Ero rimasto a fissare la strada con quella tristezza che ti
assale e ti sorprende, quando i ricordi diventano commoventi. Non so perché ma
rispolverando vecchie sensazioni scrostate con le unghie da un tempo che ci
batte inesorabile, mi sentii nuovamente selvaggio su quella carrabile
sgangherata e capricciosa. La strada davanti a me era un sali-scendi, e la
giornata carica di luce. L’ideale per un viaggiatore solitario. Sapevo bene che
l’importante era andare, camminare, arrivare da qualche parte, per cercare di
mettere a freno quella frenesia che mi tormentava il cuore. Mi sentivo da molto
tempo ormai come uno che aveva perso il suo orientamento, e che non sapendo
più’ cosa fare con la propria vita, si era rimesso in viaggio su quelle strade
rimaste chiuse dentro un archivio di memorie e cianfrusaglie. Sempre pronte
tuttavia ad accogliere chiunque. Un ramingo, un rambler, o un bandito
raccattato in una bettola, nascosta ai lati del mondo. Vedevo i loro occhi brillare nel buio. Ma
dalle mie parti, c’erano un sacco di rompicoglioni che brulicavano nell'ombra. Gente pronta
a farsi un banchetto con la mia carcassa. Non era ancora tempo per finire
nei loro inganni.
A quei tanti disperati che aspettavano i treni della notte,
li penetrava un vento gelido. Ma loro non si facevano troppi scrupoli ad
attraversare il mondo con quel luccichio negli occhi, e la chitarra a tracolla.
Percorrevano vie oscure, e provando e riprovando, le canzoni che scrivevano,
confessavano i loro peccati. Non c’era nessun virtuosismo vuoto e inutile nella
loro musica, ma solo la voglia di scoprire cosa si nascondeva dietro l’emozione
di una nota ostinata, e dolente. Quello che desideravano era soltanto un’anima
nuova, afferrare l’attimo. Le loro canzoni però ti facevano tremare,
scuotendoti fin dentro le ossa. Mi chiesi cos’era rimasto di tutti quei sogni?
Di quelle gocce di speranza, che avevano lasciato dietro le loro spalle. Era
stato tutto seppellito sotto rotoli di catrame? Oppure quella magia era rimasta
ancora appiccicata nell’aria? Girai la chiavetta del motore e mi ricordai di
quando mi nascondevo da qualche parte con quei dischi, che mi alleviavano le
ferite. E’ al buio che l’angoscia diventa ancora più insopportabile da domare.
Qualcuno in strada stava suonando un sassofono, e
tirava fuori emozioni ammaccate e sciupate, ma ancora buone da origliare. Sotto
i neon accesi, ho riguardato delle vecchie foto in bianco e nero. E anche
quell’addio venuto fuori dal fondo della mia memoria. Sono rimasto ad ascoltare
come un bambino incredulo, allo stesso modo di quand’ero ragazzo e non c’era
nessuno che mi spiegasse quello che non capivo. La musica è sempre stata
l’unica cosa che mi ha fatto sentire vivo, come nessun’altra cosa al mondo. Ed
è con la musica che ho tenuto a bada quel sentimento di dolore che provavo
sotto quel cielo tumefatto di lividi grigi, e malinconici. Tom Gruning e
le sue ninnananne sono stati preziosi in quelle notti senza nome, e senza
volto.
Il segnale è indiscutibile. Quel tizio dice un sacco di
falsità, non vuole altro che ridurci in brandelli. Ma molti fanno finta di non
capire. Siamo come
tanti coglioni bastonati e derubati di tutto. Erano quasi le cinque del mattino
e la luce del sole stava per tornare. Merda... Un sacco di cose si soffocarono
in gola. Fu in quel momento che il blues prese nuovamente il sopravvento. Chi
ha ucciso Jesse James, Billy The Kid, Sacco e Vanzetti, Stagolee? Buddy Holly
perché è morto così giovane? Mi mancano Brian Jones, Bobby Fuller e Jim
Morrison. Tim e Jeff Buckley. E pure quel pazzo scatenato di Keith Moon. Quel
locale in fondo alla strada era chiuso. Allora pregai e implorai il diavolo per
potergli vendere l’anima, e suonare finalmente il blues come Tommy Johnson.
Mississippi John Hurt
cantava e suonava un folk blues assai lontano dal quel suono di Robert
Johnson, quel suono maledetto
e spregiudicato, che ha fatto grande il rock’n’roll. E’ stato un testimone
musicale della cultura tramandata per via orale. Molto amato dal pubblico
bianco, anche per via della sua mestizia d’animo. I suoi blues sussurrati da
una voce nasale e da un picking chitarristico pulito e preciso, hanno fatto
breccia nel cuore di Doc Watson, Bob Dylan, e John Fahey. Senza
di lui non ci sarebbe stato neppure quel twang notturno e malinconico di J.J.Cale.
