieni, quei giganti
del mare, a differenza di noi uomini che, ad ogni movimento, segniamo
impronte profonde, persino dolorose, come quelle che Maddalena mi aveva
impresso.
Florence
disse che desiderava che Neal la stringesse anziché masticare quel
sigaro. Jack fece segno di si con la testa e sognò di trovarsi in un bar
con Charlie Parker sul palco e nessuna preoccupazione (Jack&Neal - Tom Waits). Durante gli anni settanta Tom Waits se ne stava rintanato al Tropicana Motel
di Los Angeles. Prima di lui in quelle camere erano stati ospiti Janis
Joplin, Jim Morrison, Jimi Hendrix ed Alice Cooper. Al Tropicana le band
di rock’n’roll si lasciavano andare ai piaceri più sfrenati, quelli che
Ian Dury riassunse in una semplice e perfetta canzoncina “Sex & Drugs & Rock’n’roll”. Waits a quel tempo abbaiava alla luna e dormiva fino a mezzogiorno. Viveva da vero beat in compagnia di Rickie Lee Jones e dell’ amico Chuck E. Weiss.
Un trio di randagi che usavano il Motel come base, per poi spostarsi ad
esplorare i sogni in bianco e nero che Jack aveva raccontato e che Neal
aveva percorso con la sua lucida follia. Prima di morire lungo i binari
della ferrovia agli inizi del 1968, dopo anni di abusi di alcool e
droghe. Lungo le arterie americane la magnifica macchina faceva
sibilare il vento; faceva sì che le pianure si svolgessero come un
foglio di carta; staccava da sè l’asfalto bollente che la rispettava;
una macchina da re. (Sulla
Strada - Jack Kerouac). Nel 1975 insieme ad Allen Ginsberg, William Burroughs e Patty Smith, Waits prese parte al pranzo per la presentazione del libro di Ed Sanders Tales Of Beatnik Glory.
Barba caprina arruffata, capelli incatricchiati e la bombetta dei
jazzmen in testa. Tom Waits fumava come una pentola le ansie di chi,
come lui, transitava nei territori che stanno in fondo all’oscurità.
Una sera Charlie Parker, mentre improvvisava con il suo sassofono suonando ripetutamente Cherokee, un brano di Ray Noble,
si accorse che impiegando sulla linea melodica del pezzo gli intervalli
più alti degli accordi e mettendoci sotto delle nuove armonie
abbastanza affini, il brano catturava un nuova percezione. Il bebop
nacque da questa sua intuizione. Provavo un senso di benedizione
dolce, travolgente, come un grosso getto di eroina nella vena
principale; come un sorso di vino nel tardo pomeriggio che ti fa
rabbrividire (JackKerouac - Sulla Strada).Prima di salire
nell’appartamento mi fermai a parlare con il giardiniere della villetta
di fronte casa. Un uomo acuto e affabile che mi illustrò alcune
caratteristiche della forsizia, una pianta che mi attraeva e a cui
teneva molto. Intanto che parlavamo, scrutai il palazzo dove abitavo e
mi parve come un dipinto di Edward Hopper, per quell’ aria triste e solitaria che aveva. Al pari del sax di Charlie Parker in Out Of Nowhere.
Salendo le scale rimuginai tra me e me che se pure l’avessi chiamata
non avrei avuto più niente da perdere. Era inutile macerarsi
nell’incertezza, al massimo mi sarei potuto afferrare un sonoro
vaffanculo. Lo avevo letto da qualche parte che i dannati non piangono,
ma era pur vero che avevo l’anima come mangiata dalla ruggine. Ed allora
sarebbe stato meglio morire subito che in una lenta agonia.
Non appena rientrai in casa, accesi lo stereo e misi sul piatto Foreign Affair di Tom Waits.
