Alle cinque e
quarantacinque del mattino l’autostrada era un deserto. C’era solo una nuvola solitaria,
che come un batuffolo di cotone ballonzolava nel cielo. Accesi la radio nel
momento in cui i conduttori stavano commentando un’intervista che Keith Richard aveva rilasciato al
giornale Esquire. Il chitarrista degli Stones riteneva che Sgt Pepper’s Lonely Heart Club
Band album dei Beatles uscito nel 1967, fosse un miscuglio di spazzatura. Secondo Richard era anche sbagliato
considerarlo il miglior album rock di tutti i tempi. I due tizi come succede
sempre quando ci sono di mezzo, queste due band, erano invece di parere opposto.
Imputavano a Keith di essere solo un vecchietto invidioso, e che questo livore
era dovuto al fallimento che gli Stones avevano subito con il disco The Satanic Majesties Request, uscito nello
stesso anno. Risi di gusto e attivi
la freccia per entrare nell’area di servizio. Era rimasto un gran figlio di
puttana quel ragazzo, tirava calci nei coglioni, e qualcuno a distanza di tanto
tempo si faceva ancora male. Quella mattina l’aria era pulita e anche un po’ zuccherosa,
ma mi sentii felice di appartenere a quella pattuglia di sudisti sfigati,
amanti del blues, e di quelle canzoni rock che grattugiano la vita con suoni
scarni e acuti. Canzoni in bianco e nero, povere ma dignitose, che non suonano
mai troppo complicate. Preferisco un’emozione sanguigna, all’abilità tecnica. Sarò
uno stupido valutai mentre sorseggiavo il caffè, ma la mia gente è rimasta ad
alloggiare nei piani bassi del mondo. Sono spesso in affanno con le bollette e
l’affitto di casa, e quando cantano, stonano sempre sugli acuti. Sono davvero
limitato musicalmente parlando, ma è colpa del rock’n’roll che è in me.
Quando ero un ragazzo,
è stata questa musica che mi ha offerto una scappatoia dal grigiore della
periferia in cui vivevo, e mi ha dato il coraggio per affrontare la vita
guardandola da un altro punto di vista. Gliene sarò sempre grato. Scrollai
l’uccello e mi sistemai la camicia a righe, che era identica a quella che
indossava Tom Waits ai tempi delle
foto promozionali dell’album Rain Dogs.
Mi lavai le mani e uscii dalla toilette. Feci il pieno e ripartii. Il
notiziario radiofonico delle sette, m’informò che Andrea un malato di mente sottoposto
a trattamento sanitario obbligatorio, era morto soffocato per l’intervento fin troppo
rude di tre vigili urbani, e dello psichiatra. Non pagherà nessuno per la sua morte,
ne sono certo. Non c’è giustizia per i deboli, e gli indifesi. Figuratevi per
uno come Andrea. Un ragazzo che delirava, e aveva le allucinazioni. Un
sognatore, che a detta di chi lo conosceva, era buono come il pane. Nessuno mai
condannerà quei vigili, e il dottore. Gli avvocati di certo troveranno una
scappatoia. Ma un paese in cui devi temere chi dovrebbe proteggerti, ha
qualcosa che non va nelle sue fondamenta. Anche se si continua a sorridere per
come vanno, le cose è davvero difficile non avere il blues. Buddy Guy è nato nel 1936 a
Lettersworth, in Louisiana e a dispetto dei suoi settantanove anni suona e
produce ancora dischi. Born To Play
Guitar dal titolo assai emblematico, è uscito recentemente. Dentro questi
solchi oltre alla sua voce ancora possente ed espressiva, e alla sua magica
chitarra, troviamo Kim Wilson, Billy Gibbons, Joss Stone, e in Flesh &
Bone dedicata allo scomparso B.B.King,
c’è la grande voce di Van Morrison a
duettare con lui. Buddy quando nel 1960 arrivò alla Chess Record portato
dall’immenso Willie Dixon, suonò per
lungo tempo 24 ore su 24. Di giorno
come session man nei dischi di Muddy
Waters, Little Water, Sonny Boy Williamson, Walter Horton, Koko Taylor. Di
notte sui palchi dei vari locali di Chicago, insieme a Magic Sam e Otis Rush. Un
bluesman amato da una moltitudine di musicisti bianchi. Da Eric Clapton, ai Fleetwood Mac (partecipò alle registrazioni di Blue Jam At Chess) Jeff Beck,
Mark Knopfler, Jimmy Page. Anche se questo lavoro non aggiunge nulla di
nuovo alla sua storia, in chiusura del disco si trova una piccola perla. Una canzone
che riporta Buddy sulle sponde nere e fangose del Mississippi. Il grande fiume che
scorre lento e sinuoso, accarezzando tutta l’America. Come Back Muddy suona un blues paludoso, intenso, febbrile. Un
blues acustico che è una preghiera, una poesia, talmente intensa da commuovere
fino alle lacrime.
