Tutti i giocatori
d’azzardo finiscono per fare quell’errore che li condannerà,
superstiziosi e arroganti e anche un tantino bizzarri, sono colpevoli come il
diavolo dei loro guai. Però sapere quando frenare non sarebbe sbagliato, almeno
per non farsi troppo male quando le ombre con la
loro faccia liscia e lucida iniziano a guardarti fisso negli occhi, e a
rimproverarti i tuoi peccati. Ho aperto il cassetto e ci ho trovato delle
sigarette spezzate, ne ho presa una e ho annusato il tabacco che sapeva di
vecchio, mi è venuto da tossire, l’ho riposata e ho richiuso il
cassetto. Erano le sue. Mi sono seduto vicino alla scrivania,
tamburellando le dita sul tavolo. In questa casa si respira ancora il suo
risentimento, le mie bugie, il nostro odio. Ho sentito un rumore da dietro la
porta, non mi sono mosso, sapevo che non c’era nessuno. Non mi è mai piaciuto
fare il cattivo, non è mai stato quello il mio ruolo. Cosi su quella disfatta,
è toccato a lei infliggere il colpo finale. Mi sono alzato e ho acceso lo
stereo, forse sparirò per un po’ di tempo, me ne andrò da qualche parte e
porterò con me solo “Hustle
Up Starlings” l’ultimo disco del cantautore Matthew Ryan, perché anche io
come lui, sono morto in volo, come un aviatore. Ho riascoltato per l’ennesima
volta All I Wanted
e ho finito per piangerci di fianco, per quel suo modo di parlami di quelli che
sono rimasti senza nulla in mano, che si sono persi senza fare rumore che,
irrequieti come le mosche, si sono spostati nel buio, come per essere sicuri di
esistere ancora. Il sole che sta occhieggiando tra i rami dell’albero mi
striscia sul viso, e Close
Your Eyes con gli occhi fissi nel nulla, sembra che insegua
chi è già nelle braccia di un altro. Ho aperto la finestra e un venticello
leggero è entrato soffiando sulle note febbrili e inquiete di Maybe I’ll Disappear, che
affascinano con quella voce zeppa di raucedine, e strappano un brivido su
quella cicatrice lunga e sottile. È sempre il suo modo di fare rock’n’roll
questo, scuro e tagliente, la sua impronta netta e riconoscibile, di chi ha
imparato a fare musica in bianco e nero, con canzoni che non rincorrono mai
l’effimero, ma che ti fanno provare quei sussulti che ti mettono sdraiato sotto
un’insegna al neon, ad ascoltare lo strascichio dei passi del mondo. Brian Fallon dei The Gaslight Anthem produce il
disco, riportandolo dopo undici incisioni e
vent’anni di carriera (svoltasi quasi nel più completo anonimato) a prendersi
nuovamente cura di sé. Un musicista Matthew
Ryan lasciato da solo a sorreggersi, che per farsi forza si è
ferito di quel rock’n’roll che gronda sangue, e ti fa venire la voglia di
mordere la vita, di spingere sull’acceleratore con l’antenna della radio a
captare quelle emozioni che si diffondono solo in quella musica che ti fa
fare le capriole, anche se non ne hai più la voglia, perché non sei più quel
ragazzo che è scivolato senza respirare nel buio. Lo sa bene anche lui che
quando s’invecchia si ha bisogno di una Summer Never Ends, di sole, di spiaggia e
schiuma, delle onde del mare. Ho chiuso la porta dietro le mie spalle, erano le
quattro meno dieci. Adesso metterò a posto le cose come ho sempre fatto, e
quello che lei mi ha lasciato lo nasconderò nella parte bassa del cuore, nei
profili senza luce, e ogni tanto ci danzerò con un delicato valzer. Non ho più
da preoccuparmi di strabuzzare gli occhi, o sentire nell’oscurità quel groppo
in gola, c’è sempre dell’altro, in ogni paura, in ogni sconforto, per i
bastardi come me; e allora m’incammino lentamente, spingendomi
attonito in quel trambusto
dell’anima.
Bartolo Federico
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