Quella
congrega di matti che erano le Mothers Of Invention avevano
finito di provare. Lowell George chiamò Frank da
parte e gli chiese se era disposto ad ascoltare una canzone che aveva scritto
di recente. Dopo che ebbe il suo assenso, Lowell imbracciò la Martin D35
che era nello studio è suonò “Willin”. Zappa lo seguì con molta
attenzione, poi quando ebbe finito si avvicinò e gli bofonchiò: “Credo che faresti bene a mettere
su una tua band”. Questo
fu quel che gli disse Frank.
Era
chiaro che temeva molto la rivalità di quel musicista che suonava la chitarra
slide come se avesse dentro uno spirito del delta blues reincarnato e che
ora si era messo a scrivere grandi canzoni. Allontanarlo era la migliore soluzione
perché prima o poi avrebbe finito con l’oscurarlo e per un uomo dal forte ego
come Frank passare in secondo piano era inaccettabile.
Cosi
insieme a Billy Payne alle tastiere, Richie Hayward
alla batteria e Roy Estrada al basso, Lowell George
a Los Angeles dà vita ai Little Feat, nome ispirato da una
battuta di Estrada sul suo piede piccolo. “Little Feat” è il
disco di debutto di Lowell George più che quello di una band, ed è un disco “punk”
per l’urgenza creativa con cui è proposto. Un album da sottoscala del rock pieno di suggestioni e struggente
malinconia, per quel senso di solitudine che hanno tutti quei piccoli eroi che
popolano le canzoni, mentre attraversano il grande sogno americano. Qui non ci sono ancora i ritmi funky & roll, le trame intricate
delle loro improvvisazioni che li faranno diventare una delle migliori band
live di tutti i tempi. Queste canzoni urlano un blues desertico suonate
da una chitarra slide che ti raschia la pelle per come taglia le note.
Canzoni infettate da un rock paludoso quasi di stampo rollingstoniano. Musica diretta, senza fronzoli, per chi viaggia
libero sulle strade che i poeti Beat hanno esaltato in una
stagione ricca di ideali che non vogliono saperne di morire. Buoni allora come
adesso.
I brani contenuti non sono estremamente
lavorati. Questo aspetto credo che sia decisamente voluto, teso a catturare da
parte di Lowell più il lato emotivo, psicologico, che quello puramente tecnico. La versione di “Willin”
sicuramente è molto vicina a quella che ascoltò Frank Zappa
rispetto a quando i Little Feat diventeranno una band e il loro sound impegnerà
altre tinte e rimorchierà altri ritmi. Qui basta il suo canto bastardo è la
slide di Ry Cooder per consegnarci un capolavoro
che i fans del gruppo tenderanno sempre a sottovalutare. Ma Truck stop girl, Takin my Time, Strawberry Flats,
Hamburgher Midnight, Crazy Captain Gunboat Willie, Forty Four Blues, How Many
More Years e le altre del lotto, scartavetrano
l’animo inquieto di un ragazzo che con l’immaginazione ha cercato di
sconfiggere l’ansia e i demoni che lo divoravano " per essere stato preso a calci dal vento
e derubato dalla grandine”
con sbornie colossali e altre sostanze illecite.
Il sole
cala a picco, la temperatura è diventata insopportabile, la polvere mi annebbia
la vista, ma continuo a guidare verso Baton Rouge. Trascinato dal soul blues vigoroso e
potente contenuto nel disco d’esordio dell’Allman
Brothers Band, i
diavoli blu di Duane si materializzano nel deserto sotto forma di note che sciorina
dalla sua magica chitarra . Dickey
Betts gli corre dietro
nei territori musicali che man mano vanno a esplorare, mentre Greg suona
l’organo cantando come se fosse in trance mistica. Il resto della band è una
macchina perfetta, per un sound epocale .
A
quel tempo stava accadendo qualcosa. Ovunque ti giravi c’era fermento creativo,
il rock era poesia e rivoluzione e tutto sembrava potesse accadere. Ma
era un illusione. Perchè quelle erano solo canzoni, stati dell’animo.
Quelli erano solo giovani musicisti innamorati del blues, non erano Messia
venuti a predicare il verbo. Eppure in tanti che percossero quelle strade non
furono più gli stessi, la musica cambiò la loro vita radicalmente.Alcuni
diventarono viaggiatori solitari , uomini in fuga da tutto e da tutti. Come l'Harry Dean Stanton muto e cencioso di Paris Texas.
La notte
è luccicante di stelle e il vento soffia dolce sollevando la sabbia che si va
depositando sul vetro dell’auto. Guido con i miei demoni appesi al
tergicristallo che ha ingaggiato una battaglia con gli elementi naturali.
Osservo la strada mentre ritorno a casa e ascolto i North
Mississippi Allstars di “Mississippi Folk Vol 1”. I
fratelli e papà Dickinson si sono davvero superati con una
versione da capogiro di “Master Of War” di Bob Dylan. Ma in
tutto il disco ammaliano e stregano l’ascoltatore con canzoni che da esorcismi
diventano uno speciale atto d’amore libero e incondizionato per il blues. I
ragazzi suonano con il cuore in mano in un atmosfera rurale e sudista
che profuma del Ry Cooder di “Into The Purple
Valley” per un blues dell'anima dedicato a tutti quegli
uomini che non si sono mai arresi, di allora e di adesso, e che continuano
nonostante tutto, ad essere in fuga sulle strade del rock.
Bartolo
Federico
bello, intenso, musicale, come si fa ad avere Viaggiatori nella Notte? ciao
RispondiEliminaEmozionante come sempre. Ciao!
RispondiEliminaSe scribacchio di musica, lo devo principalmente a Mauro Zambellini. Questo per me è un dato di fatto Capirete quindi che leggere un commento del tuo "mito",e per giunta di complimenti su questo blog, mi ha fatto tremare le gambe. Grazie Zambo.
RispondiEliminaper Viaggiatori....se mi mandi un tuo recapito a- bartolofederico@alice.it- ti farò pervenire io stesso una copia del libro.Altrimenti potrai acquistarlo cliccando nella copertina che trovi sul blog , al costo di circa dieci euro. Non ci credo.... Grazie ancora Zambo.
Ciao Roberto, grazie anche a te.
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