Quando ci si trova ad
esprimere un parere a riguardo della produzione artistica di un autore
debuttante (il bravo Bartolo mi perdonerà se a mezzo secolo compiuto lo
definisco così) si corrono sempre dei seri rischi. Quali? Il primo è
prevalentemente a carico dell’autore stesso. Troppi, infatti, si improvvisano
scrittori, poeti, cantanti, attori, ballerini e via dicendo, e tra mille e
mille di questi solo uno, forse, ha virtù e contenuti per definirsi tale e
magari nemmeno lo sa. Può accadere, per ovvia conseguenza di questo non
propriamente favorevole rapporto numerico, che chi è chiamato (a qualunque
titolo) a pronunciare una valutazione su una tale opera di un tale sedicente
artista finisca con l’apparire spietato nel momento di lasciarsi andare ad un
commento franco perchè il più delle volte è una bocciatura in tronco. La mia
esperienza, e da qui in poi mi riferirò solo alle produzioni letterarie perché
presumibilmente di tale fatta possono essere denominate quelle del buon
Bartolo, è che qualunque espressione di bocciatura, ancorché intrisa di ironia,
disinvolta caricatura o persino di aperto disgusto, incide solo un poco
sull’emozione dello sfortunato e criticato artista che, superato l’eventuale
iniziale smarrimento, riparte alla carica nell’imbarazzo di tutti coloro che,
vicini di casa, parenti, colleghi e malcapitati del giorno, riprendono a subire
la rimonta dell’incontrollabile impulso all’esposizione del proprio prodotto. A
quanti piace guardare l’album delle foto del matrimonio che i novelli coniugi
si affannano a sottoporre, prima di cena e dopo cena, a tutti quelli che non se
ne possono infischiare di meno? E’ così che funziona.
Il secondo rischio, invece, è a esclusivo
carico di chi giudica. Avviene, in quel famoso uno su mille, che l’opera piaccia.
In questo caso il giudicante deve, e ripeto deve, dar conto e ragione di questo
innamoramento artistico ed individuarlo (con l’obbligo di apparire competente)
nell’uso appropriato di una forma linguistica, nella dotta elaborazione del
contenuto letterario, nella forza adulatoria e seducente della storia narrata e
dei sentimenti che la condiscono, e così continuando. Ma cos’è un’appropriata
forma linguistica? Di sicura sappiamo che Omero, nelle traduzioni di Vincenzo
Monti, e Leopardi non tornano più, ahinoi!, e la letteratura contemporanea ha
in buona misura messo da parte, a torto, ogni lirismo linguistico, ma non è
forse vero che Charles Bukowski o Ferdinand L. Celine, i primi che mi vengono
in testa, che di virgole, punti e virgola, minuscole, maiuscole e coniugazioni
han fatto scempio, sono stati e rimangono autori amati e largamente venduti sul
mercato? E ancora, cos’è il contenuto letterario se, messi da parte il
firmamento, il dì di festa e un bacio profumato, le canzoni (poesie, poesie) di
Tom Waits ci seducono con un lampione e con lo squallore di una fumigante
strada a fondo cieco?
No, qualcosa non torna, amici. La poesia e
la prosa non possono essere materia esclusiva di circoli letterari pieni di
vecchi conservatori dalle chiome ingrigite, chiusi al nuovo come Satana alla
Croce, né possono essere il frutto di oltraggiose speculazioni editoriali che
promuovono al rango di grandi lavori letterari delle opere dismorfe e
sostanzialmente insignificanti. C’è il nuovo che emerge e proviene dai
bassifondi, per l’accademia c’è sempre tempo. Leggetelo, il mio amico Bart. Voi
senza la erre francese, voi che fate a botte con la realtà di ogni giorno, voi
senza nessuno che pensa per voi, voi che per lavorare fate fatica e non
ammaestramento, voi che per fare figura non pescate a caso nel caleidoscopio
delle stronzate, voi che la vita non è un barattolo di miele, voi vi
accorgerete che c’è qualcuno che spende qualche minuto al giorno a sublimare la
dignità degli ubriachi, la delusione dei disoccupati, la bellezza degli
idealisti, la verginità dei paesaggi che l’avidità umana non ha ancora
corrotto, il decoro delle tute degli operai che rare mogli devote stendono al
sole, al quel sole che se ne sbatte dei ricchi e degli endecasillabi perché non
può essere comprato e spartito nei club. Bart scrive di tutto questo, percorre
questi sentieri di solitudine e speranza, e lo fa in sordina perché sa di non
essere nato letterato, sa di avere le stampelle e non le gambe, ma disvela
l’esistenza, presente o passata, di un’infinita lista di soggetti umani, di
neri, sbudellati, intossicati, visionari, avventurieri che hanno speso e
pensato ogni istante della propria vita con il blues, il soul, il rock e le
cento sfaccettature della “musica minore” nella testa e nel cuore. Bart ci
insegna qualcosa, ed io non posso mettere in rassegna cosa, perché aggiunge del
nuovo in ogni riga, perché non finisce di stupire, perché sa tanto di un mondo
parallelo che la discografia modaiola e commerciale relega ogni giorno dietro
le quinte. Bart non è uno scrittore, si avvicina ma non lo sarà mai. E’ un uomo
solitario che non è ancora divenuto un asociale. Un introverso che comunica non
stringendo amicizie al cine o al ristorante, ma condividendo la sua conoscenza
musicale attraverso i suoi appassionati post, come alla domenica si condivide
il Padrenostro stringendoci le mani. Solo che fuori dai post Bart non invidia e
prevarica alcuno. Perdonatelo, invece, per qualche “topica” formale, leggete le
sue righe con calma olimpica, proprio perché lui le scrive in piena eruzione
mentale. C’è un mondo di arte, di musica, di gente vecchia e nuova a cui non
vorremmo mai somigliare, ma che ogni tanto sogniamo di essere. Per il resto
Bart, credetemi, è una testa di cazzo come tutti noi. Pure peggio.
Antonio
Lo Presti (Tony il poeta)
Yeaaah!! Insistere!
RispondiEliminaSi Evil insistiamo. Ma il dubbio alle volte mi assale. Credo che restiamo voci nel vento.un abbraccio amico mio.
RispondiEliminaBella recensione.
RispondiEliminaNe approfitto per rinnovare i complimenti per il bellissimo libro. Finalmente ho tra le mani la versione palpabile dei "Viaggiatori" ed è tutt'altra cosa rispetto alla gemella digitale: l'odore dell'inchiostro e il fruscio delle pagine sono impagabili. Oltre all'eccellente qualità dei testi (e il gran lavoro di Evil) anche i bellissimi disegni di Badit ne traggono giovamento...Mi dispiace solo per gli alberi.
Il vento potrebbe anche cessare.
In ogni caso continuare è d'obbligo.
grazie ant . ci proviamo in tutti i modi.ma sai alle volte anche se non lo diamo a vedere ci scoraggiamo. è umano anche questo.un abbraccio fratello
RispondiEliminaVoci nel vento, lo siamo, eccome. E vento forte pure. Ma alla fine lo sono tutti, prima o poi, chi più chi meno. E allora noi insistiamo, perché è l'unica cosa che possiamo fare per non aovere rimpianti.
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