Li sentivo nell’oscurità, gli occhi della notte scrutarmi dal
loro spioncino, mentre il sax di John Coltrane scioglieva musica. Là, per la
strada, cercavo solo di ritrovare il fondo dei miei giorni appiccicosi e
precari. Quei giorni che avevo lasciato a putrefarsi per sempre. Avevo fatto
diversi mestieri per vivere, ma lavorare non era mai stata la mia vera
prerogativa. O meglio, non ero mai stato interessato ad una carriera pur avendo
avuto riconoscimenti per talune qualità. Almeno così mi aveva detto più volte il
mio boss. Ma trovavo sempre qualcos’altro di meglio da fare, che lasciare che
il lavoro mi ipotecasse del tutto la vita. Che so, cercare di scrivere una
canzone, suonare la chitarra, o starmene a guardare la strada e il paesaggio
mentre guidavo. Mi sembrava più interessante che lavorare. Ma, alla fine dei
conti, cos’è il lavoro se non il solo modo legale che ci hanno insegnato per produrre
soldi? Forse si dovrebbe semplicemente tornare a dare la giusta prerogativa
alle cose, senza farle apparire più grandi di quelle che in realtà sono. Ma al
lavoro viene data una grande importanza e, per come siamo strutturati
socialmente, probabilmente lo è. Anche se alle volte penso che con uno sforzo
collettivo e con un po’ di fantasia potremmo anche escogitare un altro modo di vivere.
A pensarci
bene, quanta gente va facendo quello che realmente vorrebbe? Quanti saranno i
fortunati? Pochi, pochissimi. Tutto il resto della folla vive la propria vita
tristemente rassegnata, con un incarico forse mal pagato e che non si addice
alle proprie attitudini. Cosa non si fa pur di sopravvivere! E In questo modo che
tentiamo di arrivare a quella pensione agognata (e chi ce l’avrà?) e allora, e
solo allora, tenterà di godersi un po’ la vita. Quando probabilmente è troppo
tardi, quando ci trasciniamo malconci con i nostri malanni e senza più niente
che possa accendere il fuoco sacro del desiderio. Quel fuoco che una volta, da
giovani, ha bruciato intensamente in ognuno di noi, e che abbiamo spento con la
sola prospettiva di una vita normale. E’
un esistenza, quella che viviamo, che altri ci hanno indicato come l’unica
possibile. Con la scusa del lavoro ci hanno reso schiavi, e questo i nostri mediocri
governanti lo sanno. Fungiamo solo da servitori ad un sistema economico che, così
per com’è strutturato, è inesorabilmente imploso nella sua stessa cupidigia. Serviamo
per nutrire la loro ricchezza a discapito di milioni di altre persone che
moriranno di fame. E mi viene da pensare che cazzo ci avrei fatto io con una
montagna di soldi, non avendo alcun interesse a ostentare opulenza.
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Otis Reeding ebbe
uno stile inconfondibile grazie a quel canto tremulo che esprimeva disagio ma che
emanava un pathos che pochi altri cantanti al mondo hanno saputo esprimere. Fu un
artista amato e rispettato sia dai bianchi che dalla gente di colore, per quel
suo modo di essere sempre e comunque se stesso. Un antidivo per eccellenza. La
versione che incise di Satisfaction
fece impallidire gli stessi Stones per
la forza travolgente e sanguigna che seppe imprimere al pezzo. Ma il cantante
che più lo influenzò fu Sam Cooke di
cui registrò due canzoni Rock Me Baby
e l’affascinante A Change Is Gonna Come. Come
ricordò giustamente Steve Cropper “Elvis
è stato il re del rock’n’roll, Otis il re del soul”. Ai suoi funerali
avvenuti nel 1967, Joe Simon cantò Jesus Nearer To The Cross e Johnny Taylor I’ll Be Standing By, accompagnato all’organo
da Booker T. Dietro il feretro sfilarono
silenziosi: Joe Tex, Earl Sims, James
Brown, Little Richard, Fats Domino, Wilson Pickett, Sam&Dave, Percy Sledge,
Aretha Franklin, Stevie Wonder, Arthur Conley, Don Covay, Solomon Burke e
tanti tantissimi altri. A Dock of the bay non furono mai
aggiunti gli ottoni e fu pubblicata come lui l’aveva lasciata, una ballata
semplice e spoglia. La canzone raggiunse il primo posto delle classifiche di
vendita e fu quello il suo primo è unico numero uno.
