La strada era buia e taciturna, non mi restava che spingere sull’acceleratore e dimenticare quel senso di vuoto che mi portavo appresso e che mi attaccava senza tregua. Ho imparato a cadere, pensai, quando i fari di un camion che procedeva in senso opposto illuminarono l’abitacolo. Per tutte le volte che ero franato sarei dovuto essere ridotto in pezzi, ma mi rendevo conto di non sentire più male, ero diventato uno stuntman di professione, sapevo smorzare i colpi, tuffarmi, saltare, assumere con il corpo angolazioni innaturali, fare piroette. Ero diventato un acrobata, solo che le cadute erano tutte vere, non c’erano controfigure venute a salvarmi.
Intanto
 che pensavo questi pensieri,con una mano tirai fuori le sigarette dalla
 tasca della giacca di tweed. Ne accesi una e aspirai una lunga boccata,
 guardando la fiammella bruciare nel buio. Sbuffai, ed abbassai il 
finestrino per liberare fuori dall’abitacolo quella nuvola di fumo che 
avevo incamerato nei polmoni. Una folata di vento gelido mi sferzò il 
viso.Hai sempre qualcosa da perdere. Ciascuno di noi ha qualcosa da 
perdere, sempre. Anche se fai finta che non esista, è li che ti divora i
 pensieri. Ti senti spinto, pur con gli occhi gonfi e tristi, a cercare 
di realizzare i tuoi progetti.
“E
 se il whisky non mi uccide allora non so cosa lo farà. Andrò in qualche
 bar a bere con i miei amici, dove le donne non possono seguirmi per 
vedere quel che spendo. Dio le benedica quelle belle donne, vorrei 
fossero mie. Il loro respiro è dolce come la rugiada sui grappoli d'uva.
 Fatemi mangiare quando ho fame, fatemi bere quando ho sete, Hmmm, 
dollari quando sono al verde, religione quando morirò. Il mondo intero è
 una bottiglia e la vita nient'altro che un bicchierino di whisky”. (Moonshiner traditional - BobDylan)
Il
 mattino se ne uscì picchiettato da un pallido sole. Tirai fuori 
dall’autoradio il cd che avevo ascoltato per tutta la notte. Era una 
raccolta di Bob Dylan che attraversava quasi tutta la sua vita 
artistica, intitolata Uno sguardo intimo a Bob Dylan. L’avevo 
comprata inizialmente per il bellissimo titolo e perché conteneva 
Moonshiner, uno dei mie pezzi preferiti di sempre, in una differente 
versione rispetto a quella magnetica pubblicata a suo tempo nelle Bootleg Series. A voler essere un tantino pignoli, solo un po’ meno bella. Il cd contiene 17 canzoni tra cui anche rarità come Trouble in Mind, con la chitarra di Mark Knopfler e una versione superlativa per piano di Spanish Is The Loving Tongue più altre cose splendide come una Boots Of Spanish Leather,
 da brividi. Cose che arrivano da cinquant’anni di scrittura e che vale 
sempre la pena ascoltare, se siete anche voi arruolati nei cacciatori di
 stati d’animo. Queste canzoni vi serviranno per superare gli ostacoli e
 le transenne, serviranno a non sentirvi soli dentro la vostra pazzia 
ululante. Ma, badate bene, non sono semplici canzoni, sono turbamenti 
nel caos infinito del cuore che si incateneranno l’uno all’altra e 
giocheranno a darsi il cambio, restandovi dentro per sempre. Potete 
scommetterci.
All’improvviso,
 la stanchezza mi restituì alla realtà. Non sapevo dove mi trovavo, 
avevo guidato tutta la notte e non badato a nulla, piantonando senza 
tregua la strada buia davanti a me. Mi ero immerso in una folla di 
sensazioni che mi avevano cullato e anche rinfrancato.Adesso,
 però, cedevo sotto i colpi della fatica. Avevo il corpo indolenzito e 
il collo mi doleva,gli occhi si chiudevano da soli, cascavo dal sonno. 
Per dormire mi infilai dritto nella prima area di servizio.
”Dio,
 sono uno, Dio, sono due, Dio, sono tre, Dio, sono quattro, Dio, sono 
cinquecento miglia lontano da casa. Lontano da casa, lontano da casa, 
lontano da casa, lontano da casa, Dio, sono cinquecento miglia lontano 
da casa Non ho la camicia addosso, non ho un penny, Dio, non posso 
tornare a casa in questo modo, in questo modo.” (500 Miles - tradidional eseguito anche da Bob Dylan)
Il campo di cotone era stato ripulito dalla gramigna. Fred, Fred McDowell,
 era fermo ai bordi ancora in tuta da lavoro, immerso nella canicola di 
luglio e guardava in un punto indefinito l’orizzonte. Ad un tratto, 
sentì urlare il suo nome, si girò e vide che il suo vicino di casa Lonnie Young
 correva verso di lui. Si era sparsa la voce che quel bianco, venuto dal
 nord con un registratore a bobine, stesse cercando artisti locali da 
registrare per l ’Atlantic Records. Lonnie informò Fred della cosa e si misero in cammino frettolosamente.McDowell passò da casa, prese la chitarra acustica, chiamò sua zia Fanny Davis che suonava il kazoo ed insieme si presentarono al cospetto di quel tizio che di nome faceva Alan e di cognome Lomax. Era il 1959.
