E' cominciata così la
notte. Svolazzando si è infilata negli anfratti dell’anima poi
lentamente se né andata dentro il mio cuore, dalla parte più buia. Incantati siamo
rimasti tra di noi. Baciamoci mi ha detto. Dopo abbiamo fatto risuonare dei
blues e anche delle vecchie canzoni che parlavano di autostrade, macchine, e
di quelle piccole cose che ci piacevano. Ho tenuto duro non volevo mica
commuovermi mentre sentivo le sue dita intorno al collo. Mi sono tolto il
cappello e prima di svoltare l’angolo,mi sono fermato a guardarla. La pioggia
è caduta e poi sempre meno. Anche la musica si è fermata. Siamo fatti così. Noi altri.
venerdì 28 agosto 2015
sabato 22 agosto 2015
Quando La Musica Finisce
Accendi
il mio fuoco baby,
accendi il mio fuoco, continuava a
cantare Jim Morrison mentre me ne stavo riverso sul divano. L’orologio a muro camminava imperterrito, e mi
sentivo infelice. Mi versai nella tazza della pessima vodka comprata in offerta
al supermercato, andai in camera e mi buttai sul letto. Non avevo voglia di
fare nulla. Sapete come vanno le cose alle volte. Uno si annoia, si rompe i
coglioni, e per un nonnulla prende a urlare. Anche la mia nuova ragazza si era rotta
del mio pessimo carattere, ed era scappata con il primo che aveva trovato. Who Do You Love… urlava disperato Jim
Morrison. Porca miseria! Che cazzo avevo fatto per essere così riprovevole? Me lo chiesi proprio quando l’urlo brutale e disperato di When
The Music’s Over sovrastò
i miei cattivi pensieri, che per la paura si rintanarono nel loro buco nero. Nel
1991 andai al cinema per vedere il film The Doors del regista Oliver Stone. Ero
animato da buoni propositi, ma tornai a casa con un senso d’angoscia profondo.
Stone si era limitato a mostrarmi un gruppo di alcolisti e drogati, sovraccaricando
le gesta da ribelle senza causa di Morrison, aveva lasciato che la musica fosse
solo un semplice sottofondo. Eppure quel suono scarno, ipnotico, spesso
improvvisato sorretto dalle tastiere di Ray Manzarek ,dalla batteria pulsante
di John Densmore ,dalla chitarra blues di Roby Krieger, e dalla voce profonda
del visionario Jim, avevano lasciato un segno profondo nel rock’n’roll, e anche
dentro di me. Quel film non era quello che avrei voluto vedere. La sua visione
non si associava alla mia esperienza con il gruppo. La loro musica e poesia, si
poesia, avevano avuto un grande peso sulla mia persona. Il rock non era solo un
divertimento, era anche qualcos’altro. Uno stile di vita, uno sbarramento a quello
che non avrei mai voluto essere. E non mi andava per niente di diventare un
tossico rincoglionito, con gli occhi sbarrati, e il cervello in fumo. Che era
la sola possibilità che mi offriva la sua versione. Stone con quel film tagliò
il traguardo da vincitore. Fu acclamato dalla critica e dal pubblico. Ma non
sempre questi hanno ragione. Che se ne andassero all’inferno, lui e i suoi
miliardi di dollari. Io ci avevo le mie piccole verità, che tenevo nascoste
gelosamente. Avevo persino elaborato un sistema di protezione mentale per difendermi
da quegli attacchi. La musica era l’unica cosa oscura che volevo esplorare, e che
riconoscevo come mia. L’avrei difesa con le unghie e con i denti, da chi voleva
liquidarla come fosse solo un fenomeno da baraccone. Dovevo imparare a non
essere troppo sgarbato con gli stronzi. Una cosa su cui sto ancora lavorando. Ma
quando la musica finisce. Beh! Voi lo sapete già. Tutto torna come prima.
Ero in alto mare, mentre in mutande e
senza maglietta, mi aggiravo come un fantasma per casa. Una sfilza di bollette
arretrate giaceva inerme sul tavolo del soggiorno. Mi sentivo stranito, senza
forze, e mi comportavo da irresponsabile. Ma mi ero stufato di lottare contro
un mondo d’idioti, di sciupare i miei giorni in cerca di un profitto per
vivere. Volevo starmene a bere, e sentire musica come da ragazzo, quando avevo
il controllo del mio tempo. Non facevo del male a nessuno, dopotutto. Chi lo
dice che questa vita che gioco forza uno conduce, è la migliore. Forse è stato il
nostro premier? Uno che sorridendo ce lo mette in quel posto. A sentire la
sua propaganda con lo Jobs Act ha creato nuovi posti di lavoro, e ha
stabilizzato una marea di precari. Con la riforma del senato avremo finalmente
una democrazia compiuta, e un governo che decide. C’è di che avere paura. Il
Corriere, la Repubblica, ripetono che siamo in buone mani. Ma a vedere i vari Chicco
Testa, Maggioni, Alfano, Lorenzin, e tutti quelli del Pd, mi vengono i brividi.
