La musica come sempre compie il miracolo. Mi consola, semplice e diretta ciondola ovunque, fuoriesce da tutto quello che faccio ed è in tutto quello che credo o che presumo di credere. Cosi, in una giornata dai contorni incavati, mi arriva all’improvviso una botta di vita di quelle che ti fanno sentire vivo come non mai e che ti fanno lisciare nuovamente col mondo, anche se fa un po’ troppo schifo per come lo abbiamo ridotto. Una botta di vita che mi fa sentire leggero, nonostante tutto anche speranzoso. Allora con qualche senso di colpa per quello che ho pensato fino ad un attimo prima mi lascio conquistare dalla musica e dalla poesia di un ragazzo che ha imparato come tanti di noi quanto siano importanti certe canzoni e certi artisti. È la legge dei cani randagi questa. Ci si riconosce a distanza solo dal semplice odorato.
Joe Pug
viene dal Maryland e porta con sé il bagaglio del folk e del rock e di
quei songwriters che hanno fatto dello scrivere canzoni un motivo di
vita. Porta con sé quella meraviglia di cantare una canzone che prima
non esisteva e che magicamente dal nulla trova una melodia e delle
parole. A Joe piacciono le canzoni semplici senza troppi fronzoli, le
canzoni che parlano della gente comune, di chi non ce la fa, di chi è
sempre in ritardo e quando crede di aver raggiunto la meta cade giù.
Ecco, non volevo dirlo per scaramanzia, troppe volte questo paragone è
suonato come una iattura, gli piacciano le canzoni di Bob Dylan ma anche quelle di John Prine.
E’
solo un ragazzino quando impara a suonare la chitarra. Poi con il suo
gruppo, per sfidare il suo professore di scienze che li riteneva
incapaci di tirare fuori qualcosa di ascoltabile per il ballo della
scuola, arrangia e suona una versione di tutto rispetto di un pezzo dei Foo Fighters
tratta dal loro primo album. Ma Joe vuole scrivere le sue canzoni,
sente di volere trovare la sua voce per raccontare e raccontarsi e così
inizia a farlo da subito e nulla gli sembra più importante di questo
sogno. E’ la sua piccola rivoluzione. Dopo il diploma inizia a viaggiare
ed è in quei giri che decide di voler vivere di musica. Lascia la
scuola e va ad abitare a Chicago dove si sostiene lavorando come
carpentiere e alla sera si esibisce nei club della città. Ha anche un
pizzico di fortuna che non guasta mai e apre i concerti di Josh Ritter , Steve Earle e di suo figlio Justin.
E’
in una di queste sere che, girando per i club con il suo gruppo, accade
il miracolo. La magia si impossessa di lui e della sua musica. Al Lincoln Hall di Chicago, un bel posto per
poeti e sognatori, registra un concerto , pieno di amore e passione,
di quelli che avrei pagato non so cosa per esserci anch’io. Joe è
sciolto e comunicativo si sente a casa e da il meglio di se. Così Live at the Lincoln Hall arriva dopo EP, del 2007, e Messanger,
del 2010 ed è un disco che si ascolta tutto di un fiato senza
cedimenti, suonato con pochi ingredienti ma tutti dosati al punto
giusto. Le canzoni sono arrangiate per sottrazione ma ti cingono
ugualmente in un abbraccio caldo e rincuorante.C'è trasporto e
convinzione mentre canta di quegli angeli che vivono in un mondo ostile
e l’armonica sferza il vento chiedendo quelle risposte mai avute, e
che forse mai avremo. D’altronde è ancora seducente crederci che prima o
poi arriveranno perché la strada è sempre lì a disposizione di chiunque
voglia percorrerla. E si sa, di sognatori ne è pieno il mondo. Magari
non tutti con i sogni borghesi e tecnologici di uno Steve Jobs,
ma molto più poveri, eppure non per questo meno belli. Sogni che il
tempo non è riuscito a cancellare e che sono finiti attaccati al cuore
antico di Joe Pug.
Dentro
le sue canzoni vivono incastonate come fossero messaggi d'amore storie
ed emozioni inviati a tutti quelli che hanno ancora voglia di ascoltare e
che ci si può portare appresso su strade di desolazione, o quando ci si
sente più sbandati del solito. Come in un sortilegio mai sciolto ci si
ritrova accanto un vecchio amico che sussurra che non si può mollare,
che bisogna tener duro, costi quel che costi non si può dargliela per
vinta questa partita. La tempesta dovrà finire e dall’altro lato della
strada c’è ancora un’occasione. E’ questo quello che mi è accaduto. In
un giorno caliginoso, ascoltando un pugno di canzoni sporche di polvere e
unte d’orgoglio mi sono sentito preso per mano e ho avuto ancora voglia
di continuare a viaggiare su quelle strade infangate dal vento, perché è
solo mentre viaggi che l’orizzonte ti viene incontro.
Bartolo Federico
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