Dormire
negli ultimi tempi è diventato un vero tormento, al tal punto che Il sonno mi
sembra una discesa negli inferi. Colpa di tutti quegli spettri che vengono a
trovarmi. Al risveglio mi sento stanco, spossato, come una di quelle ballate
febbrili, claudicanti e senza sole dei Jacobites di Nikki Sudden
e Dave Kusworth, o del Johnny Thunders di Hurt Me. Il
medico a cui mi sono rivolto ha confermato che è un problema legato alla mia
depressione ansiosa, e che sono molto peggiorato rispetto all’ultima volta che
mi ha visitato. Stampando la ricetta con gli antidepressivi da prendere, asserì
anche che il mio comportamento compulsivo e ossessivo era da tenere sotto
stretta osservazione. Non è che mi vergognassi a dirlo, ma quei sogni che
facevo la notte erano diventati come una ragnatela. Non mi lasciavano mai
continuando ad inseguirmi anche di giorno. Però, allo strizzacervelli questo
non glielo dissi. Ero seduto in cucina quando squillò il telefono portatile e
risposi con voce rauca ad una signorina dai toni suadenti, che mi illustrava un
offerta vantaggiosa, ma non compresi se era per la rete telefonica o del gas.
Dopo un po’ che le prestavo attenzione la sua voce mi sembrò metallica, come se
provenisse da un altro pianeta. Non sapeva niente di me, né io di lei, ma
stavamo lì a conversare come se ci conoscessimo da chissà quanto tempo. Restai
con la cornetta attaccata all’orecchio, pensando ad altro, perché mi sembrava
davvero sgarbato chiuderle il telefono in faccia. Mentre l’operatrice
continuava ad illustrarmi la sua proposta, mi alzai dalla sedia e azionai
lo stereo: Autumn Stone degli Small Faces, l’ascoltai come
sottofondo a quella strana cicalata mattutina.
Ero
nel nulla, finchè tu non hai cambiato la mia mente, l’amore viaggia attraverso
l’essere buono con te. Dopo sei stata da qualche parte, un luogo difficile da
trovare, quel che tu sei sempre stata, è la verità. Cerco una porta aperta,
dove mi posso mettere seduto e giocare in pace con te. Il domani cambia
l’odierno verde dei prati, ieri è deceduto, ma non i miei ricordi, eravamo
stranieri, e poi sei arrivata tu. La più dolce alba primaverile a cantare per
me. E così ho trovato un suono che vive, che si muove, che respira e fa
all’amore con me.
Quando esco il traffico è ancora scarso.
Camminando per strada incrocio Gianni un vagabondo che assomiglia in maniera
impressionante a Lemmy dei Motörhead, che con i suoi anfibi neri
e gli abiti stazzonati vive tra i binari della ferrovia. Una volta era stato un
chitarrista, ma con il passare del tempo aveva perso il contatto con la musica.
Mi chiesi, salutandolo, quali erano stati i suoi peccati da espiare. Forse il
suo elenco di cose che non avrebbe dovuto fare era troppo lungo? O gli era
capitato qualcosa di così tremendo, che lo aveva spinto a lasciare il mondo?
Vallo a sapere, anche perché era sempre difficile interloquirci. Comunque erano
andate le cose, stava pagando il suo prezzo. Io, invece, nonostante le profezie
del dottore non mi sentivo ancora alla resa dei conti, e il mio livello di
guardia restava alto. L’arteria principale della città adesso è intasata da
automobilisti che suonano impazziti il clacson dell’auto. Nessuno di noi è
padrone di nulla, anche se molti credono il contrario. Nessuno di noi possiede
l’alba, il cielo, la pioggia. Una piccola ombra mi protegge dal sole. Cammino
come tanti sulla strada dei sogni infranti, con la cognizione che è questo
l’inferno. Anche se in molti non se ne sono ancora accorti.
Bene,
ho incontrato una ragazzina in una città di campagna. Lei dice “cosa hai
saputo?” C’è Slim Harpo, non ho mosso la mia testa, non le mie mani, non ho
mosso le mie labbra. Lei agita i suoi fianchi, la bambina ha mosso i suoi
fianchi. Agita i tuoi fianchi, bambina.