Figuri che non si accorgono neppure che una banda di criminali, fa il funerale
al proprio boss, come fosse un grosso grasso matrimonio. C’era persino un
elicottero che lanciava petali di rose sul feretro. A sentir loro, nessuno ne sapeva
niente. Questo è ancora peggiore. Pensa se fossero stati quelli di Isis, che
lanciavano bombe. Neanche le nostre solerti forze dell’ordine, sempre pronte a
picchiare ragazzi e operai, hanno detto a questa gente: ma che cazzo fate, chi
cazzo vi credete di essere. Nemmeno un piccolo spintone gli hanno dato, un semplice
calcio nel sedere, neppure un buffetto sulla guancia. Niente di niente. Anche
il papa ci deve qualche spiegazione. Ora prono bis. Che vita meravigliosa è
questa. Invidio i barboni che se ne stanno per strada a bere vino, e a fumare. Il
resto non conta. Ovvio, tranne la musica.
Il bar Porta Messina era a trecento metri dalla
stazione ferroviaria, e vicino al porto. Una fauna variopinta di disperati
affollava i locali ogni notte. Operai, anziani lasciati da soli, pazzi,
borsaioli, prostitute scosciate e mezze nude, magnaccia, scommettitori di corse
clandestine di cavalli, saltimbanco, marinai e ferrovieri. Camionisti, e
qualche malavitoso di mezza tacca. Tra urla, risate, colpi di tosse, fiumi di
birra, e pestoni sui piedi, mi sembrava di vivere le canzoni che ascoltavo. Ci
andavo quasi ogni sera, in quel locale che era la copia esatta della copertina
dell’album Nighthawks At The Dinner
di Tom Waits. Un doppio album live dal suono jazzato, uscito nel 1975. Non appena
finivo la mia trasmissione radiofonica, mi fiondavo con il mio vespone 125 ad ascoltare
quelle storie di disperazione, abbandono, e desolazione, che mi facevano capire
molte cose di me. Dopo un po’ conobbi quasi tutti i clienti abituali, ed era facile
che tirassi fino all’alba. A qual tempo però, era una cosa che mi potevo
permettere. Ho messo American V: Hundred
Highways di Johnny Cash, faccio scorrere l’acqua e m’infilo sotto la
doccia. Una notte che c’era anche Sal
ed ero abbastanza brillo, presi a narrare la storia di Big Joe Phanton 309. Questa canzone
scritta da Red Sovine narra di un
autostoppista che tornando a casa, si ritrova fermo a un bivio sotto una
pioggia battente. Preso dallo sconforto, giunge in suo aiuto un autotrasportatore,
che sta transitando da quelle parti. Dopo aver guidato tutta la notte, Big Joe lascia
l’autostoppista a una fermata d’autobus, regalandogli pure dei soldi per una
tazza di caffè. Una volta dentro il bar, l’uomo racconta a tutti di
quel camionista. Ma il cameriere gli dice che era stato beneficiato di un
passaggio del Fantasma 39. Dieci anni prima Big Joe aveva sterzato per non
investire uno scuolabus pieno di bambini, ed era morto nello schianto. Adesso tornava
ogni qualvolta una persona era in difficoltà. Nel bar i presenti presero a
fissarmi. Qualcuno infilò una moneta nel jukebox, cosi ci fu anche un po’ di
musica. Mi toccò distogliere lo sguardo dai loro occhi, e fissare il soffitto. Sollevai
il mio bicchiere e lo scolai in un fiato. La vita quel giorno mi sembrò
migliore.
E’ il mese di agosto ma piove a dirotto.
Continuano a piacermi gli Husker Du, i
Social Distorsion, Doc Watson, ma anche i Fletwood Mac di Rumors. Nel buio della mia
stanza, mi sono sempre lasciato coccolare dalle melodie di questo grande disco Non c’è nulla di cui vergognarsi. Non si può sempre avere a che fare con i
propri tormenti, i propri incubi. Alle volte quando l’aria è tiepida, e ti senti
leggero come il vento, queste canzoni sono un toccasana. Ho guidato chilometri
con queste note, ci ho fatto l’amore, ho pianto, ho riso, e mi hanno sempre
colto di sorpresa. E non mi sorprende
che anche uno come Warren Haynes In Ashes &Dust il suo nuovo album, che è
un capolavoro, riprenda Gold Dust Woman insieme a Grace Potter. Ho
tolto l’orologio dal muro, tanto non c’è niente da vincere. Quando lo capiremo,
vivremo tutti più rilassati. Ripercorrendo le strade del passato, mi sono
accorto di quante stronzate ho combinato, quante porte ho sbattuto sul naso,
quanti dispiaceri ho causato. Il tempo mi ha insegnato a non illudermi. E allora
mi rimangono solo quegli occhi da cane bastardo, che sono un segno di dignità, in
un mondo che ha smesso di vergognarsi.