“Mississippi” Fred McDowell fu
 un musicista di talento, scoperto in ritardo ma, diavolo!, per una 
volta giustizia è stata fatta. Il suo blues,legato alla tradizione 
rurale del Delta, era suonato principalmente in stile bottleneck, ma 
anche in fingerpicking. Tecniche che aveva carpito durante le esibizioni
 di Charlie Patton che, senza dubbio, fu la sua principale suggestione insieme a Tommy Johnson, Son House e Frank Strokes.
 Il suono che tirava fuori dalla chitarra era implacabile e nello stesso
 tempo disorientante. Quando raschiava quel vecchio coltellino sulle 
corde o, in mancanza di esso, un pezzo di una costola di vacca, la 
musica assumeva contorni tenebrosi, perfino terrificanti. Poi, con voce 
nasale spezzata, per la tristezza ed il dolore cantava il suo blues 
ipnotico. Alan Lomax, che si trovava in compagnia del cantante inglese Shirley Collins,
 lo ascoltò sotto il portico di casa di Lonnie Young. Per il vero, 
rimasero stupefatti entrambi, ammaliati da quel suono twangy e da quel 
groove minaccioso che la sua acustica sprigionava. Il suo volto, però, 
si vestiva di rimpianto.
Le
 incisioni sul campo che Alan Lomax fece quel lontano giorno del 1959, 
anche se sono state già diffuse e sono sparse un po’ ovunque nella sua 
sterminata discografia, oggi si possono riascoltare, rimasterizzate in 
modo eccellente, e lasciano senza parole. Per provare a starci su, 
ascoltatele mentre la pioggia vi ticchetta sulla porta e lo sguardo 
incrocia una immaginaria linea ferrata. Come viaggiatori furtivi, vi 
inabisserete nella notte e, per magia, sentirete liberarsi il blues 
nelle fessure della vostra anima.
Tu mi fai debole e mi fai gemere”.
 Mississippi McDowell sputava fuori le parole di quella canzone, intanto
 che la strada si inerpicava vertiginosamente. Il vento improvviso fece 
sbandare l’auto che recuperai con un colpo fulmineo di sterzo. Come 
avremmo fatto ad incastrare le nostre vite, se le cose che ci dividevano
 erano più che quelle che ci univano? ”il blues è soltanto una donna nei pensieri di un uomo, il blues è soltanto un dolore dentro al cuore di un uomo.”Cosa
 ci saremmo detti con il passare del tempo? Lei si prendeva solo ciò che
 le interessava di me, ma io ero anche un altro perchè, come tutti, 
avevo un altro volto che a lei non interessava conoscere. A questo punto
 non restava che andarmene ancora una volta, non potevamo seguitare a 
farci del male. Mi chiesi, allora, per quale ragione non riuscissi a 
trovare mai niente, che guarisse il mio silenzio ed il freddo che mi 
portavo dentro. Non me lo sarei mai perdonato, non avrei mai accettato 
di contrabbandare le mie pene in cambio di un tetto e di un pasto caldo.
 Desideravo esprimerle la mia anima, senza che nulla me lo impedisse. 
Volevo dirle che ero malato d’amore, che anch’io avevo quel sogno oscuro
 di salvare qualcosa. Avrei voluto parlarle, dirle cosi tante cose che, 
alla fine, come sempre, non dissi nulla.
Mentre
 accatastavo i ricordi, i fari di un autoarticolato, mi lampeggiarono 
brutalmente nello specchietto retrovisore. Era una di quelle sere in cui
 le stelle sembravano il doppio nel cielo, mi strinsi ancora un po’al 
guardrail e lo lasciai passare. Non avevo fretta, non avevo più fretta. 
Tanto, a che serviva correre? Non avevo più un posto dove andare, la 
strada era tutto quello che mi rimaneva, e mi venne da piangere. Fu così
 che guardai quelle stelle nel cielo e dissi la mia preghiera, l’unica 
che conoscevo e che avevo voluto imparare, l’unica che ripetevo da 
sempre. L’unica che recitai nel silenzio di me stesso, anche quel 
giorno, davanti la bara di mia madre. Me la donò Jack Kerouac, insieme ad un mucchio di altre cose, in una notte frantumata di vino, musica e poesia, molti, molti anni fa. “Giù
 nel lago apparvero riflessi dorati di vapore celestiale, ed alzai gli 
occhi al cielo e dissi Dio ti amo, mi sono innamorato di te Dio. Per i 
bimbi e gli innocenti non ha importanza”
Poi il blues di The Road Is Dark di Michael Jerome Brown mi trascinò fino al mattino.

Federico, non so come spiegarmi al meglio , quando le sensazioni vengono dal profondo.
RispondiEliminaTi dico solo che hai lo strano potere di unire realtà , fantasia, elementi e storie varir musicali e di musicisti , in maniera così avvincente e reale , da restare delusi quando il tuo racconto arriva alla fine, tra sudore, polvere, recriminazioni, ricerche, crudeltà, amore e vizi..
Straordinario!
grazie nella, ti sono per sempre debitore per tanta stima e considerazione dei miei deliri. forse non lo merito.ma questi piccoli segnali mi fanno continuare a scrivere.grazie di cuore. ciao.
RispondiElimina