Il tempo si prende sempre ciò che gli spetta ma, per certe cose, con lui non era andata così, pensò Tom Frost mentre si guardava le scarpe e afferrava a calci l’inquietudine. Confuso e angosciato si sentiva più vecchio dei suoi anni con il cuore che assomigliava sempre più a quel bastoncino di luna che lo seguiva passo passo mentre attraversava la notte. Qualche giorno prima, giù al Tropicana dove si era rifugiato, aveva casualmente riaperto quel libro di Henry Miller “Primavera Nera” che lei gli aveva regalato tanto tempo fa, che a pensarci adesso sembra un secolo. Un abbaglio di ricordi lo assalì. Quel mattino, appena sveglio, si girò per scendere dal letto. Il libro stava sul comò con un bocciolo di rosa appoggiato sulla copertina. Lo apri con molto garbo e lesse quella dedica con gli occhi ancora sporchi di sonno: “ A Tom Frost l’essenza di tutti i miei sogni. Martha”
Fermo all’angolo il freddo lo trapassò, per cui prese a camminare
traballando come un ubriaco mentre un foglio di giornale svolazza per la
via come fosse un ala di pipistrello. Sul cartellone pubblicitario che
reclamizzava un profumo osservò il volto della modella e bevve un sorso
dal fiaschetto di metallo che teneva dentro la tasca della giacca lisa.
Non riusciva a darsi pace, sapeva che alla fine tutti perdono in quel
gioco crudele che è l’amore. Lo aveva imparato a sue spese in quegli
anni passati a vagabondare in cerca di una scintilla che non arrivava
mai. D’altronde lei se ne stava rintanata dentro di lui quasi fosse un
toccasana per quell’affanno che lo indeboliva sempre più, trascinandolo in quella che sembrava una condanna da retribuire a vita. Ma,
sebbene questo lo ferisse, lo faceva sentire meno solo. Certamente non
gli sarebbe bastato ingurgitare tutto il whiskey possibile per
cancellare definitivamente quel ricordo. Da che mondo è mondo è stato
sempre il livido a far male, non la botta.
Si
sedette alla tavola calda dei nottambuli, vicino ad uno sconosciuto. La
cameriera stava urlando le ordinazioni al cuoco filippino: “Uova e
salsicce con una fetta di pane abbrustolito, caffè e un panino, piatto
abbondante con carne patate e verdura, chili in scodella con hamburger e
patatine. Che genere di torta ?”(Eggs & Sausage) . Tom
Frost proveniva dai bassifondi della città dove ne aveva viste di cotte e
di crude. Era stato in galera e vissuto di espedienti, infine si era
specializzato nelle corse truccate dei cavalli insieme al suo
inseparabile amico “Spiccioli”. Facevano buoni affari in giro per San
Diego con gli altri bulli del quartiere, nelle scure e calde notti
passate in cerca dei loro sogni. Fin quando una notte, sulla
diciottesima, appoggiati al cofano della macchina, con i pachucos che
giocavano a chi sputava più lontano, qualcuno sparò con una calibro 38 e
“Spiccioli” cadde ucciso vicino al distributore di benzina a forma di
palla, mentre le puttane continuavano a bere e fumare. Tom Frost scappò
verso Sud e lì ci rimase fin quando non si calmarono le acque. Quando
tornò in città era diventato un musicista, suonava e scriveva canzoni. “Non
ho mai visto la mia città natale fino a quando non sono stato via per
troppo tempo. Non ho mai sentito una melodia fino a quando non ho
sentito il bisogno di cantare.”(San Diego Serenade). La cameriera
gli portò quanto aveva ordinato. Gli lanciò un’occhiata ammiccante
mentre allontanava il fumo con la lista del menù .
Con
le donne era sempre stato un vero gentiluomo, ci sapeva fare davvero,
nonostante provenisse dalla strada conosceva perfettamente le buone
maniere e le galanterie, in fondo era un romantico con un pizzico di
follia. Il che non guasta mai. Martha era una modella, ma non per questo
una stupida. L’aveva conosciuta una notte nel club dove suonava fisso
ormai da mesi. Durante una gag, tra una canzone e l’altra, bevendo un
bicchiere dietro l’altro e chiacchierando amabilmente con il pubblico i
loro sguardi si erano incrociati e fu in quel momento che scattò per
entrambi la scintilla. Il giorno dopo lei era nuovamente lì in prima
fila e cosi ogni sera tutte le sere. Avevano cominciato a frequentarsi e
uscire insieme, infine si erano innamorati perdutamente. Un paio di
sere dopo, Tom Frost cantò una nuova canzone: ”Avanti piccola, lascia
che la luce del tuo amore risplenda. Seppelliscimi sotto il tuo fuoco
perché i tuoi occhi mi fanno male alla vista. E’ come guardare il sole.
Ti prego sussurrami che io sono il tuo unico uomo.” (Fumblin’ With The
Blues) Lei pianse, mentre lui con voce sgraziata e il cappello calato sulla fronte cantava ubriaco perso quei versi.
Adesso
eccolo lì, in alto mare insieme ad un whiskey e soda e una camera
d’albergo di terza mano, che guarda i taxi che sfrecciano in compagnia
del marinaio solitario che racconta della sua vita ad Irene una
prostituta con i capelli biondo sporco che fumando una Kent si stringe
nel cappotto. Lo strillone urla a più non posso l’ultima edizione del
giornale mentre le luci dell’alba stanno spuntando. Pensava che sarebbe
annegato. Il suo amico Chuck era via ormai da tempo e lui era solo,
completamente solo e completamente fatto, in quella città che gli
tagliava il cuore in due. “La nebbia si solleva, la sabbia si alza. E
io prendo il largo. Il vecchio capitano Achab non ha niente a che
vedere con me quindi dimenticami ed evita di seguirmi. Viaggerò da solo,
l’acqua blu sarà la mia figlia. E’ salterò come una pietra.” ( Shiver
Me Timbers )
Lei
gli bisbigliò i suoi sogni dopo aver fatto l’amore, nel buio della
notte, ma lui non seppe ascoltarli, troppo ingarbugliato in se stesso
per comprendere i suoi sentimenti. “E’ ora di chiudere”, gridò la
cameriera stanca e assonnata. Tom Frost scivolò in strada con gli altri
cani randagi. Quel dolore cieco aumentò. Aveva il fegato a pezzi e le
scarpe slegate, mentre i grattacieli sovrastavano completamente i suoi
sogni. Avrebbe perso un’altra quantità di speranza, ma questo non era altro che un invito al blues, un semplice invito al blues.
Al diavolo tutto.
Bartolo Federico
Bartolo Federico
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