Ci sono posti perfetti per certo rock’n’roll. Come quegli hotel che sorgono nelle zone malfamate delle città, con le crepe nel tetto, e i portoni fatiscenti. Luoghi deprimenti, abitati da sbandati con la pistola in mano. Alcolisti cronici, attricette, puttane, sgherri. Scrittori depressi, e romantici squattrinati. In quest’atmosfera furtiva, fosca, putrida, in quest’abbandono dove la puzza del vomito è insopportabile, certe canzoni trovano la luce rimanendo incastrate fra le corde di una chitarra sghemba e scordata. Canzoni rabbiose e piene di dubbi. Di uomini con gli occhi scivolati all’indietro, che in un giorno di pioggia, non hanno smesso di farsi domande. L’uomo in fondo al corridoio si accese una sigaretta, e rientrò nella stanza. Era un chitarrista, uno di quelli che comunque non avrebbe mai calcato i grandi palchi. Ma la cosa non gli toglieva il sonno. Si può vivere senza per forza essere i Rolling Stones. Una pioggia furiosa batteva i marciapiedi della città ormai da molte ore. Si lavò la faccia con l’acqua gelida, l’unica che arrivava nel suo rubinetto, e s’infilò i jeans. Si avvicinò alla finestra e osservò il cielo nero, e le nuvole che ballonzolavano nel vento. La pioggia scrosciava forte, spazzando tutto quello che trovava. Il vento aumentò d’intensità. Si versò da bere, e ingoiò in un sorso il liquido. Una donna con la testa china arrancava sotto la pioggia. Mentre le raffiche di vento la facevano ondeggiare come una scialuppa, calata nella tempesta. Accese il registratore e la voce terrificante di Big Joe Williams, attaccò Terraplane Blues.
“E mi sento così solo, tu mi ascolti che gemo. Quando mi sento cosi
solo, tu mi ascolti che gemo. ”(Robert Johnson)
Ancora credeva nel potere redentore del rock’n’roll. Era la sua
arma di difesa per arginare quei deliri che alle volte lo opprimevano, fino a
farlo quasi soffocare. Alzò il volume, e le casse scricchiolarono. Stava
aspettando da settimane una chiamata dalla casa discografica, per incidere un
disco insieme alla sua band. I ragazzi però
con il passare del tempo erano diventati sempre più nervosi e irrequieti. Sapeva
bene che non avrebbero retto per molto tempo quell’attesa. La pazienza è una
cosa che s’impara. La vita ti allena ogni giorno. Ma se si perde l’entusiasmo,
non si va da nessuna parte. Era già successo altre volte. La depressione è
un’arma micidiale. Filtrava da ogni angolo di quella stanza, ed era pronta a
balzargli addosso. Nel 1974 Nick Drake morì per un’overdose di Typatasol un
antidepressivo. Così affermò l’autopsia. Ma forse fu soltanto il suicidio di un
ragazzo, che ascoltava silenzioso il ronzare del giorno. Che guardava il mondo
con stupore e perplessità, con quegli occhi chiari che ormai erano diventate fessure
troppo strette. Raccatta una manica di matti, il rock’n’roll. Abbagliati che aspettano
che accada qualcosa di nuovo, che li faccia sbalordire, confondere, eccitare. I
loro canti hanno occhi tristi, ma sono celle di luce. Perché pungolano e
strattonano. Sono una capriola nella notte. Sangue e dolore. Urla nervose, in
stanze tenebrose. Dove tutti si affollano a vedere che succede. Quando il sole
cade giù.
“M’ha detto che questi vecchi blues, vecchi blues di preoccupazione non
sono male. È la peggior vecchia sensazione che ho mai avuto da provare”.