Il lampione del marciapiede illuminava
a stento la strada. Sono rimasto là nell’angolo a guardare il niente. Volevo
suonarle e sono certo che mi avrebbe aperto la porta di casa. C’era freddo là
fuori dove mi ero fermato. Ma mi resi conto che facevo anche fatica a
difendermi e che certe cose non mi parlavano più come un tempo. Che potevo farci se non avevo neanche
tutta quell’energia di una volta per andarmene, solo solo, a strascicarmi nel
buio? Non avevo fatto mai nulla per i soldi, ed ero furioso con me stesso per
non avere capito che non avrei mai potuto vivere come volevo, che non avrei mai
potuto vincere quella partita perché si stava giocando con delle carte truccate.
E allora che cazzo avevo da lamentarmi e presi a sogghignare. Mi sentivo un po’
ridicolo certo ma alla fine tutt’altro che stupido.
Alle volte, è come se vivessi in un
altro mondo ed in questo non riuscissi a trovare posto. Alle volte, mi sento un
estraneo perfino con me stesso. Da un po’ di tempo percepisco un’aria pesante
da guerriglia urbana, come quella che penso c’era nel 1968, quando gli Stones
pubblicarono Beggar’s Banquet, uno
tra i loro album più belli. Un disco operaio, dedicato a tutti quelli che
lottano e che non accettano più compromessi e bugie. Un disco di rock con le
droghe sonore di Keith (blues, folk e country) fornite come spezie speciali. Beggar’s Banquet, fondamentalmente, è un
disco di Richards, dove la slide diventa
uno strumento rilevante nel contesto sonoro, accompagnato da una batteria
primitiva e scorbutica. Un disco che parte dalla foto di un cesso, pieno di
scritte volgari e provocanti, che i ragazzi del punk omaggeranno nella loro
rivoluzione del 1977, e che ci porta fin dentro quelle strade polverose di quelli
che, fino alla fine, provano a resistere e morire con gli occhi aperti. Beviamo alla gente che lavora duramente, beviamo
all’umile di nascita. Abbiate un pensiero di riguardo per la plebaglia. Beviamo al sale della terra.(The Salt
Of The Earth - Rolling Stones)
E’ pura anarchia esistenziale,Beggar’s Banquet è asociale, tanto che
mi spaventa per quanto mi assomiglia. Con quella spudorata simpatia per il
diavolo urlata ai quattro venti e l’amore per le ragazze con i bigodini nei
capelli e senza soldi in tasca, neanche per pagare il biglietto del bus. Ragazze,
però, che solo a guardarle sono un sollievo per occhi tristi. I combattenti di
strada sono pronti, ancora una volta, per fare la guerra a colpi di rock’n’roll.
E quando questa storia sarà finita è ogni cosa sarà stata rimessa al proprio posto,
e tutti i miei amici saranno tornati a
casa sani e salvi, solo allora - ve lo giuro - me ne andrò nuovamente per la
strada con tutti i peccatori che, nel frattempo, saranno stati fatti santi. E come
un vagabondo, come un fuorilegge, mangiando panini al mentolo raggiungerò il
sud dell’America e arriverò, ci potete
scommettere, a New Orleans a trovare le più belle ragazze-paracadute e con loro,
finalmente, mi prenderò una sbronza di quelle memorabili. Aspetto con pazienza sdraiato sul pavimento. Cerco solo di risolvere il
mio puzzle. Prima che piova ancora. (Jigsaw Puzzle - Rolling Stones)
Ai miei lettori
Bartolo Federico
Fanculo al lavoro e a tutte le altre paranoie, 'cause summer's here and the time is right for fighting in the street!...
RispondiEliminaBeggar's Banquet è indubbiamente il disco più bello dei Rolling! Qual'è il rocker che non ha mai desiderato che una Donna-paracadute gli atterrasse addosso di notte?...
Buona serata Fede!
Ps: il giorno che decidi di andartene a New Orleans fammi un cenno!...
spero di fartelo presto quel cenno vik.
RispondiEliminaDivertimento puro , cultura musicale.......quando poi parli del mio sam cooke, impazzisco .Federico Bartolo, io ti adoro.hai mai pubblicato qualcosa?
RispondiEliminaClaude.
grazie sei troppo buona, non ho mai scritto per essere pubblicato sono un semplice e umile scribacchino.e poi per come vanno le cose in questo mondo a uno come me mon lo prenderebbero neanche in considerazione.un abbraccio alla mia claude.
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