La risposta è tutta qui, chiusa nel palmo della mano. Frank Stokes suonava il blues, ma si stava
rovinando con i suoi vizi. Le cose erano fuori dalla sua portata. Brandiva
venti dollari che aveva racimolato cantando a una festa di matrimonio, e beveva
del pessimo whiskey. Il mazziere distribuì le carte raccogliendo i soldi posati
sul tavolino. La partita era appena cominciata. Sapeva troppe cose quel ragazzo,
ma aveva bisogno di un sacco di trucchi per eccitarsi, e cominciare a suonare
la sua rabbia, la sua disperazione. Un ultimo giro per favore.
La cerchiamo come ossessi la felicità. Si tira avanti
tenendoci compagnia, facendo l’amore e abbracciandoci, nonostante la nostra
cattiveria. Camminiamo per questo mondo, sbattendo le ali, cadendo e
rialzandoci. È molto più facile però rinunciare all’amore, che alla vita. Guthrie
Thomas è scampato solo per miracolo, al suo diluvio interiore. Perché
quando ci si sente fuori posto, si fanno tante cazzate. Un giorno è scomparso
sotto la pioggia battente. Rifugiatosi da qualche parte, scrive ancora canzoni
destinate a oscuri angeli neri, e canta sempre di promesse infrante, di terre
sconosciute, di sogni giurati sottovoce all’ombra di una candela. Sullo sfondo
della notte ci sono tanti uomini lasciati soli, che non troveranno altro che
il loro misero destino, mentre se ne vanno dritti all’inferno.
Non mi restava che spingere sull’acceleratore, come avevo
fatto un mucchio di altre volte. Quando non ti senti più te stesso, è come
spegnersi lentamente. Mi resi conto che accumulando macerie su macerie,
continuavo a inerpicarmi in questa fottuta storia. Ero in marcia con quel
dolore antico, che mi trafiggeva il cuore. Poi la vidi da lontano quella linea
blu, la mia strada. E respirai. Me lo ricordavo quel bivio e anche la pompa di
benzina, con il cilindro di vetro rotto. Sembravano che mi stessero aspettando.
La mia vena non si era indurita e neanche
rinsecchita. Bastava scavare un po’ nei meandri per trovare illusioni, fughe
e orgoglio. C’ero finito un mucchio di volte al confine con gli occhi
che mi bruciavano. Allora avevo poche cose con me. Una di queste però era
veramente preziosa. La musica di Chicken Skin Music di Ry Cooder che mi faceva sentire davvero un
clandestino dell’anima, mentre viaggiavo su quelle strade percorse dal vento, e
dalla solitudine. Quelle canzoni mi conciliavano con il mondo, e anche la mia
paura spariva. Con gli occhi dell’immaginazione e con il cuore minuscolo,
riuscivo a trovare una speranza. E’ difficile da spiegare ma è andata così. Devi aspettare mi diceva lei. Devi sapere
aspettare. Se corri troppo rischi di perderti. Come per incanto Wildwood Flower della Carter Family
risuonò da qualche parte.
Oh, m’insegnò ad amarlo e mi chiamava il suo
fiore. Che sbocciava per rallegrarlo nell’ora triste della vita. Oh, non vedo
l’ora di rivederlo e dimenticare quest’ora oscura. Se n’è andato via e ha
abbandonato quel fiore selvatico di bosco.
L’aria della sera si fece sempre più fresca. Non so perché,
ma cominciai a provare un po’ di risentimento verso il mondo, e anche verso me
stesso. Le cose che mi circondavano presero a ondeggiarmi davanti agli occhi. E
in quel silenzio che mi avvolgeva, la mia rabbia si fece buio. Avevo bisogno di
parlare con qualcuno, di mostrarmi, di condividere quello che mi tormentava.
Lei aveva lavorato in un locale, dove si suonava del rock’n’roll vecchia
maniera. Ero molto vicino a quel posto, e dentro di me sperai di trovarla
ancora lì. Quando ci arrivai, il bar era colmo di gente. Mentre mi guardavo intorno,
bevvi un bicchiere di whiskey. Il ricordo della sua voce, delle sue carezze, mi
fece capire quanti errori avevo commesso solo per stare dietro alle mie
ossessioni, alle mie debolezze. Tutto invece era molto semplice. Dovevo solo
dirle che ero pronto, che sarei stato con lei, che avremmo avuto una vita
normale. Che quella rabbia che provavo era svanita. Che avevo delle soluzioni. L’ho
sempre saputo che i miei primi piani fanno schifo, e che l’amore è qualcosa
d’inafferrabile. Si rifugia sempre dove meno te lo aspetti. Il colpo era andato
a segno, e faceva molto male. E’ il dolore che ci cambia. Ma adesso non aveva più
alcuna importanza. Bevvi il mio drink e me ne andai.
Bartolo Federico
Grazie bro'...bellissimo...eh si, i ricordi a volte diventano commoventi.
RispondiEliminaOra mi bevo un drink anch'io...anzi due. Alla tua salute!
Grazie Bro,alla tua. Un abbraccio.
RispondiEliminaAdesso che sto pubblicando le foto del viaggio negli USA e ricordi, le sensazioni e le emozioni, sono ancora freschi i tuoi post ci stanno alla perfezione. Un abbraccio a te, fratello
RispondiEliminaimmagino...
RispondiElimina