(Robert Johnson- Walking Blues-)
E’ una strada faticosa, quella del rock’n’roll. Non basta avere
una voce, o sapere suonare in maniera iperbolica il proprio strumento. Ci vuole
l’anima per suonare il rock’n’roll. Lo splendore di un rigagnolo, la visione di
un risveglio, qualcosa che brucia, che cade a pezzi. Ci vogliono uomini pieni
di paura, ricoperti di polvere e fango che come granelli di sabbia, sanno
riempire il mondo tormentato di chi li attende. Il cielo era ancora scuro. I
guai cascano sempre indosso a chi c’è già dentro. Poi si trasformano in incubi,
che ti perseguitano. Il bassista era stato in galera e questo creava dei
problemi a quel coglione del manager. Anche se l’accusa di omicidio era poi decaduta
tramutata in legittima difesa, non era bastato a tranquillizzarlo. Per questo
quella chiamata tardava ad arrivare. Ma nessuno della band desiderava prenderne
un altro. Perché quel basso sapeva suonare lacrime di sangue. E questo per il
loro rock blues, era qualcosa di magico. Bevve un lungo sorso, e modulò la
canzone che stava provando in tonalità di re minore. Suonò un do, un sol, e poi
nuovamente un re minore. Il testo scorreva bene dentro gli accordi. Doveva solo
provare una variazione di note per il ritornello. Né parlò con il sassofonista
che provò quel cambio. La sensazione fu grandiosa.
E il magone è piombato su ‘sto figlio di mamma, mi ha buttato
all’aria e stracciato. Continua il tuo viaggio, povero Bob, non puoi proprio
tornare indietro il blu-u-u-u-ues è un brivido che ti scuote nel fondo. Preaching blues (Up
Jumped The Devil) Robert Johnson-
Bob aveva cominciato a usare la cocaina per tenersi sveglio. E
perché secondo il credo comune di chi la usa, lo faceva trombare come un
indemoniato. E siccome lui voleva scopare a più non posso, s’ingozzava di roba.
Una sera una banale discussione con il suo spacciatore era finita in lite. Sembrava
che tutto fosse rientrato, invece quel pusher lo aveva aspettato sotto casa armato
di coltello. Era stata solo una mano iellata. Non voleva certo ammazzarlo. Ma si
era ritrovato in un colpo solo, nella merda fino al collo. Viviamo in un modo,
dove si adorano le proprie menzogne. Popolato da gente che sputa su qualsiasi
cosa, volti loro le spalle. Un mondo che ha perduto l’anima. Adesso Bob se ne
stava fermo in quel caos. Depresso, incazzato e brillo. Ma la musica come
sempre si prendeva tutta la sua innocenza, e anche quel mezzo sorriso, e tutti
i suoi sogni. La musica lo faceva vibrare, e i suoi occhi s’illuminavano
d’intenso. Come i pazzi di Jack.
Sai che ho fumato un sacco di erba. Sai che ho spuntato un
sacco di pillole. Ma non ho mai toccato niente che il mio spirito potrebbe
uccidere.(Steppenwolf- The Pusher-)
Aveva un’aria molto stanca. Attaccò la spina del basso
nell’amplificatore e iniziò a eruttare note dure e spigolose, perfette per
quella linea melodica. Ding, dong e tutto il gruppo andò dietro a quel suono,
fin quando la canzone non assunse la forma giusta. La forma perfetta. Sono gli
occhi, i nostri tizzoni. E’ dentro gli occhi che sono segnate le nostre croci,
le nostre passioni, i nostri ardori. Dovremmo ricordarcelo, mentre ce ne
andiamo liberi per la strada. Non c’è gioia senza sofferenza. Forse è vero
anche questo. Ma trovare calore e passione, è sempre più difficile. Sembra
tutto scomparso sotto chili di nulla, sotto chili d’indifferenza. Pioveva a
dirotto, e tutti si erano rintanati. Anche i vagabondi se ne stavano dentro gli
androni dei palazzi. Appoggiati al muro immobili con i loro sacchetti della
spesa in mano, canticchiando la loro canzone preferita.
Quando il treno ha lasciato la stazione con due luci accese sul
retro. Be’ la luce blu era i miei blues e quella rossa era il mio pensiero.
Tutto il mio amore è invano. Iii iii iii uuu uh, Willie Mae. Tutto il mio amore è invano.(Love
in Vain – Robert Johnson )
Bartolo Federico
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