Avevo appeso i miei anni selvaggi sopra un chiodo arrugginito e contemplavo il mio passato guardando delle vecchie foto in bianco e nero quando vidi il volto di Teresa. Il cuore mi si fermò per un attimo, ma non mi mise di cattivo umore in quella notte di oblio e tormento. Come chiunque, avevo due facce e sapevo bene che alla fine una di loro avrebbe vinto la partita, era solo questione di attendere l’esito.Era da giorni che pioveva. La pioggia avvolgeva la città in una nube nera e silente e il paesaggio che osservavo dalla finestra spettrale. Avevo perso tutto senza fare nulla, avevo lasciato che tutto andasse alla deriva senza che provassi a frenarmi, ma la paura è una strana compagnia ed io la sentivo in tutto il corpo, quasi la potevo osservare scrutandomi allo specchio.
Accesi lo stereo e tirai fuori un vecchio disco di Richie Lee Jones. Qualche giorno prima avevo rivisto il film Alice nella Citta e mi era venuta voglia di riascoltare la sua versione di Under On The Boardwalk
 dei Drifters e, come l’attore Rudiger Vogler in quella scena sotto il 
pontile, anch’io osservavo delle polaroid, le sole foto che hanno la 
magia di non avere negativo, di essere uniche e non più riproducibili, 
proprio come quel sorriso che avevo di fronte. Come la vita. Faceva
 freddo ed ero intorpidito per l’umido. Mi versai un dito di Jack 
Daniels che buttai giù nell’oscurità più profonda di me stesso. Una 
pioggia pigra ticchettava sul vetro. Accesi l’ennesima Chesterfield e ne
 aspirai una lunga boccata, lasciai che la musica finisse e spensi lo 
stereo. Dal divano raccattai l’impermeabile, afferrai il vecchio 
cappello grigio topo ed uscii di casa.
Quando
 lei se ne andò da quella stessa porta non si voltò mai indietro ed io 
non feci nulla per fermarla. Allora andavamo troppo in fretta per 
accorgerci che entrambi stavamo calpestando la merda, ma i miei rimorsi 
pesavano come macigni, ad un punto tale che adesso mi pestavano il cuore
 come un pugile imbestialito. Uscii dal portone che non pioveva più e la
 strada luccicava come uno specchio.
Mi
 incamminai lentamente, dinoccolandomi sotto un vento maligno che mi 
faceva increspare la pelle.La strada era un deserto, solo qualche gatto 
randagio in cerca di cibo faceva capolino tra i bidoni dell’immondizia 
vuoti. Avevo perso tutto per nulla, per non avere mai avuto il coraggio 
di dirle che l’avevo amata sin dal primo giorno che l’avevo vista, sin 
dal primo istante. Avrei voluto scriverle un blues come aveva fatto Tom 
Waits alla sua donna in Swordfishtrombones: Lei è il mio unico
 amore riempie tutti i miei pensieri. Guarda qui nel portafoglio. Questa
 è lei. E’ cresciuta in una fattoria laggiù. C’e un posto sul mio 
braccio dove ho inciso il suo nome accanto al mio. Vedi, proprio non 
posso vivere senza di lei. 
Ero
 arrivato in basso, dove tutto si confonde, dove non riesci più a 
resistere. Avevo superato la linea, quella linea di demarcazione che ti 
porta dritto all’inferno, nel buio della tua anima. Lo avevo sempre 
saputo che la vita non era un gratta e vinci, ma avevo puntato d’azzardo
 con me stesso ed avevo perso nella partita più importante.
Ora
 la notte e il freddo, insieme ad un forte mal di testa, mi fanno 
compagnia mentre mi reco al giornale, al mio lavoro di cronista di nera.
 Ha smesso di piovere e le strade si stanno riempiendo di gente. Intanto
 che vado, osservo i tetti delle case e il cielo che resta grigio e 
fosco sulla mia testa. Se n’era andata non molto lontano, ma se n’era 
andata e dovevo farmene una ragione, dovevo spegnere per sempre quella 
fiamma che bruciava di rimorso. A questo punto penso non ho più niente 
da rinfacciare a nessuno, nemmeno a me stesso. Mentre scorrono i titoli 
di coda cerco un sorriso da indossare e mi viene in mente lo strumentale
 Rainbirds. Per l’ultimo addio .Bartolo Federico
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