Avevo
imboccato quella strada solitaria, senza nulla da attraversare, né
paesi né città, nulla. Guidavo e volevo che le cose scivolassero per i
fatti propri. Volevo abbandonare tutto quello che mi aveva ferito, come
vuoto a perdere, sul ciglio della carreggiata. Volevo mettere un po’
d’ordine in me stesso, perduto nel grande spazio. Ma qualcosa stava
accadendo in quel luogo di desolazione, in quella giornata carica di
luce.
Lei
era tornata dal suo vagabondare e mi aveva mandato delle canzoni che mi
parlavano di un’ America smarrita, di piste battute dal vento, di
amore, morte e guerra, di souvenir raccattati al confine e mi sentii
come l’ultimo dei pionieri, mi sentii come un robivecchi dell’anima. Mi
spiegava che non potevo lasciare certe cose, perché quelle erano nel
profondo di me stesso, mi appartenevano. Non potevo emigrare da quelle
sensazioni o da certe canzoni. No, non potevo farlo davvero, dovevo solo
andargli incontro.
Cosi
presi quella pista che mi portava dentro il cuore dell’America,
imboccai la strada 51, la strada che i vecchi bluesman percorrevano per
seminare le loro perle e che lei ha raccolto quando, selvaggia e
ribelle, viaggiava su strade di polvere, mentre incredula osservava il
West scorrere dietro di lei e, scriveva la sua poesia sul parabrezza
dell’auto .
Mi
prendono a sberle queste canzoni con parole omicide che s’infilano
dentro, come pirati all’arrembaggio. Sono dense e aspre, ma anche
fragili come i blues, e prendono qualsiasi direzione come pallottole
vaganti. Sprigionano gioia, disperazione, tristezza. Si ricordano che
sono figlie delle Pietre Rotolanti e del folk asciutto e grezzo di
Dylan. Ma lui è ovunque, lui è dappertutto, anche nel più crudo disco di
punk. Lui è sempre lì.
Supero quella linea ferrata ormai in disuso e mi appaiono le ombre dei vecchi fuorilegge: John Wesley Harding, Billy The Kid , Jesse James,
che fischiettano sottovoce, e mi sembra di riprendermi un pezzo
d’identità che avevo smarrito. E’ in questo vuoto immenso che percorro
in cerca delle mia città-fantasma, senza roba da bere, che risento forte
e chiara la presenza dello sciamano Jim Morrison aleggiare in Awakening.
Il
cielo è di un blu intenso e la strada è lucidata di nero. La vecchia
Route 66 è malconcia e piena di nostalgia, per i vecchi motel e per
quelle anime che l’hanno attraversata, come quei due solitari, bevuti di
vita, che erano Jack &Neal mentre correvano controvento
a toccare i sensi all’America. Aveva fatto i conti con se stessa, aveva
rassettato la sua vita, ma non si era appagata, tutt’altro. Adesso era
finalmente libera anche di vestire i ricordi con una nuova taglia e
farli risplendere come fossero nuovi di zecca .
Ad
ognuno le strade a misura dei propri sogni. Le valigie erano nuovamente
sul marciapiede. Se n’era andata a vagare sotto un cielo di stelle
cadenti, cosi Born To Be Loved l’aveva scritta sulla sedia a dondolo di Tony Joe White guardando la palude e sorseggiando una birra. Intanto che Buttercup mi agguanta e mi leva il respiro, orgogliosa e insofferente com’è, si tinge di scuro nel ricordo struggente di un amico in Copenhagen. Quando arriva Seeing back sobbalzo dal sedile con una sciabolata chitarristica alla Crazy Horse
. Che cosa pazzesca mi stava capitando! Dentro quelle mappe del cuore
continuai a guidare e ogni volta che arrivavo in fondo mi toccava
ricominciare daccapo.
Poi quello sbuffo di vento mi porta un bacio lieve, Kiss like your kiss,
che mi è finito sulla bocca, e lì me lo sono tenuto per
tutto il giorno, e lo terrò per tutti i giorni che verranno, insieme
alle altre sue strepitose ballate, dolenti e malinconiche, che mi
riempiono gli occhi e l’anima, come angeli ubriachi di rock’n’roll , e
di lei.
Bartolo Federico
che flash... mi ero dimenticato di averla intervistata.. come era fuori.. grazie dei ricordi
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