Ognuno è
quello che è per sempre. Anche l’andare del tempo non è che ci cambi più di
tanto. Si smussa qualche asprezza, qualche angolo oscuro, ma è poca cosa. In un
giorno qualunque, sul treno delle sette ci ero salito agguantando l’ultima
corsa del turno di notte del pontone. Avevo attraversato prima dell’alba quel
braccio di mare che separa le due sponde in compagnia di marinai che avevano
l’aria stanca e assonnata e anche lievemente scocciata, come i suoi passeggeri,
d’altronde. Una delle ultime occupazioni rimaste nell’area dello stretto di
Messina, per non finire a fare l’emigrante, o diventare uno dei tanti
rivenditori ambulanti sparsi per la città. Certo occorreva dedicarsi ore,
giorni, mesi, anni, a leccare il culo all’armatore, o a quel politico di
sinistra (!), che possiede le quote di maggioranza della società navale, per
potere ottenere anche un posticino da mozzo. Ma dalle mie parti la differenza
tra vivere bene e vivere male non è una questione di meriti e competenze, è una
faccenda privata che dipende dalla magnanimità di queste persone. Un bacino di
voti e clientelismo, usato a piacimento da queste famiglie, che potrebbero
benissimo vivere in una telenovela sudamericana. Pezzi grossi che hanno fatto
il bello e il cattivo tempo, a protezione dei loro enormi interessi, in una
delle città più crudeli al mondo. Colpa della visuale egemonica che abbiamo al
sud. Mai modificare lo stato delle cose, potrebbe essere una iattura e se gli
effetti peggiorano la nostra esistenza fa niente. Vai a capire come marciano
certe congegni nel cervello umano.
Qualcosa
però alla fine era cambiato il vecchio sgangherato e polveroso “Mystery
Train”, l’espresso con cui avevo attraversato l’Italia di notte in cerca di
lavoro, era stato sostituito da un convoglio signorile, ma anche scomodissimo
per le mie gambe. Si viaggia, adesso, solo di giorno e con il vagone ristorante
ed il servizio bar a disposizione. Anche se il caffè era cattivo, e il
prosciutto nei panini rinsecchito, si poteva dire che ci eravamo evoluti. Seduto
su quel treno sonnecchiavo e non sapevo se ce l’avevo ancora quel lavoro da
commesso viaggiatore. Facevo parte di quell’umanità che quando si mette la
giacca per uscire di casa si porta con sé un bel sorriso, pure se si è tristi e
sconsolati, come un blues cantato da Skip James. Un lavoratore senza
diritti, e senza tutele sociali. Uno che si doveva arrangiare come poteva. Reso
invisibile da un sistema che, quando resti senza alcun incarico, non c’è
nessuno che ti viene a cercare. Neanche per chiederti come stai.
”Il treno su cui viaggio è lungo sedici vagoni. Il treno su cui viaggio è
lungo sedici vagoni. Beh, questo lungo treno nero porta la mia bambina e se ne
è andato via” (Mystery Train).
Anche Jerry
Lee Lewis nel 1959 fu lasciato da solo ad affondare. Mentre era in tour in
Inghilterra, si venne a sapere che aveva sposato una sua cugina di tredici anni
e fu accusato di incesto e corruzione. Ma quel matrimonio era perfettamente
regolare nella cultura del sud, abituata ai matrimoni precoci e consanguinei.
Lo scandalo, tuttavia, giunse anche in America e da quel momento in poi le
radio non passeranno più i suoi dischi, le televisioni lo ignoreranno e il
grande pubblico lo abbandonerà. Accadde nel periodo in cui Jerry si stava
lasciando dietro le spalle l’eredità contadina con cui era cresciuto. Quel
fragore improvviso farà sì che quando tornerà sulla scena la sua musica non
sarà più quel misto di blues, gospel, boogie, western swing, country e jazz che
suonava sin dal’età di quindici anni. Lo stesso Sam Phillips, il
proprietario della Sun Records diceva che anche “se sei un nemico
giurato del rock’n’roll, in Jerry Lee trovi qualcosa che ti interessa”. Scommetto
l’ultimo soldo che ho che non c’è un imene intatto in questa stanza (Big
Legend Woman), cantava ghignando il killer del rock’n’roll, scombinandosi i
capelli e pestando i tasti del suo pianoforte. Era come avergli sparato un
colpo in piena fronte a quella frotta di teen agers del ceto medio americano
che comprava i dischi di rock’n’roll. Ragazzini che si eccitavano ascoltando
canzoni come Breathless, o Great Balls Of Fire, con tutto quel
dire e non dire sul sesso. Ma dov’è finito quel rock che parlava ai giovani e
raccoglieva le loro urgenze?