In questo
periodo che i soldi sono veramente pochi, rispolvero sempre più spesso i miei
vecchi dischi. Dal computer non scarico alcun file musicale perché ad un certo
punto mi sono sentito come un ladro. Mi limito ad ascoltarla, la musica, quando
mi incuriosisce sufficientemente. James Moore in arte Slim
Harpo è stato l’esponente di punta dello swamp blues. A soli quindici anni
resta orfano ed è costretto ad abbandonare la scuola per mantenere il resto
della famiglia. Si impiega come scaricatore di porto e dopo come manovale, ma
appena finito il lavoro suona per strada le canzoni che scrive, accompagnandosi
con l’armonica e la chitarra che ha imparato da autodidatta. Le monete cadono
rumorosamente nella sua ciotola, ed è così che conosce Lightinin’Slim,
che lo porta dal noto produttore Jay D Miller. Quest’ultimo, però, non
si accorge del talento di questo ragazzo e lo lascia in disparte, fin quando
Slim gli fa ascoltare quel suo nuovo brano dal titolo I’m A King Bee, un
pezzo dalla ritmica martellante e devastante. La canzone diventa
un grande successo, che viene bissato da “Rainin’ In My Heart”. Un blues
notturno, lento e ipnotico, che viene fuori dal fruscio delle paludi della
Louisiana. Queste sue prime canzoni rappresentano al meglio i suoi due volti
musicali. Il primo lato del disco è terminato con la puntina che si inceppa
proprio sul finale. Mi alzo dal divano e giro il vinile. Poso con cura la
puntina sul secondo pezzo, per evitare quell’altro graffio che ferisce la prima
canzone. Muddy Waters, Kinks, Yardbirds, e Rolling Stones, anche quelli
di Exile On Main Street, attinsero dal suo repertorio di canzoni
straordinarie. Accendo una sigaretta e aspiro un paio di boccate, tenendola tra
le dita come fosse un amante. Mentre il fumo mi scende nei polmoni, un pensiero
mi attraversa. C'è come una fossa dentro di noi, ma se il dolore svanisce,
sbiadisce anche il ricordo che lo mantiene vivo. Guardo la mia ombra riflessa
sul muro della stanza, e non so perché le sorrido.
Non temo
più l'inferno, adesso i morti mi fanno molto meno paura dei vivi. Ho
acceso la lampada sullo scrittoio ma i contorni delle cose continuano a sfumare
nella mia mente. Fuori la luna è talmente piccola in quel cielo nero, che la
potrei accogliere dentro il palmo della mia mano. Mi giro e qualcosa da dentro
lo specchio mi osserva. Quel rantolo rauco di Hound Dog Taylor che
arriva dallo stereo acceso mi scuote. Da qualche parte ho ancora del
J&B, cerco la bottiglia accompagnato dalla musica e mi verso quel che
rimane in un bicchiere di plastica. In questi ultimi tempi ho imparato tanti
piccoli stratagemmi. Da quando sono rimasto da solo, sono diventato un
casalingo esperto. Rimbocco le coperte sopra le lenzuola, lavo i pavimenti con
l’aceto, stendo il bucato, pulisco i vetri asciugandoli con la carta di
giornale, e ascolto la radio mentre sbatto i tappeti.
Il giorno
sta per finire. Sul tavolino del salone, non so come c’è finita, una mia
vecchia foto di quando avevo diciotto anni. Ho i capelli lunghi e i Ray-Ban, e
un aria smarrita. Non è che sia cambiato di molto. Almeno a guardarmi così di
primo acchito. E’ un blues sporco e aggressivo, aspro e irruento. Un blues che
partendo dal Mississippi si è formato per la strada, nei bordelli di Chicago, e
si è irrorato di whiskey e imbottito di fumo. E’ un blues oscuro e genuino
quello che suona Hound Dog Taylor con i suoi degni compari gli Houserockers,
diretto discendente del suo maestro Elmore James. Con il suo stile
bottleneck esuberante e distorto manda in visibilio il pubblico nei suoi
concerti non stop, che gli fanno conquistare fama e credibilità nella difficile
città del vento. E’ un selvaggio seduto in quella sedia pieghevole mentre pesta
i piedi e getta la testa all’indietro. Il volume degli amplificatori è
altissimo, ma lui possiede un drive che è una meraviglia del demonio.