Bartolo Federico
domenica 16 agosto 2015
Cresciuto In Modo Sbagliato
Alle cinque e
quarantacinque del mattino l’autostrada era un deserto. C’era solo una nuvola solitaria,
che come un batuffolo di cotone ballonzolava nel cielo. Accesi la radio nel
momento in cui i conduttori stavano commentando un’intervista che Keith Richard aveva rilasciato al
giornale Esquire. Il chitarrista degli Stones riteneva che Sgt Pepper’s Lonely Heart Club
Band album dei Beatles uscito nel 1967, fosse un miscuglio di spazzatura. Secondo Richard era anche sbagliato
considerarlo il miglior album rock di tutti i tempi. I due tizi come succede
sempre quando ci sono di mezzo, queste due band, erano invece di parere opposto.
Imputavano a Keith di essere solo un vecchietto invidioso, e che questo livore
era dovuto al fallimento che gli Stones avevano subito con il disco The Satanic Majesties Request, uscito nello
stesso anno. Risi di gusto e attivi
la freccia per entrare nell’area di servizio. Era rimasto un gran figlio di
puttana quel ragazzo, tirava calci nei coglioni, e qualcuno a distanza di tanto
tempo si faceva ancora male. Quella mattina l’aria era pulita e anche un po’ zuccherosa,
ma mi sentii felice di appartenere a quella pattuglia di sudisti sfigati,
amanti del blues, e di quelle canzoni rock che grattugiano la vita con suoni
scarni e acuti. Canzoni in bianco e nero, povere ma dignitose, che non suonano
mai troppo complicate. Preferisco un’emozione sanguigna, all’abilità tecnica. Sarò
uno stupido valutai mentre sorseggiavo il caffè, ma la mia gente è rimasta ad
alloggiare nei piani bassi del mondo. Sono spesso in affanno con le bollette e
l’affitto di casa, e quando cantano, stonano sempre sugli acuti. Sono davvero
limitato musicalmente parlando, ma è colpa del rock’n’roll che è in me.
Quando ero un ragazzo,
è stata questa musica che mi ha offerto una scappatoia dal grigiore della
periferia in cui vivevo, e mi ha dato il coraggio per affrontare la vita
guardandola da un altro punto di vista. Gliene sarò sempre grato. Scrollai
l’uccello e mi sistemai la camicia a righe, che era identica a quella che
indossava Tom Waits ai tempi delle
foto promozionali dell’album Rain Dogs.
Mi lavai le mani e uscii dalla toilette. Feci il pieno e ripartii. Il
notiziario radiofonico delle sette, m’informò che Andrea un malato di mente sottoposto
a trattamento sanitario obbligatorio, era morto soffocato per l’intervento fin troppo
rude di tre vigili urbani, e dello psichiatra. Non pagherà nessuno per la sua morte,
ne sono certo. Non c’è giustizia per i deboli, e gli indifesi. Figuratevi per
uno come Andrea. Un ragazzo che delirava, e aveva le allucinazioni. Un
sognatore, che a detta di chi lo conosceva, era buono come il pane. Nessuno mai
condannerà quei vigili, e il dottore. Gli avvocati di certo troveranno una
scappatoia. Ma un paese in cui devi temere chi dovrebbe proteggerti, ha
qualcosa che non va nelle sue fondamenta. Anche se si continua a sorridere per
come vanno, le cose è davvero difficile non avere il blues. Buddy Guy è nato nel 1936 a
Lettersworth, in Louisiana e a dispetto dei suoi settantanove anni suona e
produce ancora dischi. Born To Play
Guitar dal titolo assai emblematico, è uscito recentemente. Dentro questi
solchi oltre alla sua voce ancora possente ed espressiva, e alla sua magica
chitarra, troviamo Kim Wilson, Billy Gibbons, Joss Stone, e in Flesh &
Bone dedicata allo scomparso B.B.King,
c’è la grande voce di Van Morrison a
duettare con lui. Buddy quando nel 1960 arrivò alla Chess Record portato
dall’immenso Willie Dixon, suonò per
lungo tempo 24 ore su 24. Di giorno
come session man nei dischi di Muddy
Waters, Little Water, Sonny Boy Williamson, Walter Horton, Koko Taylor. Di
notte sui palchi dei vari locali di Chicago, insieme a Magic Sam e Otis Rush. Un
bluesman amato da una moltitudine di musicisti bianchi. Da Eric Clapton, ai Fleetwood Mac (partecipò alle registrazioni di Blue Jam At Chess) Jeff Beck,
Mark Knopfler, Jimmy Page. Anche se questo lavoro non aggiunge nulla di
nuovo alla sua storia, in chiusura del disco si trova una piccola perla. Una canzone
che riporta Buddy sulle sponde nere e fangose del Mississippi. Il grande fiume che
scorre lento e sinuoso, accarezzando tutta l’America. Come Back Muddy suona un blues paludoso, intenso, febbrile. Un
blues acustico che è una preghiera, una poesia, talmente intensa da commuovere
fino alle lacrime.