Dopo anni
di dure lotte, sembra un buon padre di famiglia, che non è convinto più
di vivere nel desiderio di un eterna giovinezza. E non si reinventa con un
nuovo maquillage, magari continuando a razziare a mani basse, lì dove è
possibile trovare linfa vitale, suonando forte, ambiguo, sfuggente, e trasgressivo.
Il rock’n’roll è musica irrispettosa, corrotta, dove è stato possibile far
confluire tutto. Una zona franca che ha da sempre mescolato le carte,
rigenerandosi. Un bastardo, depravato, privo di amore per le radici della sua
stessa esistenza. Oggi, però, appare smorto, moralizzatosi, come fosse musica
classica o per tradizionalisti con occhi stanchi e i visi rugosi. Altre volte
gli era capitato di assopirsi, ma una nuova ondata di insolenti figli di
puttana aveva scavalcato e spazzato via tutto, dando spazio a nuove sfide.
Forse sarebbe utile che il rock’n’roll viaggiasse nuovamente senza mappe,
selvaggio e incerto, ma soprattutto sprovvisto di navigatore.
Stacker Lee ha sparato a Billy The Lion per un cappello Stetson da cinque
dollari. Questo uomo cattivo oh,il crudele Stacker Lee”(Traditional)
C’è ne
sono a bizzeffe di Lee nella musica americana, tutti provenienti dal sud
degli States. Un nome comune come Ciro, o Tano, nel meridione
d’Italia. Gente fiera di appartenere all’ideologia sudista e anche di accettare
i pregiudizi e gli insulti razzisti con cui sono appellati. John Lee
Hooker, Billy Lee Riley, Moral Lee Boggs, Jeffrey Lee Pierce sono solo
alcuni di quei musicisti. Stacker Lee, invece, è stato un bandito dentro
una canzone, in una storia americana che parla di brutalità, sesso, odio, ma
anche di libertà. Un ritratto del carattere della gente di colore del sud. Un
uomo tosto come il diavolo che uccise Billy, perché fu così stupido da
dirgli che stava barando. Gli sparò, come cantò Johnny Cash in Folsom
Prison Blues, solo per vederlo morire. E Johnny, si sa, non ha mai detto
bugie. La ragazza che mi sedeva di fronte leggeva una rivista per sole donne e
ascoltava musica con l’auricolare. Profumava di Chanel n°5, e portava grandi
occhiali neri da vista griffati. Di tanto in tanto, si toccava i capelli con la
mano attorcigliandoseli tra le dita, e mi guardava di squincio. Era una di
quelle sempre in ordine, lo si notava da come era vestita e dai suoi
atteggiamenti. Siccome non avevo nulla da fare, mi chiesi fra me e me se mi si
sarebbe drizzato l’uccello con una tipa così. Si è liberi quando si può vivere
nella propria terra, e non quando si è costretti a fuggire. I migranti che
arrivano su barconi fatiscenti sono uomini costretti a scappare perché qualcuno
si sta semplicemente prendendo l’Africa, e lì non c’è li vuole più. I
nuovi mercanti di uomini si stanno facendo solo dello spazio per poi potersi
accomodare liberamente e finire di rubar loro la terra. La mafia europea paga
milioni di euro affinché questi uomini e donne vengano accolti e tenuti a bada
nel migliore dei modi. Lo devono fare sapere agli altri africani, che qui non
va poi così male. C’è un nuovo schiavismo in atto che avanza nel silenzio più
assordante. Che fa gelare il sangue nelle vene.