Accendendosi l’ennesima sigaretta, aizza la folla ad alzarsi e ballare. È
ruspante e minaccioso, ed è un amante delle donne tanto che un suo amico gli
affibbiò quel sopranome di cane segugio. Ma Hound Dog la vita la prendeva
davvero con ironia e irriverenza. La sbatteva spiaccicandola sul manico della
sua chitarra, per poi con la mano sinistra del diavolo e quel collo di bottiglia
evocare gli spiriti del Delta e di quel cane bastardo di Robert Johnson.
La puntina ha percorso tutti i solchi del vinile e nella stanza è calato il
silenzio. Ma adesso chi è che mi sta guardando nel buio?
Yes I called my woman this morning. I called her on
the phone. You called somebody, told me "Look a here man, she really not
at home, she said see you in the evening, oh yeah that's all she see you in the
evening or she don't see you at all" (See me in the evening- Hound Dog
Taylor)
E’ il
deserto il luogo preferito dei viaggiatori. Perché è in questo territorio che
ci si illude di muoversi, per non arrivare mai. La mattina dopo aver rassettato
la casa me ne sono andato all’ufficio postale per pagare delle bollette
arretrate. Durante il tragitto mi ha fermato una chiromante che ha voluto
leggermi la mano. Dopo averle sorriso, con un certo imbarazzo gli ho teso il
palmo. Mi sembri ubriaco, mi fa guardandomi dritto negli occhi. No non lo sono,
le risposi. Il tuo amore ritornerà, mi dice con tono sicuro. Adesso caracollo
che sembra quasi che mi stia mettendo a ballare. Subito dopo infilo una mano in
tasca e le do tutti gli spicci che ho. Quando arrivo alla posta la gente
straripa fuori dalla porta. Ma dal momento che le bollette sono già scadute mi
armo di pazienza e mi metto diligentemente in fila. Illegale non vuol dire che
non sia giusto. Tiro a campare, mi nascondo e cerco di evitare di pensare. Ma
mi sento stanco, stanco, della mia incapacità di adattarmi. La gente in fila è
scoglionata, nevrastenica. Dal governo ci arrivano solo enormi tasse da pagare
e il lavoro è un miraggio per tanti. Poi, quel Presidente ci prende a tutti per
il culo. Un immigrato quando è il suo turno chiede all’impiegato se gentilmente
gli può scrivere un indirizzo sulla busta, ma il tizio lo respinge in malo
modo. Adesso è veramente troppo. Ed è così che ritorno per un attimo sulla
terra, mi stacco dalla fila e sbatto le mani sul suo specchio di protezione.
Come impazzito, prendo a urlare di uscire dalla sua comoda cuccia, che ho delle
cose da spiegargli. Perché sono stufo, ma proprio stufo, di persone come lui.
Ma evidentemente non si fida e resta fermo e silente sulla sua poltroncina. Lo
so che non ci puoi sopportare, continuo a gridare, ma sai una cosa?, neanche
noi sopportiamo individui come te. Poi con calma mi rimetto in fila mentre un
silenzio glaciale scende giu'.
Weldon
“Juke Boy” Bonner amava la
strada. Con la sua chitarra dal suono primitivo e grezzo, accompagnandosi con
l’armonica per sottolineare il suo tormento, il suo blues mise in scena la
lotta di un uomo per l’affermazione dei propri diritti, ma anche della sua
stessa sopravvivenza.
Ricordo
che vivevo sulla costa occidentale francese. Avevo solo diciassette anni quando
una ragazza mi tocco per la prima volta il cuore. Nonostante io abbia visto i
fiumi, questi non sembrano mai belli come lo sei tu. Talvolta le luci
dovrebbero affievolirsi. Talvolta il mondo è in bianco e nero (Where The Rivers
End - Jacobites).
Non serve
a niente ricominciare, le cose si mettono sempre come vogliono. Mi sedetti sul
divano e alzai gli occhi verso lo specchio. Una volta scendevo al fiume con
Maria ed è lì che ci siamo amati. Ma adesso quel fiume si è inaridito. Perché i
cuori sono come i fiori. Sputai il tabacco che stavo masticando nel vaso e
sentii bussare alla porta.
Bartolo
Federico
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