Lascia che ti parli prima che te ne vada via per
sempre. Lascia che ti tocchi prima che tutto finisca. Ho commesso un errore
dietro l’altro ma siamo su questa terra per fare delle scelte, e non sempre
imbrocchiamo la strada giusta. “Ti picchierò fino a sfogarmi” mi disse
guardandomi dritto negli occhi. “Fai pure se questo ti farà stare meglio”. “Sei
solo un alcolizzato del cazzo” gridò girando la pagina del libro. Emise un
lungo sospiro e si sedette sul bordo del letto. Man mano che l’eroina gli
entrava in circolo si sentiva più tranquilla. “Sembri un angelo” e le baciai i
capelli, mentre lei appoggiava la testa sul cuscino. Eravamo andati in pezzi da
qualche parte nascosti nel buio della notte. Eravamo una storia ideale per
qualche fottuta canzone di rock’n’roll. Eravamo uno stupido errore mentre
c’inzuppavamo di whiskey, in qualche bar sperduto della città. Ma ci amavamo. C’eravamo
messi a nudo strato dopo strato, bugia su bugia. Mentre guardi nel vuoto dei suoi occhi... dimmi che effetto fa... La polvere copriva tutta la
stanza, e aleggiava come una nuvola intorno alla lampadina dell’abat-jour accesa sul comodino. Quando lei si addormentò presi la bottiglia di Jack
Daniels e mi sedetti sulla poltrona osservando le ombre intorno a me. Eravamo
diretti all’inferno e avevo la sensazione che questa volta era davvero finita.
Non saremmo andati molto lontano così conciati. Una calma piatta e glaciale s’impossessò di me. Forse questa era la vita di qualcun altro. E mi venne da
vomitare. Senza rendercene conto c’era sfuggito tutto di mano. Anche la nostra
anima, era volata via attraverso il tubo di scarico del cesso. Alle volte quei
brandelli di canzoni che mi suonavano nel mio orecchio interiore, mi ricordavano che ero stato un
musicista. Quando il pulsare della vita mi toglieva il fiato, e avevo cucito un
sogno nel mio cuore. Quel sogno rock di Elvis. Ma anche di quei vagabondi nati dalla parte
sbagliata della città. Adesso nessuno poteva più salvarmi. E non era una
questione di coraggio. Mi ero amputato le ali da solo. Ero come un’incisione
sul palmo di una mano. Un falsario di me stesso. Vagavo nel buio e guardando le tenebre avevo infranto ogni regola. Con gli occhi in fiamme per quanto mi faceva male
richiuderli, il cuore accelerò i battiti. Fuori soffiava un vento aspro. Soffiava sulle corde di una vecchia
acustica scorticata dal tempo. Sulla faccia di uomini scordati da tutti.
Sulle aste dei microfoni. Su quei dischi che avevo riposto e che parlavano
di fallimenti, ingiustizie, assassini e libertà. Il mondo continua a essere quel luogo dove le decisioni sono state prese molto molto tempo fa. Mentre il silenzio lentamente si è rubato tutto di
noi. Anche la poesia è svanita nella noia polverosa, di chi ha paura di
bruciare sotto i raggi del sole. Erano le tre del mattino. La pioggia venne giù e mi accarezzò come
un bacio tiepido. Il frastuono e la confusione dominavano su tutto. Le lacrime mi scesero copiose sulle guance. A ciascuno il suo posto. In preda alla follia.
Bartolo Federico
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