Lord I don't need no picture I can see you still. Carrying
a switch blade knife. Flashing those hundred dollar bill. I said come back
Muddy. I miss those good old days. Come back Muddy. The blues ain't been the
same. Give you my promise. That I'm gonna keep on playing.(Come Back Muddy )
Il mondo è
pieno zeppo di droga, ovunque ti giri scorre a fiumi. C’è sempre qualcuno nascosto
nell’ombra, pronto a spacciare. Gli affari per i narcotrafficanti vanno alla
grande. D’altronde, è con il narcotraffico che si tiene in piedi l’economia
mondiale. Per questo motivo nessun governo ha mai fatto una politica di vera
lotta contro questo traffico. Chi tiene le redini è talmente ricco e potente,
che può comprarsi il debito pubblico di una nazione, e far crollare le borse
mondiali. Personaggi che hanno anche in mano le multinazionali, le banche, e
l’industria delle armi. Alla fine del giro chi ci rimette sono solo i ragazzini,
e le ragazzine, e quei tossici, che si trasformano in piccoli spacciatori. Sono
loro che finiscono per morire su una spiaggia, o suicidi in carcere. È un mondo
sottosopra, che non mi piace, e che non riesco a capire.
È stato Elvis con le Sun Session, che ha portato al mondo il blues del delta. Ma è grazie
a Sam Phliphis il fondatore della Sun Record, se quella musica e quei
suoni scheletrici, hanno fatto davvero una rivoluzione sociale e culturale. Il
blues, come il rock, non passa più per radio, è diventata ormai musica di
nicchia. I ragazzi sono attratti da altre cose. Ho come l’impressione che sia davvero
finito un ciclo. Sono solo i vecchi appassionati di vinile come me, che
predicano ancora il verbo. Alle volte mi sembra tutto tremendamente malinconico. E’ un’estate di lavoro la mia, ma me lo sono scelto tanto tempo fa
questo girovagare, e non mi lamento. Ho percorso trecento chilometri, e a un
tratto mi sono sentito smarrito, perduto, dentro quelle memorie che raccoglievo
mentre guidavo. Mi accorgo di essere diventato sempre più solitario, e
silenzioso. Meno male che ho sempre quel gesto liberatorio di andare, il
movimento, i paesaggi, certi dischi, e qualche fotogramma racchiuso gelosamente
nella mia memoria, che mi salva dalla pazzia. Ho messo un disco nel cd del furgone, per interrompere quell'inquietudine che mi aveva preso. Dopo
i recenti problemi di salute tra cui un’operazione al polmone, un trapianto di
fegato, l'epatite C, causa di una vita, spesa tra alcool e droghe. Greg Allman
ritorna a Macon città, dove tutto ha avuto inizio, e tiene un concerto che per
novanta minuti non cala mai di tensione e passione. E’ senza dubbio molto migliorato
con l'età, la sua voce è assai ispirata, e inconsapevolmente mi restituisce
quella libertà delle anime semplici, gli anni selvaggi, e le illusioni di una
vita intera. E intanto che continuo a spingere e ad andare avanti, mi vorrei
fermare di botto, e tornare indietro.
Avrei voluto
suonare in una rock’n’roll band. Sentirmi anch’io parte di qualcosa. Ma i miei sogni rock, si sono rotti con il duro vivere. Tante volte mi
sono applicato per capirci qualcosa. Ne sono uscito confuso e disilluso. È da
giorni che ascolto le canzoni che Jonathan
Tyler ha registrato con i suoi Northen
Lights per il nuovo disco Holy Smokes.
Sono le dodici battute del blues, i battiti del mio cuore a suonare
appassionati in questi solchi. Ci ho ritrovato tutto quello con cui sono
cresciuto. Quello che mi ha reso la vita più sopportabile. I sapori del sud, le
capanne, i grandi spazi, le strade polverose, gli Stones di Sticky Fingers, la
ballata alla Townes Van Zandt, i suoni dilatati degli Allman Brothers. In fondo a una strada secondaria, un lungo
fremito mi ha attraversato il corpo.
Bartolo
Federico
Uh, gli Allman Brothers..cosa mi hai fatto venire in mente..
RispondiElimina...Grown So Ugly...
RispondiEliminaI got up this mornin',
RispondiEliminaPut on my shoes,
Tied my shoes,
Went to the mirror,
For to comb my hair,
I made a move,
Know what to do,
Try to break and run,
Baby, this ain't me,
Baby, this ain't me,
Grown so ugly,
Grown so ugly,
Don't even know myself,
Don't even know myself,
Left Angola, 1964,
Walkin' down the street,
Knock upon my baby's door,
My baby come out,
And ask me who I am,
I say "Honey,
Honey, don't you know your man?"
She said "My man been gone,
Since 1942,
And I tell you, Mr. Ugly,
He didn't look like you!"
Gran bel sito...il folk e il country piu' ruspante...il blues...mi e' parso di capire che ti piacciono gli autori periferici...mmiermetto di segnalarti tale Benjamin Folke Thomas [alti e bassi m a gli alti sono notevoli]...e' il classic artista, prevalentemente acustico -con corredo di accordature aperte e via dicendo- che pare fregarsene sonoramente dle successo e ami invece la musica...
RispondiEliminaGrazie Paolo ,ci metto subito un orecchio. Si mi piacciano i solitari ,i genuini, quelli che non abbassano la testa davanti a nessuno. Mi piacciano in generale le persone con la schiena dritta, e il coraggio di guardare il mondo dalla parte dove non si posa mai lo sguardo. Un abbraccio.
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