lunedì 24 marzo 2014

La Strada Che Porta Da Lei

Quando s’invecchia ci si ammutolisce e si prova una sottile sensazione di disagio a stare con gli altri, pensò. Ma poi a che serve parlare, le parole scivolano e si gira intorno alle cose. Ognuno di noi, alla fine, fa sempre ciò che vuole. O, almeno, così crede che sia. Fino a quando, improvvisamente, ci si rende conto che il mondo va in un'altra direzione, rispetto a quella che abbiamo seguito. Ad un tratto, si apre un buco nero dentro di noi, e comprendiamo che non siamo stati capaci di raggiungere il cuore della vita, di essere stati bellamente usati e fottuti dalle circostanze. All’inizio ci sentiamo pieni di rabbia e ne facciamo una questione personale. Con il passare del tempo non ce ne importa più nulla. Ed è a quel punto che si resta afoni e muti. Nel buio della stanza illuminata dalla tele senza volume si versò un’altra tazza di caffè e diede fuoco a un avanzo che era rimasto nel posacenere.  
Rivolse lo sguardo, ancora una volta, verso la finestra. Un violento temporale si era scatenato. Aveva perso qualcosa e voleva sapere se era davvero così. Doveva ritrovarla e riuscire a parlarle, solo a questo anelava. Ma quello che esigeva era davvero troppo. Guardò sul tavolo il medaglione che gli aveva regalato la sera prima che sparisse. Si era fatta una doccia e se ne stava raggomitolata sulla poltrona di pelle, mentre lui con la chitarra strimpellava un vecchio country blues. Ad un tratto, Alice si avvicinò e gli fece un succhiotto sul collo. Era avvolta in un corto accappatoio bianco, che mostrava l’interno delle sue cosce. Lo abbracciò e sentì i seni duri sulla schiena, continuò a suonare stentatamente mentre dei brividi di piacere lo scuotevano. Con maestria gli passò la lingua dietro l’orecchio e gli donò quel pacchetto. Avvolto in un fazzoletto a forma di cuore, c’era quel medaglione con su incisa una frase: Al Mio Amore.
 
Quando riusciva a sottrarre dal lavoro qualche ora libera, amava frequentare un negozio di dischi. Mr Jones, un americano trapiantato era il proprietario di quella bottega e, dato che si conoscevano da tempo, gli lasciava ascoltare tutto quello che desiderava Quella passione per la musica gli era rimasta intatta, nulla era riuscita a scalfirla. Scartabellava tra gli scaffali, guardando ogni singolo lp e cd. Il suo reparto preferito restava quello dedicato al blues, l’unica musica che lo rincuorava. Considerava il blues come la sua ombra acciaccata che lo pedinava su quelle strade tortuose che il suo lavoro lo costringeva a percorrere. Il suo mondo era ingolfato da gente che tentava di fottersi l’uno con l’altro. Da matti pronti ad uccidere per un nonnulla. Da persone colme di odio e miseria. Viaggiava in quel brutto sogno e non riusciva a liberarsene. Fino a quando non gli apparve lei. Fu allora che ruppe definitivamente gli argini e si allargarono i confini. Ruzzolò dentro se stesso, nella sua anima più profonda. E tutto cambiò. Per la prima volta, guardandosi allo specchio, non si riconobbe più. I miei occhi son divenuti rossi quando la mia vita è diventata triste. Così, sto abbandonando tutto, è la verità, per saltare in una nuova pelle. (Don’t Box Me- Stan Ridgway)
Hai voglia a metterli in colonna, le somme del cuore non tornano mai. Ripensando al passato, sentiva di non avere rimpianti per tutte quelle porte che si erano chiuse, per tutti i sogni spezzati e le speranze devastate. Si era disintossicato definitivamente dalle sue e altrui menzogne. E allora? Cos’era che lo spingeva a cercarla? Tanto valeva ammetterlo, almeno a se stesso. Era la carne che si ostinava a rincorrerla, era quel desiderio del suo corpo, della sua bocca, della sua figa, che non si placava. Era quel sentirsi leggero quando lei lo toccava. Quella sensazione di abbandono che provava nel penetrarla e dopo ogni suo orgasmo. Forse stava inseguendo un fantasma. Ma i fantasmi non ti abbracciano, non ti baciano, non piangono. 
Il vento fece sbattere l’imposta della finestra. Si alzò dalla poltrona, raccolse le sue cose che erano sparpagliate per la stanza, le infilò dentro la sacca e si vestì. Non appena fu in strada la pioggia aveva smesso di scendere. Salì in macchina e si avviò lentamente. Anni di odio, di paure, di rabbia, erano scivolati via, tutti in un botto. Accese una sigaretta e ne aspirò una lunga boccata. Si fermò al semaforo ed abbassò il finestrino. Voleva sentire il vento sul viso. Al verde, ripartì sgommando. Dopo qualche chilometro si fermò nuovamente e scrutò intorno, come a cercare qualcuno, qualcosa, una direzione. Ma non c’era nulla in quella città deserta. Neanche una freccia, che gli indicasse la strada che portava da lei.(Città Solitaria tratto da Viaggiatori Nella Notte)
 

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