“In piedi sulla forca la testa ben dritta. Lo uccisero alle dodici. Erano
tutti felici di vederlo morire”.
Mississippi
John Hurt diede l’epigrafe più
spietata, ma anche la più verosimile, alla fine di Stacker Lee.
Era pura
energia, Jerry Lee Lewis, con quel suo pianoforte suonato in modo
elementare, ma appariscente e acrobatico, che risentiva pesantemente
dell’influenza della musica nera. Una volta gli diede fuoco per impedire a Chuck
Berry di suonare dopo di lui. Un rock’n’roll che stordiva e che si tuffava
contro ogni limite. Un boogie woogie scoccato e glissato con la mano sinistra
del diavolo. Quando Sam Phillips lo scoprì, nella sua scuderia erano già
arrivati Elvis, Carl Perkins, Johnny Cash, Roy Orbinson, Gene Vincent,
Vincent Conway, Billy Lee Riley, Ma Jerry era davvero un’altra cosa
rispetto a tutti gli altri. Uno che era riuscito a formare un suo personale
linguaggio sonoro, una sua personalità ben distinta che lo differenziava
dall’essere un mero imitatore di Presley. “Dai baby qui c’è da
scuotersi da cima a fondo, dai baby quello che fai va bene” (Whole Lot Of
Shakin’ Goin’ On). La carriera di Jerry si spezza nel momento in cui il
rock’n’roll è attraversato da una serie di disgrazie e lutti. Eddie Cochran
muore nello stesso incidente in cui Gene Vincent resta invalido, Buddy
Holly scompare in un sciagura aerea, Chuck Berry viene imprigionato,
Elvis parte per il servizio militare. Il killer resta il solo
durante gli anni sessanta a suonare con rabbia e passione quella musica del
diavolo, peccaminosa che fa dannare l’anima. Io ho il diavolo dentro! Se
non l’avessi, sarei un cristiano, blaterò un giorno ubriaco Jerry Lee,
durante le registrazioni di alcune sessioni in studio alla Sun Record.
Avrei
voluto essere in Messico, con un sombrero in testa a bere tequila
ascoltando La pistola y el corazón dei Los
Lobos. Ma la fortuna, come la sfortuna, mi aveva sempre evitato nei loro
estremi, quindi restavo solo uno sfigato, che ce la metteva tutta per
sopravvivere in questo mondo, ma è sempre più difficile di quanto si creda.
Avevo aperto le finestre e il temporale aveva ripreso a brontolare dietro le
montagne, mentre il vento di scirocco spazzava l’aria. Stiamo dando tutto per
scontato, anche la nostra vita. Era sabato, quando la gente va a ballare e se
la spassa. Ho messo un disco sul piatto, cosa che non facevo da tempo immemore.
La musica ha preso ad strepitare. “Mi scuoti i nervi e mi fai ballare il
cervello. Il tuo modo di amare fa impazzire la gente accidenti che emozione.
Dio del cielo, grandi palle di fuoco (Great Balls of Fire). Non faceva
freddo, guardai fuori la finestra e andai a riempirmi il bicchiere. Due giri di
ritornello ed ero già sbronzo come una scimmia. Tutto finisce in niente, anche
la giovinezza è finita lontana. Ma l’ho amata dal primo giorno che l’ho
incontrata con quell’aria timida. Mi stavo facendo trascinare dalla corrente
che non è un buon modo per andare lontani. Ma non mi aspettava nessuno.
Ascoltavo del rock’n’roll mentre lì fuori era già un massacro.
Bartolo
Federico
Mi chiedo ogni volta che ti leggo o rileggo attraverso il tuo bellissimo libro, come puoi avere la capacità così naturale di agganciare storie di vita vissuta o meno nel reale o meno, con pezzi di altre vite appartenenti a monumenti del rock , in maniera così perfetta , così ben incastrata da essere sempre nati in questa maniera..
RispondiEliminaSemplicemente adorabile!
Grazie Nella. Stammi bene ti raccomando.
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