Lord I don't need no picture I can see you still. Carrying
a switch blade knife. Flashing those hundred dollar bill. I said come back
Muddy. I miss those good old days. Come back Muddy. The blues ain't been the
same. Give you my promise. That I'm gonna keep on playing.(Come Back Muddy )
Il mondo è
pieno zeppo di droga, ovunque ti giri scorre a fiumi. C’è sempre qualcuno nascosto
nell’ombra, pronto a spacciare. Gli affari per i narcotrafficanti vanno alla
grande. D’altronde, è con il narcotraffico che si tiene in piedi l’economia
mondiale. Per questo motivo nessun governo ha mai fatto una politica di vera
lotta contro questo traffico. Chi tiene le redini è talmente ricco e potente,
che può comprarsi il debito pubblico di una nazione, e far crollare le borse
mondiali. Personaggi che hanno anche in mano le multinazionali, le banche, e
l’industria delle armi. Alla fine del giro chi ci rimette sono solo i ragazzini,
e le ragazzine, e quei tossici, che si trasformano in piccoli spacciatori. Sono
loro che finiscono per morire su una spiaggia, o suicidi in carcere. È un mondo
sottosopra, che non mi piace, e che non riesco a capire.
È stato Elvis con le Sun Session, che ha portato al mondo il blues del delta. Ma è grazie
a Sam Phliphis il fondatore della Sun Record, se quella musica e quei
suoni scheletrici, hanno fatto davvero una rivoluzione sociale e culturale. Il
blues, come il rock, non passa più per radio, è diventata ormai musica di
nicchia. I ragazzi sono attratti da altre cose. Ho come l’impressione che sia davvero
finito un ciclo. Sono solo i vecchi appassionati di vinile come me, che
predicano ancora il verbo. Alle volte mi sembra tutto tremendamente malinconico. E’ un’estate di lavoro la mia, ma me lo sono scelto tanto tempo fa
questo girovagare, e non mi lamento. Ho percorso trecento chilometri, e a un
tratto mi sono sentito smarrito, perduto, dentro quelle memorie che raccoglievo
mentre guidavo. Mi accorgo di essere diventato sempre più solitario, e
silenzioso. Meno male che ho sempre quel gesto liberatorio di andare, il
movimento, i paesaggi, certi dischi, e qualche fotogramma racchiuso gelosamente
nella mia memoria, che mi salva dalla pazzia. Ho messo un disco nel cd del furgone, per interrompere quell'inquietudine che mi aveva preso. Dopo
i recenti problemi di salute tra cui un’operazione al polmone, un trapianto di
fegato, l'epatite C, causa di una vita, spesa tra alcool e droghe. Greg Allman
ritorna a Macon città, dove tutto ha avuto inizio, e tiene un concerto che per
novanta minuti non cala mai di tensione e passione. E’ senza dubbio molto migliorato
con l'età, la sua voce è assai ispirata, e inconsapevolmente mi restituisce
quella libertà delle anime semplici, gli anni selvaggi, e le illusioni di una
vita intera. E intanto che continuo a spingere e ad andare avanti, mi vorrei
fermare di botto, e tornare indietro.
Avrei voluto
suonare in una rock’n’roll band. Sentirmi anch’io parte di qualcosa. Ma i miei sogni rock, si sono rotti con il duro vivere. Tante volte mi
sono applicato per capirci qualcosa. Ne sono uscito confuso e disilluso. È da
giorni che ascolto le canzoni che Jonathan
Tyler ha registrato con i suoi Northen
Lights per il nuovo disco Holy Smokes.
Sono le dodici battute del blues, i battiti del mio cuore a suonare
appassionati in questi solchi. Ci ho ritrovato tutto quello con cui sono
cresciuto. Quello che mi ha reso la vita più sopportabile. I sapori del sud, le
capanne, i grandi spazi, le strade polverose, gli Stones di Sticky Fingers, la
ballata alla Townes Van Zandt, i suoni dilatati degli Allman Brothers. In fondo a una strada secondaria, un lungo
fremito mi ha attraversato il corpo.
Bartolo
Federico
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