Un disco che porta con sè brandelli di pioggia, destinato a tutti quei
pazzi di vita che hanno ricevuto un colpo da ko, ma che, pur
traballando, riescono in qualche modo a non cadere. Vecchio figlio di puttana ti sei finalmente messo su questa benedetta strada (Jack Kerouac - Sulla Strada).
Canzoni che sono come tante piccole lacrime tra le ciglia, narrate in
notti spese alla ricerca di quella cosa che mai raggiungeremo. Ballate
dolci e amare, perfette per coloro che si sentono in fuga dal mondo.
Preparai delle uova fritte con prosciutto e formaggio e bevvi del vino.
Un Nero d’Avola acquistato al supermercato. In Foreign Affairs Tom Waits
è un vero vagabondo, in viaggio con la sua signora Fortuna. Ha un
ombrello di malinconia aperto sulla testa e insegue a rotta di collo
quei sogni selvaggi che crescono ai margini della strada dalle parti di Burma Shave.
Ma è anche un bastardo pianista da luride bettole ”dove tutti hanno un
piede nella fossa” mentre, avvolto dal fumo di una sigaretta che si
consuma da sola nel posacenere, alticcio e stralunato, sussurra alla
luna che: L’ossessione è nell’inseguire qualcosa non nell’apprenderla. Nel continuare a muoversi senza riposarsi mai. Presi il telefono e composi il numero di Maddalena.
Dall’altra parte del filo la suoneria squillò cinque, sei volte e poi entrò il bip della segreteria telefonica che mi invitò a lasciare un messaggio. Non mi persi d’animo e recitai: Piccola ti prego non andartene ti chiedo scusa cara. Ho scambiato una bottiglia per una tromba e una cappelliera per una batteria. Ti chiedo scusa cara. Sono dispiaciuto ho perso la testa. Non pensavo davvero le cose che ho detto. Tu sei l’essenza dei miei sogni. Cara ti chiedo scusa(*). Mi addormentai un pò brillo sulla sedia a dondolo, aspettando che mi richiamasse. La mattina dopo, appena sveglio, feci un caffè come si deve e mi affacciai sul balcone. Vagliai che mi sarei dovuto fermare, correvo il rischio di non ritrovarmi più. Ero già sotto la linea di galleggiamento. Udii i passeri cinguettare, sbattei le palpebre e guardai nel giardino di fronte la pioggia di fiori gialli delle forsizie. Me lo aveva spiegato il giardiniere. Queste piante fioriscono con l’approssimarsi della primavera, quando preannunciano l’allungarsi delle giornate e l’aumentare delle temperature.
Dall’altra parte del filo la suoneria squillò cinque, sei volte e poi entrò il bip della segreteria telefonica che mi invitò a lasciare un messaggio. Non mi persi d’animo e recitai: Piccola ti prego non andartene ti chiedo scusa cara. Ho scambiato una bottiglia per una tromba e una cappelliera per una batteria. Ti chiedo scusa cara. Sono dispiaciuto ho perso la testa. Non pensavo davvero le cose che ho detto. Tu sei l’essenza dei miei sogni. Cara ti chiedo scusa(*). Mi addormentai un pò brillo sulla sedia a dondolo, aspettando che mi richiamasse. La mattina dopo, appena sveglio, feci un caffè come si deve e mi affacciai sul balcone. Vagliai che mi sarei dovuto fermare, correvo il rischio di non ritrovarmi più. Ero già sotto la linea di galleggiamento. Udii i passeri cinguettare, sbattei le palpebre e guardai nel giardino di fronte la pioggia di fiori gialli delle forsizie. Me lo aveva spiegato il giardiniere. Queste piante fioriscono con l’approssimarsi della primavera, quando preannunciano l’allungarsi delle giornate e l’aumentare delle temperature.
Il cielo era di un azzurro nuovo. Mi accesi una sigaretta, e pensai ad alta voce che questa volta sarebbe andata bene.
Bartolo Federico
Bartolo Federico
(*) I beg your pardon (da One from the heart - Tom Waits)
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